dal sito di La Repubblica
Le carte dei pm sul presidente
"Lombardo frequentava i boss" I magistrati della Dda di Catania ritengono "provati" i rapporti di Raffaele ed Angelo Lombardo con i boss delle cosche catanesi. Lo scrivono nelle 583 pagine di richiesta di arresto per gli altri politici coinvolti nell'inchiesta che vede indagato il governatore. Nelle carte gli incontri notturni di Raffaele Lombardo a casa dei capimafia
dai nostri inviati FRANCESCO VIVIANO e ALESSANDRA ZINITI Raffaele Lombardo
CATANIA - Eccole tutte le carte che accusano Raffaele Lombardo. Ecco le 583 pagine di richiesta di misure cautelari nei confronti di politici e imprenditori che il 31 luglio scorso la Dda di Catania ha presentato al gip Luigi Barone. Un documento riservato, filtrato dal riserbo della Procura, nel quale i sostituti procuratori Giuseppe Gennaro, Antonino Fanara, Agata Santonocito, Iole Boscarino, con il "visto, con assenso" del procuratore Vincenzo D'Agata mettono per iscritto di ritenere "provata, in punto di fatto, l'esistenza di risalenti rapporti - diretti e indiretti - degli esponenti di Cosa nostra della provincia di Catania con Raffaele Lombardo e con Angelo Lombardo".
Rapporti già emersi nella vecchia inchiesta precedentemente archiviata nei confronti del governatore e proseguiti fin dopo la sua elezione alla presidenza della Regione. Rapporto "con soggetti di sicura caratura criminale - si legge nella richiesta dei pm - non occasionale né marginale ma cospicuo, diretto e continuativo grazie al quale l'uomo politico poteva avvalersi del costante e consistente appoggio elettorale della criminalità organizzata di stampo mafioso a lui vicina".
Incontri con i boss, finanziamenti pubblici convogliati nelle casse della mafia, favori in cambio di voti ma anche di sostegno economico alle campagne elettorali. Sono venti anni di rapporti quelli condensati negli atti della Procura di Catania che si spinge fino ai giorni nostri nell'analisi della condotta del presidente della Regione.
I rapporti con il boss Rosario Di Dio - "Le intercettazioni - si legge nella richiesta dei pm - hanno dimostrato l'esistenza di rapporti diretti di Rosario Di Dio, esponente di primissimo piano della famiglia Santapaola - e Raffaele Lombardo".
E' il 26 maggio 2009, quando le cimici registrano una conversazione tra Di Dio e Salvo Politino al quale il boss racconta di una visita di Bartolo Pellegrino (omonimo dell'ex deputato regionale), assessore all'Agricoltura alla Provincia, "uomo di Raffaele Lombardo". E alla richiesta di voti per Lombardo, Di Dio risponde così: "È inutile che viene per cercare voti, perché voti non ce n'è per Raffaele... bello chiaro... quello che ho fatto io quando lui è salito per la prima volta lì, neanche se viene il Padreterno troverà più queste persone e siccome io ho rischiato la vita e la galera per lui e le cazzate che ha fatto lui... vuol dire che tu sei munnizza... da me all'una e mezza di notte è venuto ed è stato due ore e mezza, qua da me, dall'una e mezza alle quattro di mattina... si è mangiato sette sigarette".
Per tre settimane Lombardo avrebbe mandato il suo "massaro" dal boss con "tre buste piene di fac-simile", ricevendo da Di Dio un biglietto di risposta: "Caro Raffaele, è inutile che mi mandi le buste, pensa a dargli lo stipendio al massaro che ha due anni che non glielo dai"". Parole ribadite in una successiva intercettazione con il medico Salvatore Astuti, che ascoltato mercoledì in Procura, ha confermato l'accaduto. Affermazioni, quelle del boss, che i pm ritengono "riscontrate per intero" e che così commentano: "Lombardo risulta essere da tempo in rapporti di amicizia e di reciproci interessi con Di Dio. Egli recandosi nottetempo a casa dell'amico mafioso per chiedere il suo appoggio elettorale sapeva che una richiesta di voto proveniente da un soggetto dotato di indiscusso prestigio criminale non poteva essere tanto facilmente disattesa... la circostanza che l'incontro si sia svolto dall'una e mezza alle quattro di notte può spiegarsi soltanto con la consapevolezza che i fratelli Lombardo avevano di recarsi a casa di un mafioso".
La festa per l'elezione di Angelo Lombardo - Il 4 maggio 2008 si festeggia a casa del geologo Giovanni Barbagallo, il trait d'union tra i Lombardo e i boss Di Dio e Aiello. E il neoeletto deputato nazionale viene filmato dai carabinieri mentre entra ed esce dalla tenuta in cui si tiene una riunione che i pm paragonano "a quella celebre di Appalachin con la partecipazione del gotha della mafia nordamericana del tempo".
A braccetto con Basilotta - Ed è proprio dalle conversazioni tra Barbagallo e Aiello che i magistrati hanno contezza di un altro rapporto "pericoloso" del governatore, quello con l'imprenditore inquisito per mafia Vincenzo Basilotta. Siamo a giungo 2008 e "Basilotta era con il vestito a braccetto di Raffaele". "Un connubio assolutamente inusuale quanto biasimevole - scrivono i pm - tra l'uomo istituzionalmente più rappresentativo della Sicilia ed il facoltoso ma penalmente censurato imprenditore edile vestito a festa".
I soldi della mafia per la campagna elettorale di Lombardo - 1 giugno 2008, sono ancora Barbagallo e Aiello che parlano e il boss rivela come la campagna elettorale per la presidenza della Regione sia stata finanziata dalle cosche con i soldi dell'estorsione per il costruendo centro commerciale del Pigno. "Gli ho dato i soldi nostri! Del Pigno... gli ho dato a lui per la campagna elettorale... i soldi che l'impresa". Scrivono i pm: "Si tratta della più grave acquisizione investigativa che descrive il dato nudo e crudo della avvenuta consegna a Lombardo di una somma di denaro destinata al finanziamento della sua campagna elettorale disposto dal capo della più forte organizzazione mafiosa operante nella provincia di Catania".
Dopo l'elezione a governatore - Da neo presidente Lombardo chiude le porte ai vecchi amici. E i mafiosi non la prendono bene. "Con Raffaele ora non si può parlare più... intanto è stato eletto... non ci si può parlare! Con Angelo ancora ancora ma con Raffaele... ma li ha voluti i voti, li ha voluti... quando cercava i voti però si metteva... ". Della conversazione a più voci tra Giovanni Barbagallo ed altri mafiosi i pm danno questa interpretazione: "Dopo l'elezione di Raffaele Lombardo alla guida del governo regionale i rapporti con l'organizzazione criminale continuava a far capo ancora a Raffaele Lombardo per il tramite operativo del fratello Angelo.
Il ruolo di Angelo Lombardo è dunque quello di incaricato della gestione di affari che interessavano in vario modo il gruppo criminale e che chiamavano in causa e postulavano l'esercizio dei poteri decisionali spettanti al fratello Raffaele. A partire dall'elezione di Lombardo alla presidenza della Regione il referente politico dell'organizzazione criminale Santapaola diviene formalmente Angelo Lombardo".
I magistrati in giunta - "Ma che gli ha messo a due della Dda in giunta?". L'ingresso nel primo governo Lombardo di due magistrati venne così commentato dal boss Vincenzo Aiello al quale Barbagallo spiegava: " Sta cercando di fare le coperture".
E i pm sottolineano: "Le acquisizioni investigative operate nel corso della presente indagine dimostrano che la decisione di Lombardo (di inserire magistrati in giunta, ndr) era, in effetti, frutto di una strategia che mirava a disegnare la figura del nuovo presidente della Regione come di un politico che non solo non intratteneva rapporti di contiguità con ambienti del malaffare politico-mafioso ma che, anzi, combatteva con forza il tentacolare mondo del crimine organizzato fino al punto da inserire nella giunta regionale, per la prima volta nella storia del parlamento siciliano, due magistrati - Massimo Russo e Giovanni Ilarda - e di presentarsi all'opinione pubblica come soggetto politico che, godendo della fiducia di due autorevoli e noti magistrati siciliani, non era per ciò stesso sospettabile di contiguità alcuna con soggetti o settori del crimine organizzato".
Ventidue milioni di euro della Regione alle cosche - Da Lombardo i mafiosi volevano soldi e appalti. "La mafia - scrivono i pm - non supportava Lombardo per ragioni ideali ma operava per ottenere quale contropartita la possibilità di controllare appalti pubblici finanziati e gestiti dalla Regione o alimentati da risorse statali o comunitarie". E di soldi pubblici nelle casse delle cosche catanesi ne sarebbero entrati e non pochi a giudicare dalle parole di Barbagallo che al boss Vincenzo Aiello fa così i conti: "Perché io Enzo per quello che ho potuto fare 22 milioni di euro li ho fatti arrivare".
Nessun commento:
Posta un commento