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venerdì 30 settembre 2022

Perché ci ricordiamo del ...

 1860 e dei mille

 Si tratta di un anno (1860), di un periodo, meramente indicativo, trattandosi del periodo in cui nella Storia della Sicilia ha avvio il governo (i libri di Storia parlano di "dittatura") del generale Giuseppe Garibaldi. Periodo durato appena sei mesi e che costituì la premessa per l'Unità d'Italia.

 Si trattò di un periodo e di un governo ripartito in sei dicasteri, presieduto appunto da Garibaldi, con Agostino De Pretis quale pro-dittatore inviato in Sicilia dal Governo di Torino. Cavour avrebbe voluto affiancare a Garibaldi al fine di condizionare le mire del generale, Lorenzo Valerio, ma si scontrò col rifiuto di Garibaldi.

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L'Unità del Paese

Tutto era iniziato con Garibaldi, in qualità di comandante dei "mille", che fin dal 2 giugno del 1860 aveva riservato a sè l'intera missione e funzione militare per conseguire l'Unità del Paese; già il 14 maggio nella cittadina di Salemi "su invito di nobili cittadini e sulle deliberazioni dei Comuni liberi" aveva assunto la dittatura di Sicilia. Il 17 maggio ad Alcamo aveva nominato l'arbëreshe Francesco Crispi segretario di Stato; lo stesso giorno aveva deliberato l'abolizione dell'imposta sul macinato.

 Il 27 maggiò aveva liberato la città di Palermo ed il giorno successivo aveva sciolto il Consiglio Comunale della città, espressione dei Borboni e nominato un nuovo organo di governo locale.

 Il 31 maggio aveva firmato col generale borbonico, Ferdinando Lanza, la cessazione delle ostilità militari nella città di Palermo fino all'imbarco delle truppe borboniche.

 Il 2 giugno, con  la connessa creazione del governo dittatoriale, assume un significato politico-istituzionale: da quella data Garibaldi non avrebbe più deciso tutto da solo ma avrebbe dovuto sempre raccordarsi con gli uomini (6 ministri) tutti vicini al governo di Torino, seppure tutti siciliani.

 Il governo durerà sei mesi durante i quali Garibaldi avrà continui scontri politici col governo di Torino (Cavour). Il generale si proponeva, in linea col "partito d'Azione" a cui aderiva e che era espressione in Italia della Sinistra europea di allora, di proseguire la sua campagna militare fino a Roma e lì proclamare Vittorio Emanuele II re d'Italia. Cavour, uomo della Destra liberale, fu fermamente contrario in quanto arrivare fino a Roma avrebbe significato la rottura dell'alleanza del Piemonte con Napoleone III, allora protettore dello Stato Pontificio.

 La spuntò -come sappiamo- politicamente Cavour e Garibaldi si fermò, nell'impresa militare, a Napoli.

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