Fatti
Storico-canonico-giuridici in difesa delle proprietà e dei diritti del parroco
e clero greco della terra di Contessa contro le pretensioni ed usurpazioni del
coabitante clero latino fatta secondo la consulta dei migliori lumi della
capitale di questo regno nel 1771. (parte II)
Questa
Transazione del 1754, anno in cui fu fatta, sempre ha avuto tutto il suo vigore
e nella festa sopradetta dell’otto settembre sempre è stata tutta per intero
solennizata dal clero greco, ed il parroco greco ha avuto il primo luogo nella
processione, anche quando vi è intervenuto il parroco latino inferiore a quello
anche per tutti i sopradetti motivi. Dacché poi il parroco greco fratello
maggiore del parroco latino presente, per mancanza di vista non ha potuto
intervenire alla sopradetta processione, ha designato il suo greco capellano
sacramentale sacerdote Don Nicolò Chetta,
per supplire le veci del parroco greco, solennizzò il Vespro, messa cantata, ed
altre solite funzioni nella sopradetta chiesa di Maria della Favara. Ben tre
volte distinte mandò a dire al sudetto suo capellan sacramentale, che, al
solito, presidesse nella processione colla cota e stola. Nel punto però che
stava per sortire tale processione, sentendo il sudetto vice reggente del
parroco greco che i latini pretendevano che la processione spettava ad essi, e
che però il sudetto reggente non poteva portare la stola, e molto meno alla
sinistra del loro parroco, con pregiudizio di costui non solo, ma pure di tutti
i più anziani latini.
Ciò
udendo il sudetto reggente, per nome e
parte del reclamante clero greco e del senato disse al parroco greco che
egli non aveva punto impegno di portarvi per fasto giovanile la stola, ma che
soltanto voleva il clero greco, che si stesse alla sopradetta Transazione al
solito. A questo il parroco prima rigelò con efficacia, ma tosto, poiché il suo
fratello parroco latino gli disse una parolina nell’orecchio, ripigliò a dire
al sudettto vicereggente che egli non voleva immischiarsi in risse, e così
dicendo avviossi per sua casa, appoggiato nel suo senile bastone. Allora il
Senato intepretò che il parroco greco giacché da principio tre volte
espressamente detto aveva al suo vicereggente che presiedesse alla processione,
e poi al bordato (?) minaccioso dei latini, appigliandosi ad una politica di
necessità mai non disse al vicereggente che deponesse a supplire le sue veci. Il
pavido Senato, per giusta epicheia interpretò che qui tacet consentire videtur,
il parroco greco diportarsi così indifferente in quella seconda volta, altro esprime,
non volle che egli dando in quel incongruo modo la vittoria agli opprimenti, o
agli oppressi, avrebbe dato occasione delle più pubbliche scandalissime risse,
onde il Senato assicurò al vicereggente che sicuro
presiedesse colla stola alla processione, giacché il parroco, il clero, la
Transazione, la prassi e tutto il popolo questo ben pretendeva.
Il
vicereggente allora si pose a presiedere colla stola nella già avviatasi
processione quand’ecco che il vicario foraneo si protestò avanti del parroco
latino ed al vicereggente qualmente questi non poteva presiedere alla
processione colla stola, ma il vicereggente, ringraziandolo proseguì il suo
ufficio, perché atteso tutte le predette critiche circostanze l’aspettava più
tosto che da tutto il clero, a cui presiedeva, avesse dovuto rinegar (?) in
questa sacrosanta processione di dare esempio al minuto popolo e di molestia e
di pace, e che acciò piuttosto avesse dovuto badare il vicario foraneo e non
già a spogliarsi della cotta e con furia ritirarsi in casa per spedir pronto
serio ricorso alla corte vescovile contro il vicereggente, unico ostacolo a
tutte le usurpazioni ed alle vaste mire di affatto sepelire il rito greco nella
Contessa. Che cosa egli, colle solite sue malnomate rappresentanze abbia
esposto alla Corte vescovile di Girgenti il vicereggente nol sa, giacché
rinunciò al suo parroco la capellania e con questi si querelò, che dopo di
avere pregato più volte entrambi i signori parroci, per via del loro fratello
don Nicolò Musacchia, che trattandosi di doversi disporre cose particolari
nelle processioni, avessero la carità di prevenirli, in questa volta,
l’omessero; e poi non spendere una parola di pace per contemplazione del
parroco latino, e per timore che hanno al soverchiante vicario foraneo latino,
permettesse che se restasse scandalizzato l’ovile di Cristo; e dopo di
ciò, ritirossi nel seminario greco di Palermo ove da prefetto e da superiore
già prima menava sua vita pacifica per anni 15; ed all’istanze del suo parroco
non potendo resistere, s’era ritirato nella Contessa a suplire in tutte le sue
veci il canuto curato suo.
…………Omissis…………
In
quanto poi a giurisdizioni (qui niente affatto curavano l’invidiose questioni
di rito greco e latino) vi risponde primo che il vicereggente sopradetto, per ogni cosa, potea e doveva portare la
stola, secondo perché la Transazione suddetta caso propone che il parroco greco
deve elegere a qualsiasi del suo greco clero ut gerat vices iuri parochi, terzo
perché é un jus che respicit personam parochi, il quale debba presedere alla
processione, per dimostrare il loro dominio in quella chiesa, quarto perché
tutto quello che gestat la persona del parroco in tale processione li può
portare il vicereggente del solo parroco, altrimenti non sa esser vicereggente
di quello. Atque il parroco greco, in tale processione sempre porta la stola,
dunque pure colui che dee supplire alle sue veci; e così in fatti, rotondamente
e brevemente disse il maestro Lo Presti, a cui ad una voce, aderendo oltre i
legisti anche i parrochi di Palermo; e per meglio enucleare il fatto con la
frase soggiungerò: 2° che nelle terre piccole, soltanto cotta e stola
pursivoglia caso in cui non vi intervenga il parroco come infatti sempre già
cappellano sacramentale, terzo dica dunque il clero latino, replicano quei
legisti e parochi, quale debba mai portare nella processione il vicereggente
del parroco greco perché sin ora altra regola a me non é nota, altrimenti anche
la plebe si meraviglia come mai il capo vicereggente di una propria processione
non abbia se non la medesima cotta che tiene il sagrestano.
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