La campagna referendaria è iniziata
troppo presto, con sei mesi di anticipo rispetto alla presumibile data.
L'inizio sta dando già segnali di gravi
rischi per Matteo Renzi.
L'errore è stato fatto ed è difficile
ormai rimediarvi: l'avere personalizzato la campagna referendaria col "o
votate le modifiche costituzionali o vado via" non gli ha giovato di
certo.
Tutti i suoi avversari politici, e sono
tantissimi, aspettano con ansia l'autunno per dargli il benservito. I suoi
avversari, numerosissimi, sono dentro il suo partito (quel Pd che non è nè
carne nè ossa), sono a Sinistra e sono a Destra dello schieramento politico.
Solamente adesso Renzi si sta rendendo
conto di non possedere certezze sull'esito referendario, che si riprometteva di
trasformare in un trionfo, una vera propria incoronazione a base
popolare.
Il grosso dei cattedratici italiani,
della cultura e dei costituzionalisti ha preso posizione per il NO alle modifiche
costituzionalii. I sindacati, che raccolgono gli umori della gente, di quella
fascia sempre in espansione che non arriva a fine mese per sostenere la
famiglia, non vedono l'ora di sbarazzarsi del parolaio che promette una ripresa
economica lontana da vedere.
Renzi si è accorto da queste prime uscite
di campagna referendaria che la "personalizzazione" costituisce un
"boomering" per lui e che a nulla servono le più recenti correzioni
di tiro tendenti ad illustrare, il significato, il contenuto le speranze
rappresentate dalle modifiche costituzionali.
I suoi numerosissimi avversari, interni
ed esterni, alla maggioranza parlamentare non aspettavano altro che il suo
"scivolone" sulla personalizzazione: "se non votate le modifiche
torno a vita privata".
Ecco allora
l'idea per uscire dall'accerchiamento: dividere il referendum addirittura in sei
differenti domande da sottoporre agli italiani.
Per questa via, nel caso in cui arrivasse
anche solo la vittoria di un sì dalle urne, Renzi potrebbe dire di non aver
perso o, quantomeno, di aver "pareggiato".
E a quel punto sia lui sia la Boschi
eviterebbe di dimettersi come più e più volte annunciato come conseguenza della
bocciatura delle riforme.
Il punto "caldo"
su cui il leader è convinto di potercela fare senza grossi problemi è la fine
del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei parlamentari.
È evidente che su questi argomenti il
premier potrebbe sbandierare in campagna elettorale l'asso della riduzione dei
costi della politica (tanto caro all'elettorato grillino, ma non solo ad esso).
Conclusione
Renzi che si accorge che un solo SI ed
un solo NO costituiscono una trappola per lui e per la sua esperienza governativa, proverà adesso a trovare un rimedio al suo grave errore iniziale.
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