testo di Spectator
La famosa legge di protezione delle
Minoranze linguistiche, a parole tanto attesa
dagli arbëreshë - che ne chiedono altre a livello regionale -, mostra,
nei suoi esiti applicativi, pressappochismo e inadeguatezza, tradimenti
culturali e avidità di guadagni.
Cominciamo dalla Santa Chiesa che si
trascina senza entusiasmo in una ritualità che non riesce a tradurre in acqua
viva per le giovani generazioni e che sforna a ciclo continuo traduzioni della liturgia
sempre di livello più basso.
Ecco alcuni esempi.
Entrate, a sinistra, nel maggior tempio eparchiale, la cattedrale
di S. Demetrio. Leggete la dedica a parete, sempre alla vostra sinistra.
Portatevi, poi, più innanzi e leggete le iscrizioni dell’ambone.
Non sto qui a tediarvi sulle enormità
grammaticali, sintattiche e concettuali ivi contenute, che faranno rotolare
nella tomba il caro papa Gjergji Schiro’ già qui arciprete e artigiano
illuminato della lingua avita, vi invito, peroò, a mettere a confronto queste
iscrizioni con le epigrafi sepolcrali, in albanese, della matrice di Palazzo
Adriano, antiche di oltre 150 anni. Che
differenza! Che decadenza!
Passiamo ora ai nuovi barbari: le
Amministrazioni comunali.
Quella di Piana ha issato i vessilli della
“eccellenza linguistica”, i quali fanno bella mostra di sé lungo le strade di
accesso alla cittadina. In altre parole, ha voluto attaccare al proprio petto
una medaglia “al valor linguistico”.
E’
falsa! E’una patacca! E’ un’ulteriore cannolata, lunga oltre il cannolo più
lungo sfornato negli ultimi anni da prezzolati chef nazionali e internazionali!
Che così sia, che cioè l’”eccellenza
linguistica” sia solamente proclamata ma non perseguita, mostrata sul proscenio ma tradita dietro le
quinte, viene confermato, tra l’altro, dalla toponomastica bilingue che, quale
nuova conquista minoritaria, viene inastata qua e là in tabelle segnaletiche.
Ne diamo qualche esempio.
GJYKATËSI I PAQES
Vorrebbe rendere il corrispettivo italiano
GIUDICE DI PACE.
Orbene, a parte il fatto che ogni lingua ha
i suoi idiotismi, per cui non si possono semplicemente tradurre le parole, ma
si deve rendere il concetto secondo le regole interne a ogni lingua, notiamo
già che l’italiano specifica il soggetto con una preposizione
semplice: , non .
Vuol dire che il giudice è a fini di pace e non per giudicare la pace,
come verrebbe fuori con l’uso della preposizione articolata .
E’ esattamente quel che succede con la
forma albanese errata : un giudice che giudica la pace!
L’incolto esperto, adito dall’Amministrazione
comunale, trovatosi di fronte a un genitivo formale in italiano, si è limitato
a tradurre tal quale. Innovando,
tuttavia, perché il genitivo albanese introdotto da corrisponde, in
questo caso, alla preposizione articolata italiana .
Dunque, la retroversione
italiano>albanese>italiano dà , che non é
esattamente il concetto che si vuole esprimere!
Qual’è,
allora, la forma valida a esprimere in albanese quanto è espresso dalla
formulazione italiana? GJYKATËSI PËR
PAQE. Dove
indica la finalità dell’azione del giudice.
Teniamo presente che la toponomastica storica non è la risultante di un
fatto istantaneo di denominazione di un topos,
come potrebbe succedere esplorando nuove terre e nuovi cieli, o, peggio, con
l’acritica assegnazione di un nome a una via, a una piazza, a una contrada da
parte della pubblica amministrazione.
La toponomastica storica è frutto di una
lunga stratificazione creatasi nel corso dei secoli, a partire dalla prima
antropizzazione di un territorio e passando per le lingue dei vari popoli che
vi si sono succeduti.
E’ risaputo che la zona del monrealese, a
parte qualche sporadica reminiscenza greco-romana e bizantina, ha una toponomastica
araba. Questa, venuta a contatto con gli arbëreshë, ha dato gli esiti odierni.
Che vanno rispettati e non travisati o riportati a una pretesa purità linguistica
secondo interpretazioni cervellotiche.
Già l’azione piemontesizzante dello Stato
unitario ha creato in Sicilia, come altrove, le più incredibili aberrazioni.
Per esempio:
SANCHO PIRRELLO, nome e cognome
di uno spagnolo trasmessi a un feudo, hanno dato SANCIPIRELLO. Andatelo a
cercare nel calendario caldeo, questo inesistente “athleta” cristiano!
STRADA DELLE CHIANCHE, per la presenza di numerose vendite di carne,
diventa VIA DELLE PIANCHE.
PORTELLA DELLA GINESTRA subisce già un primo
mutamento, diventando DELLE GINESTRE.
Tornando alla tabella segnaletica,
l’italiano PORTELLA DELLE GINESTRE viene ricondotto all’albanese PORTELJA E
GJINESTRËS.
Il primo lemma, , entra
nella parlata arbëreshe attraverso il
siciliano e, infatti, i parlanti dicono PURTELJA.
Il secondo lemma, , al
singolare, vorrebbe ricondurre all’originale .
Ma anche questo lemma entra
nell’arbërishtja e nell’italiano piemontese attraverso il siciliano JINESHTRA che,
a sua volta, viene dalla radice araba , che sta per , e
che indicherebbe il possessore della sorgente.
Il Rollo di Monreale, infatti, cita per questa zona una AJIN HESA,
speculare, se vogliamo, a AJIN DINGLI, oggi DINGOLI. Si tratta di una serie di
punti d’acqua, assai importanti per gli arabi, come per noi, che possiamo
allungare a RAS AL AJIN – CAPO DELL’ACQUA = RISALAIMI,
AJIN AL BARID – ACQUA GHIACCIATA
= FUNTANA FRIDDA, ecc.
Dunque, nulla c’entrano le ginestre o la
ginestra, se non per l’assonanza, in siciliano prima, in albanese dopo, con l’ araba. Perché, allora,
inseguire un’improbabile restauro linguistico, ricorrendo al genitivo , certamente corretto filologicamente, se si vuole ricorrere all’albanese
standard, ma assai lontano dal significato originario del luogo - luogo d’acqua
e non di ginestre/sparta - e dalle regole che presiedono alla toponomastica
stratificata?
Meno pretese, allora, e maggiore aderenza
al portato popolare che ha già bellamente stabilizzato il nome, conservandone
la radice araba, in PURTELJA E JINESTRËS.
spectator
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