Un processo lampo; Silvio Berlusconi la cui storia
giudiziaria affonda nei decenni passati mai aveva goduto di un processo
protrattosi solamente due ore. La terza corte d’Appello di Milano ieri ha aperto il
procedimento, si è riunita in camera di consiglio ed ha –a tamburo battente-
pronunciato il verdetto: due anni di interdizione dai pubblici uffici per il
Cavaliere.
«Impugneremo la sentenza, non avrebbe dovuto trovare applicazione
nessuna misura interdittiva. Presenteremo nuovamente appello in Cassazione», è
stato subito il pensiero dell’avvocato Niccolò Ghedini.
11 MILIONI AL FISCO
Il primo agosto la Cassazione aveva condannato Berlusconi a quattro anni, di cui tre coperti dall’indulto, per frode fiscale nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset, annullando però la pena accessoria a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici (che comporta la decadenza da parlamentare) e imponendo alla corte d’Appello di ridefinirla in un intervallo compreso tra uno e tre anni.
11 MILIONI AL FISCO
Il primo agosto la Cassazione aveva condannato Berlusconi a quattro anni, di cui tre coperti dall’indulto, per frode fiscale nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset, annullando però la pena accessoria a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici (che comporta la decadenza da parlamentare) e imponendo alla corte d’Appello di ridefinirla in un intervallo compreso tra uno e tre anni.
La difesa di Ghedini etc. eccepisce che l’età avanzata del
Cavaliere e il fatto che sia (ad oggi) incensurato bisogna applicargli il
minimo della pena.
La difesa punta ulteriormente su due eccezioni. La prima è
sulla legge Severino, che prevede in caso di condanna l’interdizione e
l’impossibilità a candidarsi per un periodo fisso di sei anni.
Sostiene Ghedini: il valore retroattivo della legge è
«incostituzionale» e inoltre costituisce un doppione della pena accessoria
dell’interdizione già prevista dal codice penale. Inoltre l’articolo 13 della legge speciale
numero 74 del 2000, nella parte in cui prevede che non si applichino le pene
accessorie qualora sia intervenuta un’adesione all’accertamento fiscale è
incostituzionale. «Mediaset ha versato a settembre 11 milioni di euro per le
due annualità, 2002 e 2003, relative alla frode fiscale contestata al leader
del Pdl», spiega Ghedini. Per i legali si è dunque creata una situazione di
disparità di trattamento tra i dirigenti Mediaset, che con l’adesione evitano
la condanna all’interdizione, e Berlusconi, a cui invece è preclusa dal momento
che in quel periodo non aveva più alcun ruolo decisionale in azienda.
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