Per favorire una conoscenza esauriente ed una serena riflessione sulla storia religiosa di Contessa, relativamente alla definizione, sottoscrizione e attuazione della Transazione, è stato già proposto un testo con notizie generali (parte I).
Prima
di proporre all'attenzione dei lettori documenti specifici su particolari
momenti ed eventi, legati all'attuazione della Transazione, può risultare utile
e interessante conoscere i protagonisti
che hanno contribuito alla definizione e sottoscrizione del testo della
Transazione: vescovo di Agrigento e clero di Contessa.
Dalle
fonti finora note (pubblicazioni, manoscritti, decreti e comunicazioni
ecclesiastiche, memoria popolare, tradizioni, ecc.), ed in particolare dalla
lettera del 21 agosto 1754, indirizzata al vicario foraneo (Francesco Stassi)
ed ai due vicari curati di Contessa (don Giovanni Musacchia greco e don
Michelangelo Musacchia latino), il vescovo di Agrigento ordina di " pubblicare
l'allegata minuta di transazione ed accordio". Il sei settembre del 1754 infatti, presso il
notaio Salvatore Schirò di Contessa, viene sottoscritta dal clero di Contessa
la Transazione, approvata dal vescovo Pietro Gioeni, i cui nomi sono riportati di seguito, dopo
che ciascuno giura secondo la tradizione ecclesiastica "tacto pectore more
sacerdotali" e dichiara di
approvare l'accordo facendo seguire la sua firma dalla formula "confirmo
ut supra":
* don Giovanni
Musacchia, curato dei greci
* don Michelangelo
Musacchia, curato dei latini
* don Francesco
Stassi, vicario foraneo
* sacerdote
Luca Certa
* sacerdote
Luciano Di Giovanna
* Sacerdote
Nicolò Musacchia
* sacerdote
Antonino Cuccia
* sacerdote
Antonino Musacchia
* diacono
Giuseppe Spata
*Chierico Giuseppe Musacchia.
Nota – Per
approfondire aspetti e contenuti della Transazione
(1754):
*
consultare le monografie di Atanasio
Schirò, Spiridione Lojacono e Alessandro Schirò, dedicate alla storia di Contessa;
* disposizioni
varie del Vescovo di Piana degli Albanesi negli ultimi decenni, che
confermano le celebrazioni, come da tradizione, del clero greco nella chiesa
della Madonna della Favara, introducendo qualche indicazione sulla composizione
del Comitato per la festa dell’otto settembre. I testi sono consultabili presso
gli archivi delle due parrocchie;
* Capitoli della
Compagnia della Madonna della Favara del 1603 (riportato nel
Documento X, allegato
alla storia di Contessa di Atanasio Schirò).
Di
seguito è riportato l'estratto di un manoscritto, conservato nell'archivio
della parrocchia greca, che descrive il primo episodio di tensione tra clero
greco e latino, riferito alla processione dell'otto settembre del 1771. Vengono
riportati i brani più significativi, ignorando argomentazioni giuridiche e
richiami storici non essenziali per far comprendere ai lettori il contesto
generale, che ha sempre accompagnato l'attuazione della Transazione per 260 anni (1754 - 2014).
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Fatti
Storico-canonico-giuridici in difesa delle proprietà e dei diritti del parroco
e clero greco della terra di Contessa contro le pretensioni ed usurpazioni del
coabitante clero latino fatta secondo la consulta dei migliori lumi della
capitale di questo regno nel 1771. (parte I)
……….- omissis -………
Alla sacra
visita, che fece il vescovo di Girgenti Don Francesco Ramirez nella sopradetta
terra della Contessa, de verbo ad verbum pure si sa (siccome sin oggi
riferiscono i più vecchi del paese) qualmente sino al 9 di dicembre del 1698
(in cui fu lasciata scritta nella Contessa ogni innovazione vecchia da quel
vescovo in questa visita) l’unico rito greco vi era stato in quella terra.
Perché concessa appunto ai soli Greci Albanesi; che perciò gli stessi latini
avventizi in rito greco i loro figli nello stesso fonte battesimale, in cui
battezavano i greci; e quei due altri preti latini che erano stati introdotti
fra quei nostrali tenevano la Pisside colle specie di azimo nell’istesso
tabernacolo dei greci, e che il parroco era unico per tutti i coabitanti di
quella terra, il quale poi col decorso del tempo, aveva incominciato ad
assegnare un cappellano, soggetto a se, a quei che osservare volessero il rito
latino e esercitare le funzioni della chiesa latina nella cappella della
medesima sopradetta antica chiesa dell’Annunziata, titolata alla Madonna
delle sporee ossia delle semenze, onde sino al suddetto anno 1698 dal 1450
tutte le giurisdizioni, tutte le preminenze e proventi erano dal solo clero
albanese greco.Ma come che i sopraddetti latini in quel tempo già avevano
incominciato ad alquanto aumentarsi, incominciarono pure a pretendere più cose
dai naturali abitanti; onde passando a visita il lodato Ramirez prevalendosi
eglino di un tale prepotente albanese, passato al rito latino, per nome
volgarmente detto abate Musacchia, fecero si che quel santo prelato
necessitò i naturali del rito greco ad accomodare a quei dei loro coabitanti di
rito latino la chiesa albano-greca intitolata alla Madonna delle Grazie o della
Favara; questo però finché i latini, a loro spese, si fabbricassero un proprio
tempio, in cui potessero esercitare quelle funzioni parrocchiali, ed avessero
quelle sole giurisdizioni, che essi hanno, dal quel tempo in poi, nella
suddetta chiesa ad essi ad tempus accomodato.
……omissis………
Da alcuni asini
si credeva che già era stata la guerra di quei latini contro gli albanesi in
virtù della sopradetta, ma non sono mai sazi quei di rito latino a tal che verso il 1750 vedendo aumentato il loro numero di avventizi
al pari quasi di quello degli albanesi e prevalendosi delle astuzie, animarono
(sotto pretesto di zelo, di religione nell’ingrandire i sacri templi, tutto per
intiero popolo della Contessa a contribuire, ognuno secondo le proprie forze e
colle fatiche personali i poveri, all’ingrandimento della loro parrocchia, e
comeché le famiglie più comode sono appunto quelle degli albanesi in quella
terra, vi accorsero quegli più d’ogni altro all’ampliamento di quel tempio, e
molto più che era loro proprio.
I latini però
terminato che fu il materiale di tutta la fabbrica vi posero una lapide, in cui
si stava scritto qualmente quel tempio era stato eretto a spese dei latini e
che perciò non più ai greci ad essi pell’avvenire spettava.
Tosto si
opposero i greci contro i latini nella corte vescovile di Girgenti: vinsero la
causa, strapparono l’affissa ingiusta lapide piantata in un fondo alieno
coll’exequatur della medesima Corte vescovile e per torre, in futurum, ogni
pietra di scandalo rissa, si divenne tra il
clero greco e latino di fare nel
1754, per gli atti di notar don Salvatore Schirò, una solenne Transazione,
in cui primo si convenne che tutte le antiche
e principali giurisdizioni della Matrice chiesa greca, di cui é filiale
l’accomodata parrocchia dei latini, appuntino si osservassero intatte; secondo
che i latini ratificavano qualmente la chiesa della SS. Vergine della Favara
era “de jure proprio” dei greci; e che i latini eglino permettevano il solo uso
della chiesa a loro accomodata, finché fabricassero questi un proprio loro
tempio; terzo, che in vivo momento ed esecuzione di questo accordo i greci ogni
anno dovessero solennizzare, essi, la qundicina dell’Assunta sino al quindici
di agosto in sudetta accomodata chiesa; quarto, pel medesimo fine, nel condurre
ogni anno la sacra Bolla della Crociata, il parroco greco uscendo dalla matrice
in processione avesse ad entrare nella sudetta accomodata chiesa ed ivi
celebrarvi messa cantata solenne e farvi la spiega d’essa Bolla; quinto
finalmente, che la festa della nascita di Maria agli otto di settembre, ogni
anno, la solennizzassero, con vespero, messa cantata e processione, i greci ed
in caso che il parroco greco non avesse comodo di intervenire, allora dovesse
egli destinare a qualsivoglia del clero greco per supplire le veci del parroco
greco nelle sudette processioni; e se mai il parroco latino si volesse
intervenire nella sudetta processione, col clero, sta in sua libertà.
Questa
Transazione intorno alla realtà di tali giurisdizioni appartenenti ai greci, fu
confermata con giuramento da tutto il clero latino, di cui ogni anno finoggi
vive e confirmata dalla Corte vescovile.
Il fatto fin qui esposto a prima usque ad ultimam lineam si trova stampato
nell’istoria di Pompolio Rodotà, edita nel 1763 in Roma, regnando nei suoi
ultimi anni il Pontefice Lambertini. (continua)
Fatti
Storico-canonico-giuridici in difesa delle proprietà e dei diritti del parroco
e clero greco della terra di Contessa contro le pretensioni ed usurpazioni del
coabitante clero latino fatta secondo la consulta dei migliori lumi della
capitale di questo regno nel 1771. (parte II)
Questa
Transazione del 1754, anno in cui fu fatta, sempre ha avuto tutto il suo vigore
e nella festa sopradetta dell’otto settembre sempre è stata tutta per intero
solennizata dal clero greco, ed il parroco greco ha avuto il primo luogo nella
processione, anche quando vi è intervenuto il parroco latino inferiore a quello
anche per tutti i sopradetti motivi. Dacché poi il parroco greco fratello
maggiore del parroco latino presente, per mancanza di vista non ha potuto
intervenire alla sopradetta processione, ha designato il suo greco capellano
sacramentale sacerdote Don Nicolò Chetta,
per supplire le veci del parroco greco, solennizzò il Vespro, messa cantata, ed
altre solite funzioni nella sopradetta chiesa di Maria della Favara. Ben tre
volte distinte mandò a dire al sudetto suo capellan sacramentale, che, al
solito, presidesse nella processione colla cota e stola. Nel punto però che
stava per sortire tale processione, sentendo il sudetto vice reggente del
parroco greco che i latini pretendevano che la processione spettava ad essi, e
che però il sudetto reggente non poteva portare la stola, e molto meno alla
sinistra del loro parroco, con pregiudizio di costui non solo, ma pure di tutti
i più anziani latini.
Ciò
udendo il sudetto reggente, per nome e
parte del reclamante clero greco e del senato disse al parroco greco che
egli non aveva punto impegno di portarvi per fasto giovanile la stola, ma che
soltanto voleva il clero greco, che si stesse alla sopradetta Transazione al
solito. A questo il parroco prima rigelò con efficacia, ma tosto, poiché il suo
fratello parroco latino gli disse una parolina nell’orecchio, ripigliò a dire
al sudettto vicereggente che egli non voleva immischiarsi in risse, e così
dicendo avviossi per sua casa, appoggiato nel suo senile bastone. Allora il
Senato intepretò che il parroco greco giacché da principio tre volte
espressamente detto aveva al suo vicereggente che presiedesse alla processione,
e poi al bordato (?) minaccioso dei latini, appigliandosi ad una politica di
necessità mai non disse al vicereggente che deponesse a suplire le sue veci. Il
pavido Senato, per giusta epicheia interpretò che qui tacet consentire videtur,
il parroco greco diportarsi così indifferente in quella seconda volta, altro esprime,
non volle che egli dando in quel incongruo modo la vittoria agli opprimenti, o
agli oppressi, avrebbe dato occasione delle più pubbliche scandalissime risse,
onde il Senato assicurò al vicereggente che sicuro
presiedesse colla stola alla processione, giacché il parroco, il clero, la
Transazione, la prassi e tutto il popolo questo ben pretendeva.
Il
vicereggente allora si pose a presiedere colla stola nella già avviatasi
processione quand’ecco che il vicario foraneo si protestò avanti del parroco
latino ed al vicereggente qualmente questi non poteva presiedere alla
processione colla stola, ma il vicereggente, ringraziandolo proseguì il suo
ufficio, perché atteso tutte le predette critiche circostanze l’aspettava più
tosto che da tutto il clero, a cui presiedeva, avesse dovuto rinegar (?) in
questa sacrosanta processione di dare esempio al minuto popolo e di molestia e
di pace, e che acciò piuttosto avesse dovuto badare il vicario foraneo e non
già a spogliarsi della cotta e con furia ritirarsi in casa per spedir pronto
serio ricorso alla corte vescovile contro il vicereggente, unico ostacolo a
tutte le usurpazioni ed alle vaste mire di affatto sepelire il rito greco nella
Contessa. Che cosa egli, colle solite sue malnomate rappresentanze abbia
esposto alla Corte vescovile di Girgenti il vicereggente nol sa, giacché
rinunciò al suo parroco la capellania e con questi si querelò, che dopo di
avere pregato più volte entrambi i signori parroci, per via del loro fratello
don Nicolò Musacchia, che trattandosi di doversi disporre cose particolari
nelle processioni, avessero la carità di prevenirli, in questa volta,
l’omessero; e poi non spendere una parola di pace per contemplazione del
parroco latino, e per timore che hanno al soverchiante vicario foraneo latino,
permettesse che se restasse scandalizzato l’ovile di Cristo; e dopo di
ciò, ritirossi nel seminario greco di Palermo ove da prefetto e da superiore
già prima menava sua vita pacifica per anni 15; ed all’istanze del suo parroco
non potendo resistere, s’era ritirato nella Contessa a suplire in tutte le sue
veci il canuto curato suo.
…………Omissis…………
In
quanto poi a giurisdizioni (qui niente affatto curavano l’invidiose questioni
di rito greco e latino) vi risponde primo che il vicereggente sopradetto, per ogni cosa, potea e doveva portare la
stola, secondo perché la Transazione sudetta caso propone che il parroco greco
deve elegere a qualsiasi del suo greco clero ut gerat vices iuri parochi, terzo
perché é un jus che respicit personam parochi, il quale debba presedere alla
processione, per dimostrare il loro dominio in quella chiesa, quarto perché
tutto quello che gestat la persona del parroco in tale processione li può
portare il vicereggente del solo parroco, altrimenti non sa esser vicereggente
di quello. Atque il parroco greco, in tale processione sempre porta la stola,
dunque pure colui che dee supplire alle sue veci; e così in fatti, rotondamente
e brevemente disse il maestro Lo Presti, a cui ad una voce, aderendo oltre i
legisti anche i parrochi di Palermo; e per meglio enucleare il fatto con la
frase soggiungerò: 2° che nelle terre piccole, soltanto cotta e stola
pursivoglia caso in cui non vi intervenga il parroco come infatti sempre già
cappellano sacramentale, terzo dica dunque il clero latino, replicano quei
legisti e parochi, quale debba mai portare nella processione il vicereggente
del parroco greco perché sin ora altra regola a me non é nota, altrimenti anche
la plebe si meraviglia come mai il capo vicereggente di una propria processione
non abbia se non la medesima cotta che tiene il sagrestano.
Quarto:
e poi sopragiunsero come mai esce in processione propria un clero o senza aver
proprio capo o senza nessun poterlo distinguere da qualche peculiare insegna,
sicché il clero greco si debba vedere come un capo, soggetto all’altrui capo
latino, il quale, peraltro, con tutto il suo clero vi interviene per pura
concomitanza, se può o vuole intervenire, secondo la Transazione; quinto dacché
si fece tale Transazione il parroco greco sempre portò la stola, non esso solo
ma pure il suo vicereggente; dunque perché non in futuro; e chi non sa che le
prasse é l’ottimo interprete di ogni legge; sesto disse il signor Giuseppe
Tignini, oggi questa festa già totalmente é dei greci; sicché affatto non vi
hanno che fare nella processione i latini. Dunque, se mai il parroco latino si
intende pregiudicato di sofrire a lato un vicereggente del parroco greco, capo
preside non ricusi ad intervenire nella processione e così non resta
pregiudicato in vedere che un vicereggente di anni 30, cappellano sacramentale
della matrice abbia il primo luogo anzi che gli anziani, allora rispose dunque
altrettanto possono pretendere contro il
parroco greco, se questo mai sarà il vicereggente sudetto. Del resto si
ricordino che tale vicereggente é laureato in sacra teologia, e perciò in un
altra mala interpretazione gli anziani della Contessa ebbero il testo della
loro vescovile Corte.
Se però il proprio parroco greco nessun porta pregiudizio, neppure, dunque colui che sia in sua vece. Ma in somma i latini si avevano dovuto riparare pria della Transazione, benché non poterono. Né possono allegare ripiglio a beneficio Tardia, i latini, che tale processione forse si fa dentro il distretto del parroco latino, perché la Contessa non é come Palermo che ogni parrocchia ha limiti del proprio distretto, giacché il popolo greco abita col latino e le cose dei greci sono mischiate senza ordine con quelle dei latini, del resto però il parroco dei greci é capo di tutto il paese appunto perché tutte le chiese di quella terra non solo furono fondate e dotate dai greci, ma sin l’istessa parrocchia latina é filiale dell greca ed al cader del muro i latini non avessero se potevano così accordato; otto: infine ripigliarono tutti gli altri più illuminati della Capitale se i latini non de jure ma per solo concomitanza, volendolo, possono intervenire a tale processione e se essa é unicamente spettante ai greci; e se mai la stola porterebbe qualche gelosia, ad altro portarla non potea che al clero greco o al parroco greco e non già ad alcuno dei latini. Tre che dunque costoro si fondano a dar occasione di tanto scandalo nel punto della processione pubblica, se essi affatto non v’entrano. E come il parroco latino e molto più il vicario foraneo (a cui non spettano affatto le giurisdizioni parrocchiali) con pregiudizio del clero, e parroco greco, dalla Transazione e dalla prassi e del pacifico spirito ecclesiastico, intimano il reggente e ricorrono contro di lui la mente vescovile? Rispose a tutto e per tutti con quattro parole, il sac. Dott. Don Nicolò Chetta: Signori, tutte le sopradette ottime cose sono extra chorum: primo che la questione vera nell’esposto caso non fu già intorno all’uso della stola (di questa se ne servì il vicario foraneo per soltanto a capricio formar un ombra zizzaniosa a cui poter battere presso la Corte) ma bensì fu che per volere i greci albanesi quasi affatto ricordati dai Servizi prestati alla Corona di Sicilia per vederli soli, pochi, poveri e di rito greco, pretendevano che la processione affatto era loro propria in modo tale che essi con l’arte di circolo vizioso incominciassero da capo ad insensibilmente spogliarsi di tutte le giurisdizioni sino a perdersi la memoria dei greci; e queste sue alte mire già sorridendo e quasi per gioco l’ha esaminata verbo et opere il vicario. Ma conoscendo questo discorso il gran Pontefice Leone decimo, ponendo ed appoggiandosi, come egli stesso dichiarava all’ecumenico fiorentino concilio, per altro unicamente fatto per la concordia tra greci e latini, questo zelantissimo e spregiudicato Sommo Pontefice firmò una bolla apposta trascritta del sopracitato Rodotà in parte, ed in tutto, nell’Enchiridio greco.
Il Cardinale
Albici sollecitò e diligentemente indagatore delle antiche memorie
dell’archivio del Santo Officio, i quali ambedue ci rendono sicura
testimonianza della costante sollecitudine della Romana Chiesa nel avere
replicate prescritta la rigorosa osservanza del sacro santo rito greco e molto
più in persona delli esperimentatissimi albano greci..... Alcuni vescovi
latini dunque, ignorando l’origine, la santità ed i misteri del rito greco,
l’abbominavano tra loro qual velenoso serpente di loro, come perturbatori,
scrive il dotto Pontefice nella diceria di tale bolla: ordinari locorum
latinorum ipsam nationem super dictis viribus et asservantiis, in loci ubi
predicti greci morantur, quotidie molestant, perturbant ed inquietant. Con
questi mezzi, continua a dire il laudato Papa, congiuravano scissure, scandali
e sconcerti ai popoli contro la tranquillità tanta desiderata dalla monarchia
ecclesiastica e civile ed anche movevano anco gli scismatici e vi é più li
rimovevano dall’unione, quindi riconoscendosi insofribili questa acerba
persecuzione dal paterno amore che leone X, e volendo esso frenare l’insolente
ardire dei latini, gelosi, stabilì a favore dei greci prerogative e privilegi
nella medesima Bolla su i greci fra i latini (a fortiore se questi sono tra
greci) possono liberamente professare il loro rito ed andare questuando nelle
loro terre. Ma il nostro predetto vicario espose alla Corte reclamante il
popolo anco latino che egli doveva per le limosine, affinché così non si
smarrissero, cioè intendeva dire praticamente aciocché l’inpiegasse a suo
talento; e infatti l’ottenne; secondo che i latini in nessun conto
disturbassero le funzioni greche, ma il vicario disturbò pubblicamente la
processione dei greci e crede che per zelo: terzo che nessun latino potesse
procedere nelle chiese, ove non ha intervenuto il suo fratello parroco greco,
ma nella sopradetta processione si é usurpato le veci del parroco greco,
giacché esige la destra del vicereggente; e non solo questo, ma egli ha
regolato la processione dal capo preside, e nei diversi posi ha incenzato
egli destinò un semplice prete greco a dare l’incenzo; anzi un altra
volta non solo non pregò al predetto vicereggente che anzi, in assenza del
parroco greco, un semplice sacerdote latino, in una processione dell Matrice,
in salutato hospite, diede l’incenzo; ed sudetto vicereggente, nel secondo
poso, egli; e non quello, diede l’incenzo, che in riornare poi li ha fatto fare
per forza nella Contessa il prete latino ed ha insino arrivato di far
seppellire nella sua parrocchia a chi voleva seppellirsi; basta che per
accidente transeunte, qualche albano greco abbia interrotto l’osservanza del
rito greco in qualche terra dei latini o per procacciarsi il pane o per essere
stato perseguitato ancorché per pochi anni, sino per tutta l’eredità.
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