Il calendario liturgico romano segna per il primo di
Novembre una festa
di precetto (così si diceva una volta) dedicata a Ognissanti.
Il 2
novembre è ancora una data festiva/semifestiva rivolta alla Commemorazione dei defunti.
Si tratta in entrambi le date di "feste". Ma cosa vuol dire festa nella società del terzo millennio, i cui giorni stiamo attualmente vivendo ?
E' evidente a chi oggi è un pò addentro con gli anni che il significato di queste due date è profondamente diverso da ciò che esse comportavano negli anni cinquanta/sessanta del Novecento quando per due giorni il lavoro nei campi veniva sospeso e la gente, col vestito da festa, affollava le chiese e -distintamente gli uomini dalle donne- inscenavano processioni con parecchie centinaia di partecipanti e gonfaloni delle Congregazioni dalla Chiesa delle Anime Sante e da quella della Favara fino al Cimitero.
Ciò che ancora oggi si prova a ripetere non ha nulla a che vedere con ciò che era dato assistere allora, quando -fra i vari fattori di incidenza- l'emigrazione e la fuga dalla società contadina era ancora agli inizi.
La festa
No, non è solo l'emigrazione che è riuscita ad alterare il significato della "festa". Ci sono a monte dati penetranti di natura socio-economica e culturali che hanno fatto evaporare i valori della millenaria (o anche secolare) società contadina.
Secondo vari personaggi della cultura filosofica e socilogica nella modernità, la festa - al pari del
costume, del rito, della fede - sarebbe condannata a sparire sotto "le
gelide acque del calcolo egoista" (Marx), o a restare pietrificata nella
"brina dell'ascesi puritana" (Weber).
La modernità e ancora più la contemporaneità, a cui stiamo provando a fare riferimento (figlie dell'Illuminismo) in effetti nacquero e crebbero anti-festive come lo furono le scienze sociali e tutte contribuirono alla
realizzazione di una critica minuziosa delle condotte rituali e della cultura
popolare tradizionale.
Condotte rituali e cultura popolare infatti - si ipotizzava in ambito illuminista- sarebbero state
ostacoli nell'ingranaggio della macchina del progresso e della razionalità che la scienza economica e quelle sociali diffondevano.
Ai nostri giorni dello studio delle feste si occupano gli antropologi, i sociolgi e gli economisti, ognuno con ottiche diverse.
Gli antropologi hanno affibbiato alle feste lo status di
folklore, e le hanno identificate come una passione di nostalgici, i quali - dinanzi al
progresso dell'omogeneizzazione urbana e mediatica - erano arrivati ad intonare i loro funerali ed elevato le loro lamentazioni su un mondo tramontato.
Sappiamo bene oggi che così non è stato. Nè i modelli marxisti nè quelli neo-capitalistici (oggi in versione liberista) sono riusciti a soppiantare la religiosità. Che ovviamente non è rimasta alle forme di esternazione della società contadina, quella degli anni cinquanta/sessanta del Novecento che tuttora resiste nella memoria di chi scrive.
Ma avremo modo di meglio capire.
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