Questo scritto ricalca in alcun tratti -più o meno- un testo in cui ci siamo imbattuti
di cui ignoriamo l'autore, ma
potrebbe trattarsi di un Cardinale romano.
Qualcuno ha scritto
che in un mondo che va diventando sempre più stretto, il problema dei rapporti
tra gruppi sociali (e quindi anche religiosi) con tradizioni diverse è divenuto
negli ultimi tempi via via sempre più impellente.
Nella società dei nostri giorni, quella occidentale entro cui viviamo, è stato sancito in sede civile sin dall'Illuminismo (XVIII secolo) e in sede ecclesiastica sin dal Vaticano II (1962-65) il principio morale dell'eguaglianza degli uomini, delle comunità e dei riti per l'espressione della fede, e nello stesso tempo è stato fissato il diritto inalienabile alla differenza culturale e alla conservazione delle identità.
Chi, ancora ai nostri giorni, forza in direzione del sincretismo e magari all'assimilazione non fa altro che usare violenza (morale) e rivelare volontà repressiva verso ciò che è “altro”.
Qualcun altro ha ancora scritto che è dovere di ciascun essere umano sensibile salvaguardare i valori e le ricchezze esperienziali insite all'interno di qualsiasi cultura umana.
All'interno della Chiesa Universale il bagaglio normativo e culturale condensato nella disciplina sancita in sede sinodale (collegiale) in Grottaferrata e, peraltro, avallata dai più alti livelli rappresentativi della Chiesa (il Papa), non è altro che l'attuazione, all'interno dell'Eparchia di Piana degli Albanesi, del principio morale dell'eguaglianza dei riti e nel contempo del diritto alla conservazione dei significati culturali, cultuali e liturgici della tradizione bizantina. Significati che tre Vescovi finora, dall'istituzione della diocesi, con la loro solida formazione liturgica hanno rispettato.
Il ricorso ad espedienti “intelligenti” tendenti a ridurre all'insignificanza la disciplina sinodale scritta per onorare e tutelare la presenza del rito bizantino-costantinopolitano in terra italiana, non sono da ritenersi la soluzione ai problemi che sempre insorgono, sempre insorgeranno e che comunque esistono in qualsiasi comunità.
Risulta altresì impossibile non esprimere forte preoccupazione per l’adozione di provvedimenti in ambito eparchiale che tendono inevitabilmente ad intaccare la complessità della storia e della cultura altrui. Provvedimenti che sembrano animati da uno spirito personalistico e, quand’anche concordati in alta sede –prescindendo dall'Illuminismo e dal Vaticano II-, si rivelano estranei allo spirito evangelico di solidarietà e fraternità.
È da tenere infine presente che destrutturare il quadro culturale, cultuale e liturgico di una comunità più o meno fragile, può apparire insignificante ed inconsistente per l'estraneo che viene da lontano e non riesce a comprenderlo, ma costui non deve mai dimenticare -è nostra convinzione- che egli non è nella posizione di poter giudicare o peggio di ignorare ciò che realmente esiste.
Ampliare gli orizzonti intellettuali nel XXI secolo significa rispettare e far propri i valori dei luoghi che ci ospitano. Sicché chiunque detenga poteri e responsabilità, dovendosi recare presso comunità umane dotate di usanze diverse, non dovrebbe sfruttare i propri poteri per sottomettere tali culture “altre”; dovrebbe semmai adattarsi al nuovo ambiente e ove, per qualche ragione, l’adattamento si rivelasse inattuabile limitarsi al rispetto delle tradizioni.
E proprio il Rispetto potrebbe rivelarsi chiave di volta per le sorti dell’Eparchia di Piana degli Albanesi e per quelle della comunità arbëreshe di Sicilia, in quanto rispettare la tradizione significherà rispettare la comunità che in seno a questa tradizione è nata, è vissuta fino ad ora e in essa sola si rispecchia.
«Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere.»
"La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo".
(Eneo Domizio Ulpiano, Digesto, 1.1.10pr).
Questo noi pensiamo e questa visione possediamo del tempo che stiamo vivendo.
Se per caso, ma non è così, il Vaticano II è stato una finta, svilupperemo meglio il significato dell'Illuminismo, in attesa che arrivi un vero Vaticano II.
Se per caso, ma non è così, il Vaticano II è stato una finta, svilupperemo meglio il significato dell'Illuminismo, in attesa che arrivi un vero Vaticano II.
IlContessioto
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