Chè cos'è il "sacro"? (ç'èshtè tè "hjeruashmit"?)------
da Radio Vaticana 23 aprile 2012
La bellezza dell'arte per rieducare al senso del sacro.
In un’epoca di forte
scristianizzazione, specie in Occidente, in che modo l’arte a tema
religioso può rieducare al senso del sacro? Il tema è da questa mattina
oggetto di dibattito al Pontificio Istituto Orientale, che ospita il
Convegno internazionale dal titolo “Iconostasi e Liturgia Celeste”. Ad
aprire e concludere i lavori è mons. Cyril Vasil’, segretario della
Congregazione per le Chiese Orientali.
Alessandro De Carolis lo ha
intervistato:
R. - La bellezza, come espressione della presenza di
Dio, mi sembra possa essere utilizzata anche nel mondo di oggi, perché
la gioia, la bellezza e il decoro già mille anni fa hanno commosso i
popoli pagani, spingendoli ad abbandonare il culto pagano e ad accettare
il messaggio di Dio che abita in mezzo agli uomini. Anche oggi,
all’inizio del terzo millennio, le persone cercano gioia e bellezza. Ma
esse non si possono percepire rimanendo nell’ambito del vecchio o nuovo
paganesimo. Per le persone di oggi, sfiduciate da mille proposte del
libero mercato delle idee, il decoro è anche la profonda e mistica
bellezza delle celebrazioni liturgiche del tempo sacro, dello spazio
sacro. La liturgia, l’edificio del culto possono diventare un impulso
alla profonda ricerca della verità della loro vita, la ricerca che li
condurrà a Colui che è la Via, la Verità, la Vita.
D. - C’è oggi,
secondo lei, una difficoltà a decifrare l’arte sacra contemporanea
rispetto ai canoni classici che caratterizzavano quella del passato?
R. - Se parliamo dell’arte, parliamo di un linguaggio. La difficoltà di
oggi sta proprio nella frammentazione del linguaggio e nell’incapacità
di avere una chiave di lettura unica. Quello che invece offre anche la
tradizione dell’oriente cristiano è proprio la capacità di parlare
attraverso un linguaggio comprensibile al cultore. Quando si trova una
“soggettivizzazione” dell’espressione, sia linguistica che artistica,
ciò diventa un ostacolo alla comunicazione: diventa
un’auto-comunicazione e non una comunicazione delle verità oggettive. In
questo senso, quando si parla della sacralità espressa nelle liturgie
orientali, si tratta di un linguaggio che si è sviluppato nell’arco dei
secoli, ma che viene spiegato attraverso la catechesi liturgica,
attraverso la vita della Chiesa e diventa così strumento vettore di una
verità.
D. - Il vostro Convegno rappresenta l’inizio di un percorso: in che modo pensate di proseguirlo?
R. - Intanto, questo convegno si colloca nell’ambito della Chiesa
italo-albanese, che da secoli rappresenta un polmone orientale in terra
italiana. Si apre qui, al Pontificio Istituto Orientale, che è la casa
degli studi superiori qui a Roma voluto dai Pontefici, e proseguirà poi
il 6 e 7 luglio nella Piana degli Albanesi in Sicilia e alla fine di
agosto nelle parrocchie di Lungro in Calabria. Attraverso questa
continuazione, in fondo, si ripercorrono vari luoghi dove la presenza
degli orientali è significativa sia per l’aspetto storico - come può
essere quello delle migrazioni che hanno toccato nei secoli precedenti
l’Italia e hanno portato qui ad una radicazione del rito orientale - sia
attraverso Roma, che in fondo nella sua specificità rappresenta
l’intero universo, l’intera ecumene. Il Pontificio Istituto Orientale è
il luogo dell’incontro tra Oriente cattolico, Oriente ortodosso e la
Chiesa latina.
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