La discesa agli inferi nella tradizione bizantina
Oggi il pastore è stato crocifisso e ha risuscitato Adamo - di Manuel Nin
In
oriente l’iconografia pasquale mostra la discesa di Cristo nell’Ade per liberarne
Adamo, Eva e la loro discendenza. La Quaresima, iniziata nella tradizione
bizantina con l’espulsione dei progenitori dal paradiso, ha il suo culmine
nella Pasqua. I primi padri vengono riportati in paradiso da Cristo, che nella
discesa all’Ade appare avvolto di luce o in vesti bianche con in mano la croce,
strumento di morte che diventa strumento di vittoria.
L’icona
presenta le porte dell’Ade non solo spalancate ma addirittura scardinate e abbattute,
Adamo ed Eva presi per mano da Cristo e dietro di loro Abele, Samuele, Davide, Salomone
fino a Giovanni Battista, cioè tutti coloro che hanno atteso e profetizzato la venuta
del Signore.
I
testi liturgici del Sabato santo fanno parlare gli stessi inferi: «Oggi l’Ade
gemendo grida: Meglio per me se non avessi accolto il Figlio di Maria! Perché,
venendo contro di me, ha distrutto il mio potere, ha spezzato le porte di
bronzo, e ha risuscitato, poiché è Dio, le anime che prima possedevo. È stata distrutta
la mia potenza, ho accolto un mortale come un morto qualsiasi, ma non riesco in
nessun modo a trattenerlo, anzi con lui sarò privato dei tanti su cui regnavo:
da secoli possedevo i morti, ma, ecco, costui li risuscita tutti! Gloria,
Signore, alla tua croce e alla tua risurrezione. È stato inghiottito il mio
potere, il pastore è stato crocifisso e ha risuscitato Adamo! Sono privato di
coloro su cui regnavo, e quelli che con la mia forza avevo inghiottiti, li ho
vomitati tutti. Il crocifisso ha svuotato le tombe! Non ha più vigore il potere
della morte».
Il
canone del mattutino pasquale, di Giovanni Damasceno, sottolinea quasi per
contrasto il buio che regnava nell’Ade e la luce che sgorga dalla tomba vuota
di Cristo. Infatti la liturgia bizantina dal Venerdì santo in poi colloca la
tomba vuota nel bel mezzo della chiesa, bella, adornata con fiori, da cui
sgorga profumo, che diventa fonte di vita. Il testo del Damasceno ci invita a
contemplare, guardare, gioire, coinvolti nel mistero della Pasqua del Signore:
«Purifichiamo i sensi e vedremo nella luce inaccessibile della risurrezione il
Cristo.
Illuminati, illuminati, o nuova Gerusalemme, la gloria del Signore è sorta
sopra di te! Danza ora ed esulta, o Sion, tu rallegrati, o pura Madre di Dio,
nella risurrezione del tuo Figlio!».
Sono
poi le donne portatrici di unguento (myron ) al
sepolcro che diventano protagoniste: «Donne di divina saggezza dietro a te correvano
portando aromi; ma colui che con lacrime cercavano come un mortale, lo
adorarono piene di gioia come Dio vivente e annunciarono, o Cristo, ai tuoi
discepoli, la mistica pasqua». La liturgia bizantina inserisce alcuni tropari
di Romano il Melodo dove ancora una volta troviamo accostati il Natale e la
Pasqua: «Al Sole anteriore al sole, già tramontato nella tomba, corsero le
mirofore all’alba, come cercando il giorno. E l’una esclamava all’altra: O
amiche, su, ungiamo con
aromi il corpo vivificante e sepolto, la carne che risuscita il caduto Adamo
che giace nel sepolcro. Sollecite andiamo come i magi, adoriamo e offriamo come
doni gli aromi a colui che non in fasce ma in una sindone è ravvolto. Piangiamo
e gridiamo: Risorgi, sovrano! Tu
che ai caduti offri la risurrezione».
La liturgia della notte di Pasqua prevede
infine una catechesi attribuita a san Giovanni Crisostomo che, con immagini
vive e toccanti, mette in evidenza la dimensione comunitaria della Pasqua: «Se
uno è pio e amico di Dio goda di questa festa bella e luminosa! Il servo riconoscente
entri lieto nella gioia del suo Signore!
Chi
ha digiunato si goda ora il suo danaro. Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario.
Se uno è giunto dopo la terza ora, celebri la festa con gratitudine.
Se è arrivato dopo la sesta, non dubiti, non ne avrà alcun danno.
Se ha tardato fino all’ora nona, si faccia avanti senza esitare.
Se è
arrivato solo all’undecima, non tema per la sua lentezza; perché il Signore è generoso e accoglie l’ultimo come il
primo».
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