Pagine tratte
dall'Almanacco del contadino siciliano
L'Almanacco voleva essere il libro d'ogni giorno del contadino siciliano ai primi deglio anni venti del Novecento (un secolo addietro); tanta parte è data alla fantasia e alla folkloristica.
II contadino siciliano di quegli anni si affezionava soltanto alle cose che parlavano alla sua fantasia; e ne fanno fede i motti, le leggende, i canti, la vita quotidiana. Bisogna insomma che ogni cosa, anche la più trita e continua, assuma ai suoi occhi un immediato valore poetico.
N O V E M B R E
É il mese dei morti e della semina.
Sparso nei solchi il concime, il villano va come un re gettando dal pugno le sementi, che
prima furono scelte e curate con l’immersione in un bagno di solfato di rame.
Dov’egli è passato ripassa dopo l'aratro, o la zappa, a coprire i semi e a rimuovere la terra.
La quantità di frumento da seminare è di kg. 180 per ogni ettaro; di fave, in misura siciliana,
è di due salme per ogni salma di terreno.
I campi nel grigiore del cielo prendono un aspetto uniforme, e l’umido entra nelle ossa; ma
se bene ascolti li senti respirare, come chi dormendo sogni grandi cose.
Nelle zolle freme l’ansia delle prime radici, e in un nascosto fermento i semi s'infebbrano e
scoppiano. Sotto un aspetto di morte si prepara la vita novella; e tu senti nel cuore ricantare la
speranza.
In cantina si spilla il primo vino, si ripuliscono gli attrezzi che servirono alla vinificazione, e
contro la muffa si lavano le tine con latte di calce.
Si concimano tutti gli alberi, e nella vigna si seminano fave o lupini, che poi interrati ancor
verdi saranno ottimo concime (sovescio).
Si rivedono gli alveari che sono nuovamente colmi di miele, e quindi si riducono le colonie,
se ne impiantano delle nuove, si acconciano le arnie per l’inverno. Intanto ognuno si fa a suo modo i
conti del tempo a venire, e prega Iddio.
CATANIA
Catania si trova alle falde dell’Etna, di cui sempre ha conosciuto la rabbia, e si specchia nel
mare.
É ricca di agrumi, di vigneti, di pesca, e florida di industrie e di commerci.
Oggi conta 251.618 abitanti; è, dopo Palermo, la più grande città della Sicilia, e il suo porto è fra i
primi dell'Italia.
È la patria dei fratelli Pii, di Sant’Agata, dell’antico poeta Stesicoro, del naturalista
Giuseppe Gioeni, di Giovanni Pacini e di Vincenzo Bellini grandi musicisti, del poeta Mario
Rapisardi, di Calcedonio Reina, di Giovanni Verga, di Nino Martoglio, e tra i viventi, dello scrittore
Federico de Roberto e di Angelo Musco, grande attore comico.
Fra le bellezze della città sono da notarsi: il Castello Ursino, il Duomo, il Teatro e il
Monumento a Bellini, il Teatro Antico, l'Anfiteatro, la R. Università, la via Stericoro-Etnea, la Villa
Bellini.
Anche in Catania c’è l’Ufficio dell'Associazione per il Mezzogiorno d'Italia (Viale XX
Settembre, 52) al quale fan capo le istituzioni delle provincie di Catania, di Messina e di Siracusa.
In provincia i paesi più importanti sono: Mineo patria di Luigi Capuana, Acireale patria di
Lionardo Vigo compagno di Giuseppe Pitrè per gli studi sulla Sicilia, Adernò, Paternò, Bronte
patria di Nicola Spedalieri, Nicosia, Agira, Regalbuto, Randazzo, Linguaglossa, Riposto, Vizzini,
Caltagirone, Palagonia.
IL CANTICO DEL SOLE
Fu San Francesco d'Assisi il poverello di Cristo, e la sua santità e umiltà illuminano ancora
la terra.
Egli cantava in letizia fra le tribolazioni, ammansava i lupi rapaci, favellava con le tortore e
traeva a Dio il duro cuore degli uomini.
In tutte le creature viventi, egli sentiva, adorando, la voce del Creatore, e d’ogni cosa creata,
del sole e del lupo, del vento e dell'erba, amava chiamarsi fratello.
Or dunque per ringraziare il Signore della Sua gloria e del Suo amore, egli diceva, e insegnò
agli altri, questa lauda, detta il ‘Cantico del Sole’ o ‘Cantico delle Creature’:
Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue son le laude, la gloria e l’onore e ogni benedizione
a te solo, altissimo, si confanno e nullo omo è degno di te mentovare.
Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature specialmente messer lo frate sole, lo quale
lo giorno allumina per noi;
ed esso è bello, e radiante con grande splendore;
di te, altissimo, porta significazione.
Laudato sii, mio Signore, per sora luna e le stelle;
in cielo le hai formate chiare e preziose e belle.
Laudato sii, mio Signore, per frate vento
e per aere e nuvolo e sereno e ogni tempo,
per li quali a le tue creature dai sostentamento.
Laudato sii, mio Signore, per sora acqua
la quale è molto utile e umile e preziosa e casta.
Laudato sii, mio Signore, per frate foco
per lo quale n’allumini la notte;
ed esso è bello e giocondo e robustoso e forte.
Laudato sii, mio Signore, per sora nostra madre terra,
la quale ci sostenta e governa
e produce diversi frutti e colorati fiori et erba.
Laudato sii, mio Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore
e sostengono infermitate e tribulazione:
beati quelli che le sosterranno in pace,
che da te, altissimo, saranno incoronati.
Laudato sii mio Signore, per sora nostra morte corporale
dalla quale nullo omo vivente pò scampare:
guai a quelli che morranno in peccato mortale;
beati quelli che si troveranno nelle tue santissime volontati,
che la seconda morte non li poterà far male.
Laudate e benedicete lo mio Signore e rengraziate e servite a lui con grande umilitate.
Amen.
LA SCUOLA SERALE
Si apre la scuola serale. Come tu torni dalla campagna, vinci la stanchezza e va ad
apprendere come si legge e si scrive. Così i tuoi occhi avranno la vista.
Le scuole serali, che da pochi anni funzionano in Sicilia con ottimi risultati, sono opera dell’
Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno; con esse si cerca di vincere, non badando
a spese e a difficoltà, anche la grande piaga dell'ignoranza, e perciò della superstizione.
Il contadino ansioso di sapere impara nella scuola a essere civile e buono.
Più egli è paziente, più apprenderà; dalla lettura del sillabario passerà a quella dei libri più
difficili, di cui ha sentito parlare e che ha tanto desiderio di conoscere: il Vangelo e le Vite dei
Santi; i libri delle favole e la Storia dei Reali e dei Paladini di Francia; l’impresa dei Mille e la
vita di Garibaldi, le poesie del Meli e l'Almanacco per il popolo Siciliano che è stato scritto apposta
per lui.
Dal sapere fare soltanto la propria firma passerà a scrivere lettere come ‘i ricchi’, a ricopiare
canzoni e storie.
Quando il contadino sarà istruito, la Sicilia sarà più grande.
I FIGLI
I figli sono la corona della tua vita, e ognuno dopo di te sarà un altro te stesso. Muori e quasi
non muori: essi hanno il tuo nome, il tuo viso, i tuoi costumi.
Sappili educare: insegna loro che chi non lavora non mangia, e che al di sopra della giustizia
dell’uomo c’è la giustizia di Dio che mai non muta e non falla. Ricordati che essi sono come gli alberelli: se li curi da piccoli, verran su dritti e forti, e
daranno buoni frutti; se li trascuri, se li mangerà il selvaggio o verranno rachitici e storti.
Non li trattare sempre con la bocca dolce, che si viziano. Se ci vuole l'amaro, sii amaro. Il
volto severo fa il figlio obbediente, e il buon rimprovero lo fa saggio per un'altra volta.
Mandali a scuola, che chi sa leggere ha due occhi di più; e dove poi vanno fan buona figura.
Insegna loro che la fronte dell'uomo si conosce dal suo sudore e ognuno dalle sue opere,
come l'albero dai frutti.
Quando son grandi, non li forzare a stare con te: ogni uccello quando ha penne vola via, e
vuole il suo nido. S’è detto sempre che essi lasceranno il padre e la madre per farsi ognuno la sua
sorte.
Allegrati dei figli dei tuoi figli, perché essi ti allungano la vita e sono il segno che il Signore
ti ha benedetto.
LE SEMENTI
Perché il raccolto sia buono bisogna che le sementi siano nette e curate.
Sarebbe bene che ogni anno al tempo della mietitura tu mettessi in disparte le spighe più
belle per grossezza e sanità, e toltine i chicchi li serbassi apposta per la semina.
Se un seme è marcio o rachitico darà tristo germoglio; il seme grosso e sano spampana forte
e fruttifica ottimamente. La natura dà ciò che riceve, e ogni chicco viene come si pone.
Se vuoi fare un vivaio di mandorli o noci o albicocchi, scegli forse semi guasti o malazzati? Quanto più la semente sarà buona, tanto migliore sarà la produzione, e tu prima di seminare guarda
bene il tuo frumento. Cèrnilo con cura, che sia libero di gioglio, trifoglio e orzo. La semenza
dev'essere pura.
Ogni chicco ha i suoi parassiti che poi se lo rodono e tutto lo guastano (mascherella); e tu
appena hai misurato le sementi necessarie ai tuoi campi, làvale con una soluzione di pietra celeste
(solfato di rame) all'1 o all°1 1/2 per cento al massimo.
Per la quantità affidati al tuo pugno. Semina stretto: il buon pugno, fa il buon giugno.
Interrati che hai i chicchi, alla giusta profondità secondo che il terreno sia tenace e umido, o
leggero e asciutto, lascia fare alla terra che conosce meglio di te la sua arte. Prega tempo favorevole,
e loda Iddio.
LA BARONESSA DI CARINI
(continuazione)
Stu ciuriddu nasciu ccu l'àntri ciuri
spampinava di marzu a pocu a pocu:
aprili e maju ni gudiu l'oduri,
ccu lu suli di giugnu pigghiau focu:
e di tutt'uri stu gran focu adduma,
adduma di tutt'uri e nun cunsuma
stu gran foco a du’ cori duna vita
li tira appressu comu calamita.
Cchi vita duci, ca nudda la vinci,
gudirla a lu culmu di la rota!
Lu suli di lu celu passa e ‘mpinci,
li räj a li du’ amanti fannu rota:
na catinedda li curuzzi strinci,
battinu tuttidui supra na nota:
e la filicità chi li dipinci
attornu
attornu di oru e di rosa.
Ma l'oru fa la ‘nvidia di centu,
la rosa è bedda e frisca pr'un mumentu:
l'oru a stu munnu è ‘na scuma di mari,
sicca la rosa e spampinata cari.
Lu Baruni di caccia avia turnatu:
"Mi sentu straccu, vogghiu ripusari..."
Quannu a la porta si cci ha prisintatu
un munacheddu, e cci voli parrari.
Tutta la notti ‘nsemmula hannu statu:
la cunfidenza longa l'hannu a fari!
Gesù-Maria! chi àriu ‘nfuscatu:
chistu di la timpesta è lu signali…
Lu munacheddu nisceva e ridia,
e lu Baruni susu sdillinia:
di nuvuli la luna s'ammugghiau,
lu jacubbu cuculla e sbulazzau.
Afferra lu Baruni spata ed ermu:
-Vola, cavaddu, fora di Palermu!
Prestu, fidili, binchì notti sia,
viniti
a la me’ spadda in cumpagnia.
‘Ncarnatedda calava la chiaria
supra la schina d'Ustica a lu mari:
la rininedda vola e ciuciulia,
e s'ausa pri lu suli salutari:
ma lu spriveri cci rumpi la via,
l'ugnidda si li voli pillicari!
Timida a lu so’ nidu s'agnunia
a mala pena ca si po’ sarvari:
e d'affacciari nun azzarda tantu
e cchiù nun pensa a lu filici cantu.
Simili scantu e simili tirruri
appi la Barunissa di Carini:
era affacciata cu li so’ signuri,
chi si pigghiava li spassi e piaciri,
l'occhi a lu celu e la menti all'amuri,
termini ‘stremu di li so’ disij.
"Viju viniri na cavallaria,
chistu è me’ patri chi veni pri mia!
Viju viniri na cavallarizza,
chistu è me’ patri chi mi veni ammazza!"
- Signuri patri, cchi vinistu a fari?
- Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
- Signuri patri, accurdatimi un pocu
quantu mi chiamu lu me’ cunfissuri.
- Havi tant'anni chi la pigghi a jocu,
ed ora vai circannu cunfissuri?!
Chista ‘un è ura di cunfissioni,
e mancu di riciviri Signuri!
-
E comu dici st'amari paroli,
tira la spata e càssaci lu cori.
- Tira cumpagnu miu, nun la sgarrari,
l'appressu corpu chi cci hai di tirari!
–
Lu primu corpu la donna cadìu,
lu secunnu corpu la donna murìu.
Lu primu corpu l'appi ‘ntra li rini,
l'appressu corpu ci spaccò curuzzu e vini!
(continua)
ARETUSA
Aretusa fu una ninfa siracusana.
Era una delle compagne di Diana, Dea della caccia e dei boschi; e perciò casta e gelosa della
sua verginità.
Un giorno che tutta ignuda si bagnava in un ruscello, fu vista dal pastore Alfeo, che accesosi
di lei cercò di averla.
Atterrita la vergine fuggi; ma per quanto i suoi piccoli piedi volassero straziandosi ai ciottoli
e ai pruni, tosto sentì su di sé l’inseguitore. Allora, mentre affannata cedeva, pregò piangendo Diana
che la salvasse; e la Dea pietosa la trasformò in fontana.
Sfuggita così alla presa di Alfeo, essa si gettò in una fessura del terreno, e corso lungamente
sotterra, riuscì alla luce nel porto di Siracusa, e si tuffò a mare.
Disperato l'amante, tanto e così fortemente pianse che fu anche lui trasformato in fiume; e
dopo lungo errare per le campagne egli potè finalmente frammischiare le sue acque a quelle della
vergine ninfa.
I MOTTI
Campa, e fatti vecchio.
Acqua e vento di montagna,
chiudi la porta e mettici la stanga.
Con gallo e senza gallo si fa giorno.
Gran parte dell'anno passa a forza d’inganno.
A San Giovanni l'alveare spande, a San Martino l'alveare è pieno.
Getta semenza che Dio pensa.
Per San Martino, il frumento meglio sotterra che al mulino.
Il villano semina e fa preghiere, e Dio ciò che vuole gli concede.
Pri San Micheli (28 Sett.) e Santa Caterina (25 Nov.) pigghi 'a coffa e va a simina.
Il vino è buono per chi lo sa bere.
SIRACUSA
Siracusa è la più antica città della Sicilia. Fu una delle più belle del mondo, e non aveva
nulla da invidare a Roma, ad Atene, a Cartagine.
Del passato splendore, cantato dai poeti, oggi ben poco resta: le Latomie, l'Orecchiio di
Dionisio, la grotta dei Cordari, il castello Eurialo, il Tempio di Giove, il Teatro Greco, uno dei più
grandi del suo tempo e in cui, ancor oggi, per iniziativa di alcuni amanti dell'arte si celebrano
spettacoli antichi con grande concorso da ogni parte d'Italia e anche d'Europa.
La città moderna conta circa 42.000 abitanti e fra le sue bellezze sono da notarsi: il Duomo e
il Museo Nazionale. Ha un porto importante, scalo dei viaggi nel Mediterraneo.
Nell'antichità fu patria dei poeti Teocrito e Mosco, del grande fisico e matematico
Archimede, di Santa Lucia. Nei tempi moderni del poeta Tommaso Gargallo.
In provincia, i paesi più notevoli sono: Lentini patria dell’antico filosofo Gorgia, Floridia,
Noto, Avola, Modica, Pachino, Scicli, Vittoria, terra famosa di vini, Comiso, Palazzolo.
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