Un triste ricordo di gioventù
Quest’anno ricorre il
cinquantesimo anniversario del primo devastante terremoto dell’Italia
repubblicana che sconvolse molti territori della Sicilia occidentale
nelle provincie di Palermo, Trapani ed Agrigento con una Magnitudo di
6.4. Tutto iniziò domenica 14 gennaio 1968, una giornata
festiva con gli sportivi in attesa della radiocronaca delle partite
di calcio. Io mi trovavo a casa a Palermo ed ero intento a studiare
“Geometria Analitica e Proiettiva” perché la settimana
successiva avrei dovuto sostenere gli esami con il Prof. Pietro
Scirè, presso la Facoltà di ingegneria. Improvvisamente alle 13,29
avvertii una oscillazione del tavolo su cui studiavo. Pensai di avere
avuto un capogiro ma non diedi eccessiva importanza al fatto e in
città pochissimi si resero conto che si era trattato di una scossa
sismica. L’ultimo evento sismico registrato a Palermo risaliva al
1940 con un solo morto, un carabiniere colpito a Piazza Borsa da un
frammento di cornicione venuto giù da un edificio. Subito dopo la
scossa sismica delle 13,29 ricevetti diverse telefonate di amici,
colleghi e parenti che avevano avvertito la “scossa”.
Naturalmente i centralini dei VV.FF., dei Carabinieri e della Polizia
furono intasati da quanti, preoccupati dall’inaspettato evento,
cercavano rassicurazioni.
Nella notte tra domenica e lunedì 15
gennaio, alle 2,35, una scossa violentissima interruppe il
sonno dei palermitani, a causa delle forti oscillazioni, ma
soprattutto per il rumore provocato dal tintinnio di bicchieri, e
stoviglie, spostamento di mobili, vibrazione dei vetri degli infissi
di balconi e finestre. Molti indossarono velocemente i soprabiti per
fuggire, ma solo pochi abbandonarono le abitazioni. Alle 3,00
una seconda scossa, ancora più violenta della precedente, convinse
molti ad allontanarsi dalle case. Ciò provocò enorme caos nelle
strade che vennero intasate dalle automobili guidate da cittadini in
preda al panico. Essi cercavano di raggiungere velocemente ampi
spazi o piazze dove trovare un sicuro luogo di sosta. La città di
Palermo in poco tempo si trasformò in un immenso “bivacco”.
Signore della “Palermo-bene”, con pellicce, indossate sopra i
pigiami, si ritrovarono con i loro familiari nella zona verde che
costeggia Viale Scaduto (Villa Sperlinga) armate di termos con caffè
e liquori per combattere il sonno e per “scaldarsi” in una notte
particolarmente fredda. Dopo circa un’ora, una terza violenta
scossa, convinse anche coloro che erano rimasti in casa a fuggire. I
“Pronto Soccorso” Della città ( Villa Sofia, Piazza Marmi, via
Trieste) si ritrovarono improvvisamente affollati di cittadini in
preda al panico, con crisi d’ansia e con ferite e/o traumi causati
dalla frettolosa fuga. Io e i miei familiari, malgrado abitassimo in
un moderno edificio in cemento armato, subito dopo la terza scossa,
intorno alle 3,50, siamo finalmente andati via e, in
automobile, ci siamo recati nella zona di “Borgo Nuovo” in una
piazza dove già sostavano molti cittadini. Tanti altri avevano
trovato riparo lungo la “Circonvallazione” o alla “Favorita”o
in altri luoghi “aperti”.
Dalle edizioni
straordinarie dei quotidiani locali (Giornale di Sicilia; Giornale
L’Ora) il mattino successivo, si venne a sapere della “Tragedia
del Belice”. L’epicentro del sisma fu individuato in prossimità
di Gibellina (TP) che venne interamente distrutta. Montevago divenne
un cumulo di macerie; Salaparuta quasi completamente annientata;
Santa Margherita Belice, Santa Ninfa, Poggioreale, Menfi, Contessa
Entellina, Salemi, Roccamena, Camporeale, solo macerie e
disperazione. Alle 17,45 si verificò una nuova forte scossa
della interminabile durata di quasi un minuto. Gli edifici di
Palermo, anche se non perfettamente antisismici ressero bene e non
subirono danni strutturali importanti. Solo nel centro storico
(Ballarò, Albergheria, S.Pietro) alcuni edifici fatiscenti furono
evacuati e dichiarati “inagibili” dai VV.FF.
Da Palermo partirono
velocemente staffette della Polizia Stradale e dell’Arma dei
Carabinieri verso le zone colpite dal sisma per trasportare sangue
richiesto necessario per soccorrere i tantissimi feriti. Alla notizia
dei tragici avvenimenti si mise in moto una generosa macchina dei
soccorsi. I primi ad accorrere furono i VV.FF. le Forze Armate, le
Forze dell’Ordine, la Croce Rossa.
Il coordinamento tra i
soccorritori era quasi inesistente e la “Protezione Civile”
doveva ancora nascere!!!
Si scavava tra le macerie
con qualsiasi mezzo, anche a mani nude, per fare presto e tentare di
trarre in salvo qualche sopravvissuto. I soccorritori si prodigarono
al limite del possibile. Si realizzarono tendopoli ma, nei primi
caotici giorni, non c’era posto per tutti.
ll dott. Luigi Pasinati,
giornalista e dirigente della Rai di Palermo sorvolò in elicottero
le zone disastrate e realizzò una drammatica telecronaca. Martedì
16 gennaio il Ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani riferì in
Senato sull’evento calamitoso ammettendo la lentezza dei soccorsi a
causa anche delle pessime condizioni della viabilità e dal clima
avverso. Sui luoghi del sisma giunse il Presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat. Presidente del Consiglio era Aldo Moro e il
Vicepresidente era Pietro Nenni. Da venerdì 19 gennaio vennero
registrate scosse di “assestamento” di intensità decrescente.
Fino al mese di settembre si verificarono ben 345 scosse, 81 delle
quali con una Magnitudo non superiore a 3. Ci furono vittime anche
tra i soccorritori: 5 agenti di Polizia, 1 carabiniere e 4 VV.FF.
Ricordo, in particolare,
un episodio molto doloroso: alle 10,52 di venerdì 25
gennaio una scossa violentissima sorprese il Vigile del Fuoco
Savio Semprini uccidendolo sotto le macerie di una Banca di Gibellina
nel tentativo di “salvare” la cassaforte.
Sui luoghi del sisma
arrivarono marinai inglesi, militari francesi con elicotteri, giovani
studenti italiani e di molte nazioni europee sotto una pioggia
inarrestabile, freddo e fango che resero difficili gli interventi di
soccorso. Ricordo Monsignor Riboldi, (futuro Vescovo di Acerra), con
il suo instancabile, infinito spirito di servizio. Questo splendido
sacerdote fu sempre a fianco dei terremotati durante e dopo il
terremoto sollecitando energicamente, presso le istituzioni, la
ricostruzione e la rinascita delle zone colpite.
Alla fine si conteranno
236 morti e circa 600 feriti. Le vittime sarebbero state molto più
numerose se l’allora Colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa,
Comandante della Legione Carabinieri di Palermo, dopo le segnalazioni
giunte, fin da domenica 14 gennaio, dai Comandi di Stazione
dell’Arma dei paesi terremotati non si fosse recato sui posti e non
avesse raccomandato agli abitanti, per precauzione, di non
trascorrere la notte dentro le case che, durante le scosse della
notte seguente (delle ore 2,35 del giorno 15) crollarono di schianto.
Circa in 10.000
emigrarono dai paesi del Belice verso le città del nord.
Il terremoto del gennaio
1968 svelò alla nazione intera in quale misera situazione vivesse
tanta povera gente in fatiscenti locali dove spesso l’unica stanza
fungeva da cucina, camera da pranzo, camera da letto, in una
incredibile promiscuità e, frequentemente, nell’ambito della
stessa abitazione trovavano ricovero anche gli animali appartenenti
alla famiglia, indispensabili risorse utilizzate come mezzi di
locomozione e di lavoro per i contadini (muli, asinelli, capre
ecct.).
Sono trascorsi 50 anni da
quel terribile evento. Se le case, che allora crollarono miseramente,
fossero state realizzate con materiali idonei e con criteri di “buon
senso” senza essere specificatamente “case antisismiche”, molto
probabilmente non sarebbe morto nessuno. Ma si trattava di vecchie
case, costruite con materiali “poveri” da povera gente che non
poteva mai immaginare che il tanto amato paese natìo, in pochi
minuti e in una maledetta notte d’inverno, si sarebbe trasformato
in un grande assurdo cimitero.
Gennaio 2018
Ing. Luigi Cannella
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