Comunità Trinità della Pace
b.go Pizzillo di Contessa Entellina
Martedì 30 Novembre 2010
ore 16,oo
Inaugurazione
Passaggio della Consolazione
Etty Hillesum
psicanalista j. autrice del libro
"UN'ESTREMA COMPASSIONE"
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appunti, ripresi da www.viottoli.it/gdonne/interventi/interventi12.html
Etty Hillesum, specchio di umanità femminile tra spiritualità, psicologia ed erotismo
Nadia Neri, nel suo ultimo libro “Un’estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del lager” (Mondadori) tratta dell’influenza junghiana presente nel pensiero di Etty mettendo in rilievo la compresenza in lei dei due piani – spirituale e psicologico – ed anche inserendo in questo discorso la sottolineatura dell’aspetto femminile del Diario. A questi temi va indissolubilmente aggiunto il complesso rapporto di Etty con Julius Spier.
Spiritualità ed erotismo
L’esistenza di Etty Hillesum è stata piena di paradossi – scrive N. Neri -; ha avuto un’intensa vita di amori con gli uomini e un’altrettanto intensa vita spirituale. Nel periodo della sua ‘impazienza’ Etty – rileva Sylvie Germain (Etty Hillesum, una coscienza ispirata, Ed. Lavoro) era “infiammata da molteplici cotte non prive di sofferenza, sopraffatta da un temperamento troppo sensuale, troppo possessivo che non le lasciava ammirare o amare qualcuno senza volersene immediatamente appropriare” ; ed aggiunge: l’ardore in ogni cosa e un totale spirito di libertà sono state due caratteristiche e due costanti della personalità di Etty. Sicché Etty sentì di doversi imporre una disciplina, per reprimere l’impazienza e l’intemperanza che rischiavano di dissipare le sue energie interiori e di distoglierla da una necessaria ricerca di senso.
C’è in Etty Hillesum un interessante e prezioso miscuglio di erotismo e religiosità; un miscuglio indifferenziabile per P. H. Schrijvers, il quale sottolinea che “pregare è per Etty fare l’amore con Dio, qualcosa di ancora più intimo della sessualità”. Etty “cerca con molta difficoltà di trovare un equilibrio tra la sua sete spirituale, di leggere, di conoscere, di scrivere, di esprimersi, di pregare ed il suo desiderio di vivere un rapporto d’amore con un uomo”.
Il suo rapporto con Spier nasce in veste psicoterapeutica ma si carica subito di una forte carica erotica. Questa relazione con un uomo più anziano, dalla forte personalità carismatica ed in veste di psicoterapeuta, nasce ovviamente sbilanciata e pian piano si consolida, ma non si chiarisce, restando un punto fermo nella vita di Etty. Già divisa tra l’analisi, la riflessione e l’azione, Etty lo è anche tra ragione e sensualità immediata, compreso il desiderio di possesso dell’altro. Ma non si affretta a negare questo sentimento, a forzarlo dalla terra nella quale si trova ai voli alti di una spiritualizzazione forzata, col rischio cioè di sovrapporre un falso assoluto: “Bisogna lasciare le cose così come sono, invece di volerle innalzare ad altezze impossibili, lasciandole essere come sono mostreranno il loro vero valore. Partire da un assoluto che non esiste e che, per di più, non si desidera veramente, vuol dire impedirsi di vivere la vita nelle sue autentiche dimensioni”.
E’ con la sua pratica di “guardare le cose nella loro nuda realtà” che Etty si porta progressivamente ai piani più alti.
Il lavoro psicologico condotto da Spier – sottolinea N. Neri, “una particolare forma di psicoterapia, a cui non era estranea un’intimità erotica”, rese più alto e profondo il cammino spirituale di Etty. “Proprio così, forse, Etty ha evitato il rischio di convogliare tutti i suoi problemi personali verso la sublimazione religiosa. Anche sotto questo profilo la vita della Hillesum è particolarmente interessante perché è un esempio, sano e non patologico, della conciliabilità tra il percorso psicoterapeutico e quello spirituale”.
Etty, sottolinea P. Dreyer, si affranca dalla sua dipendenza da Spier con la progressiva consapevolezza che il potere che un altro fuori di noi ha su di noi non è reale ma è creato dal nostro atteggiamento psicologico, il quale sarà senz’altro negativo se parte dal rifiuto di riconoscere obiettivamente ciò che viviamo. E’ il tema della proiezione, o anche della rappresentazione del dolore e sulla necessità di interrompere questa rappresentazione, che Etty applica all’atteggiamento degli ebrei di fronte ai nazisti.
Etty fu attirata anche dal richiamo continuo e forte, esistente in tutti gli scritti junghiani, alla responsabilità individuale, all’importanza del singolo rispetto alla massa, al coraggio di assumere se necessario posizioni controcorrente” (N. Neri). Il richiamo alla responsabilità individuale diventa una linea- guida dell’esistenza di Etty, premessa alla sua affermazione che il male vada guardato innanzitutto dentro di sé.
“Se le grandi cose vanno male – scrive Jung – è solo perché i singoli vanno male, perché io stesso vado male. Perciò (…) dovrò cominciare col giudicare me stesso. E poiché l’autorità non mi dice più nulla, io ho bisogno di una conoscenza delle più specifiche e intime radici del mio essere soggettivo, per poter porre le mie basi sui fatti esterni dell’anima umana”.
“In una condizione limite – scrive N. Neri - Etty disegna un ponte ideale tra l’intimità più segreta e la realtà esterna. E traccia un percorso di meditazione (…). Predica, in definitiva, l’introspezione, il guardarsi dentro, e ammonisce i lettori intorno alla dinamica che si denomina correntemente ‘proiezione’, il mettere fuori”.
L’ influenza junghiana in Etty
Carl Gustav Jung è uno degli autori che più Etty ha letto e studiato, del quale e col quale mostra una conoscenza ed una consonanza profonda. Etty era stata avviata alla lettura diretta delle sue opere da Julius Spier, che lo aveva personalmente conosciuto. Sia Etty che Spier – precisa la Neri – furono istintivamente attratti dalla visione non riduttiva della psiche che lo psichiatra zurighese aveva proposto ed in particolare la sua apertura alla spiritualità.
Una sottolineatura importante ripresa da Etty in Jung è infatti proprio quella dell’importanza di non trascurare la dimensione spirituale; non è compito della psicologia dare risposte definitive a questioni metafisiche, bensì è un dovere, scrive Jung, “sapere come vadano spiegate psicologicamente le cose”. Jung non vede come Freud nella manifestazioni spirituali una sublimazione; i percorsi delle tre dimensioni di cui egli postula l’esistenza – quella psichica, quella fisica e quella spirituale – restano ben distinti.
Rispetto a Freud, Jung propone una concezione della psicoanalisi tesa non a delineare una psicopatologia, bensì la ricerca delle sorgenti simboliche, dotate potenzialmente di un senso profondo che travalica il soggetto stesso. La dimensione archetipica offre un respiro più ampio alla visione della realtà e alla spiegazione dei problemi individuali e collettivi.
Questa è una delle citazioni che Etty fa di Jung: “Non siamo mai più vicini all’eccelso mistero di tutte le origini che quando conosciamo il nostro Io, che ci illudiamo di avere sempre conosciuto”.
Ed ancora, ella ricopia un brano in cui Jung sottolinea un tema che sarà molto ricorrente negli scritti di Etty, ed in cui si afferma che “l’esagerato razionalismo della coscienza (…) si isola dalla natura e così strappa l’uomo dalla sua naturale storia e lo trapianta in un presente razionalmente limitato (…). Questa limitazione genera un senso di accidentalità e d’insensatezza che ci impedisce di vivere la vita con quella ricchezza di significati che essa richiede per essere completamente vissuta”.
Jung, ripreso dalle sottolineature di Etty e poi ancora particolarmente presente in questo nella personale rielaborazione del pensiero di lei, denuncia altresì la limitazione derivante dalla tendenza a supporre che ogni conoscenza derivi sempre, in ultima analisi, dall'esterno.
Da qui uno dei più preziosi messaggi che Etty ha lasciato in eredità sia psicologico - spirituale, “cercare in se stessi, non altrove”; “ascoltare quello che c’è dentro di noi”.
Scrive Nadia Neri: “Il percorso spirituale può offrire un fondamento più solido all’introspezione psichica e alle certezze che si raggiungono per questa via. La spiritualità non deve necessariamente sovrapporsi alla dimensione psichica con il rischio di annullarla, come purtroppo spesso accade; è auspicabile, invece, che vi sia un continuo processo di reciproco arricchimento, che sarà tanto più fecondo quanto più si riuscirà a mantenere una chiara distinzione tra i due campi”.
Etty procede su due piani paralleli che si intersecheranno sempre di più, quello dell’introspezione psicologica personale e quello di un cammino spirituale altrettanto intenso e difficile. Ella testimonia la possibilità di percorrere queste due vie contemporaneamente.
E lungo questa strada, in consonanza con Jung, afferma un’esperienza di Dio nel tempo storico, piuttosto che una sua teorizzazione. “L’esperienza – aveva scritto Jung – è l’unica realtà che non si possa annullare con le discussioni”; anche ‘Dio’ può diventare una teoria, una forma di rappresentazione, un’immagine costruita dallo spirito umano. N. Neri sottolinea dunque la coincidenza con Jung nella modalità di approccio a Dio, un Dio che può coincidere con la ricerca della nostra essenza interna più profonda. La profondità e l’intensità della fede di Etty – sottolinea sempre la Neri – “non hanno portato ad un’eccessiva e unilaterale spiritualizzazione, perché lei vive anzi con lo stesso coraggio e la stessa intensità il complesso mondo degli affetti”.
La dimensione psichica e spirituale insieme – tenere accesa questa speciale luce interiore - appare fondamentale per costruire un mondo pacificato. Etty tiene accesa questa luce, la fiaccola del cuore pensante.
Maria Giovanna Noccelli
NADIA NERI, Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del lager , Mondadori, Milano1999
Questo libretto agile e piacevolissimo da leggere è strutturato come una vera e propria guida alla lettura di Etty Hillesum. E' questo è forse il suo merito principale, proprio perché presuppone, per la sua stessa destinazione, che la Hillesum non sia solo, nonostante il titolo un po' limitativo, testimone e vittima; Etty merita di essere letta per il singolare personaggio che è stata, anche aldilà della sua vita e morte ad Auschwitz (da cui comunque è impossibile prescindere per capirla).
Il titolo non rende giustizia neppure al contenuto del libro, che rivela la personalità intellettuale della Hillesum attraverso le lettere e i diari pubblicato in Italia da Adelphi (in appendice è presente una buona bibliografia di quanto Etty ha scritto e di quanto è stato scritto su di lei). Rivela però in particolare un altro elemento portante della sua figura: la Hillesum fu donna curiosa, aperta alla conoscenza del nuovo, edotta nella psichiatria e nella cultura europea. Fu femminista, si interrogò sulla non violenza, sul perché della religione, ma non amò mai essere identificata come ebrea, perché, come la Arendt (ben altra statura, per carità) scrisse a Gershom Scholem, anche Etty "amava i suoi amici, non gli ebrei perché tali", né se ne sentiva obbligata. La Hillesum, interrogandosi sulla religione, cercava di andare oltre le religioni istituzionali
Ma fu anche, soprattutto, una analista della storia che le scorreva davanti, in grado di dare lucidissimi giudizi sul nazismo, e soprattutto, capace di assorbire e comprendere il dolore e il "sangue d'Europa". La Hillesum, laicamente, scelse di morire ad Auschwitz, pur potendo fuggire, perché doveva capire, voleva capire fino n fondo e sentirsi fra la sua gente, pur essendo profondamente laica. Seppe e volle vivere sulla propria pelle l'inferno di Westerborck e poi di Auschwitz, per capire fino a che punto potessero giungere l'aberrazione della modernità, la tecnologia e la catena di montaggio applicate allo sterminio e alla sua pianificazione; volle vedere il cuore del mostro. E per fare questo si riappropriò se non della propria religione, della propria identità ebraica.
Bene ha fatto la Neri ad usare nel titolo l'espressione un'estrema compassione. La parola si attaglia bene ad una testimone del proprio tempo quale fu la Hillesum, una testimone che aveva al centro delle proprie riflessioni la empatia con il mondo, che scriveva "spesso penso che dovremmo caricarci il nostro zaino sulle spalle e salire su un treno di deportati". Qualcosa di simile lo fece un'altra ebrea che non si sentiva solo ebrea (e che aveva certo ben più strumenti intellettuali a disposizione), Simone Weil, il cui treno di deportati fu la vita di fabbrica volontariamente scelta, dopo un carriera di filosofa. l'anoressia come sconfitta di fronte all'inanità dello sforzo, la morte per consunzione.
E altrettanto bene ha fatto, l'autrice, ad evidenziare in un capitolo, il rapporto di Etty con la scrittura, da cui riesce a intravedersi tra le righe, proprio la riflessione della Hillesum sull'essere donna, colta, ebrea.
In una guida al pensiero della Hillesum mancano però due aspetti che per me sono inscindibili dalla sua figura: da un lato la straordinaria analogia delle sue riflessioni (anche quando si tratta di appunti sparsi) con le riflessioni di Hans Jonas dopo Auschwitz: la Hillesum ammetteva con laicità che di fronte alla tragedia dio non era onnipotente, né poteva esser più quello di prima, "La parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo dio". Dopo Auschwitz, la Hillesum sapeva che avrebbe avuto un compito, quello di porsi ancora e ancora le domande che già stava ponendosi a Westerbrock, sulla fallibilità del dio. E' lei stessa a dire, in un altro frammento "Sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremmo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: anch'io vorrei dire una piccola parolina."
Etty si era quindi candidata al ruolo di testimone, ma non le è stato concesso da Auschwitz, come non fu concesso a Bonhoffer. Se ciò fosse stato, Primo levi avrebbe forse percepito di meno la solitudine di un fardello; Etty avrebbe mantenuto la promessa di continuare a capire e ricordare.
Se la parola testimone possa bastare attenersi alla figura della Hillesum è però argomento arduo da sciogliere in una recensione; Etty è testimone non del lager, ma della storia europea e del nazismo: testimone è termine denso di significato, come rileva Giorgio Agamben nella sua lunga ricognizione sull'impossibilità della testimonianza, o un ruolo che ha avuto difficoltà ad acquisire cittadinanza nella cultura europea, come sostiene la Wiewiorka; ma la precocità con cui la Hillesum capì che testimoniare sarebbe stato necessario la rendono soprattutto la madre dei testimoni, perché testimoni erano coloro che, loro malgrado, dopo Auschwitz, sarebbero sopravvissuti.
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