N. 7
Le “Verità” di fede che sortiscono
dal Credo sono definite “divinamente rivelate”
e sono “definitive”.
Esse si impongono –con piccole varianti-
a tutti i cattolici, gli ortodossi ed i protestanti.
Gli ortodossi armeni iniziano la
recita con “Crediamo” al plurale, il resto della cristianità con “Credo in…”
Tutte le chiese
orientali dicono che lo Spirito Santo procede dal Padre; i cattolici romani ed
i protestanti che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.
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La Chiesa cattolica suscita
la fede su una dottrina in sintonia con la ragione. Credo ut intelligam (Credo per capire) diceva Sant’Agostino e
aggiungeva “Chiunque crede pensa. Se non è pensata, la fede non è niente”.
Parole
che non dovrebbero essere invecchiate. Successivamente Tommaso d’Aquino prova
ad armonizzare la fede e la ragione “la fede non teme la ragione, ma la ricerca
e in essa confida”.
In ambito cattolico san Bonaventura (1221-1274) e Duns
Scotto (1266-1308) provano a discostarsi da questa tesi nel presupposto che la
teologia e la morale dipendono meno dalla ragione che dalla rivelazione e dall’intuito
personale (l’esperienza). San Bonaventura accusa l’acquinate di “mettere l’acqua
della ragione nel vino puro della
sapienza divina”. San Tommaso contestato da più parti, compresa l’Università di
Parigi dove insegnava, verrà condannato dal Vescovo di quella città -1277- per
essere riabilitato e canonizzato, da morto, nel 1323 ed essere proclamato
dottore della Chiesa nel 1567. La corrente spiritualista della Chiesa Cattolica
continuerà parallelamente a svilupparsi e sarà incarnata dal mistico tedesco Maestro
Eckhart (1260-1327).
Nel pensiero cattolico la
fede presuppone quindi l’adesione a una parola umana proveniente da Dio. Essa passa
attraverso un incontro col Dio nascosto, e la sua struttura è determinata dagli
attributi di questo Dio che sono la libertà, la fedeltà, l’onnipotenza
creatrice, l’amore e la misericordia.
Avremo modo di scoprire
che questa impostazione però crollerà davanti all’avanzare dell’Illuminismo.
Nelle Chiese Orientali è
chiara –da sempre- viceversa l’impossibilità di poter conoscere per vie
razionali, attraverso percorsi
filosofici, il divino.
La teologia catafatica in uso in Occidente fa uso di parole umane per provare a descrivere Dio -come visto sopra- per mezzo delle sue proprietà, che
in realtà sono proprietà dell’uomo.
La teologia apofatica, in
uso presso le chiese orientali fa uso meno esteso di quella catafatica,
nega tutto ciò che non è Dio ed evidenzia l’inattingibilità e l’assoluta
trascendenza di Dio, inaccessibile e non
esprimibile con le parole umane.
I padri della Chiesa
Dionigi Areopagita, sulle orme di altri
padri della Chiesa (Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa) asserisce che Dio
si conosce attraverso l’oscurità o la penombra della “non visione” (non conoscenza),
cioè attraverso la rinuncia ad ogni conoscenza razionale. Negando tutto ciò che
Dio non è si perviene alla completa inconoscibilità della Causa di ciò
che esiste, essendo
superiore
a tutte le cose, non è priva di essenza, di vita, di ragione, d’intelligenza;
non è neppure un corpo, e non possiede né una figura, né una forma, né una
qualità, né una quantità, né un peso; non si trova in nessun luogo, non è visibile, né può essere toccata
materialmente; non ha sensazioni, né è oggetto di sensazioni (…). Non è né
anima, né intelligenza, e non possiede né immaginazione, né opinione, né parla,
né pensiero; essa stessa non è né parola, né pensiero; e non è oggetto né di
discorso, né di pensiero. Non è né numero, né ordine, né grandezza, né
piccolezza, né uguaglianza, né diseguaglianza, né somiglianza, né
dissomiglianza; non sta ferma, né si muove, né rimane quieta, né è una forza;
non è luce; non vive e non è vita; non è né essenza, né eternità, né tempo; non
ammette neanche un contatto intellegibile;
non è né scienza, né verità, né regno, né sapienza (…) né qualcuna delle
cose che possono essere conosciute da noi o da qualche altro essere (…). Non esistono affatto, a proposito di
essa, né affermazioni né negazioni;
quando facciamo delle affermazioni o
delle negazioni a proposito delle realtà
che vengono dopo di essa, noi non l’affermiamo, né la neghiamo. In
effetti la causa perfetta e unitaria di tutte le cose è al di sopra di ogni
affermazione; e l’eccellenza di colui che è assolutamente staccato da tutto e
al di sopra di tutto è superiore a ogni negazione.
Ed ancora
Dio è riconosciuto in tutti gli esseri e al di fuori di
tutti. E Dio è conosciuto attraverso la
conoscenza e l’ignoranza. Gli appartengono la conoscenza e l’ignoranza. Gli
appartengono la cognizione, la ragione, la scienza, il tatto, la sensazione,
l’opinione, l’immaginazione, il nome e tutto, ma non è concepito, né detto né
chiamato. E non è nessuno degli esseri né è conosciuto in nessuno degli esseri.
Ed è tutto in tutto e niente in nessuna cosa, ed è noto a tutti da tutte le
cose e a nessuno da nessuna. Infatti anche questo diciamo rettamente di Dio, e
da tutti gli esseri è celebrato in relazione a tutti gli esseri di cui è causa.
La più divina conoscenza di Dio è pi quella che avviene attraverso l’ignoranza,
per l’unione che supera l’intelligenza, quanto la mente, staccandosi da tutti
gli esseri e poi abbandonando anche se stessa si unisce ai raggi
splendidissimi, illuminata da essi e in essi per la profondità imperscrutabile
della Sapienza. Eppure, come dicevo, bisogna riconoscere questa da tutte le
cose: infatti, secondo la Scrittura, è lei che ha creato tutto e pone sempre
tutto in armonia ed è causa della
sistemazione e dell’ordine indissolubile
di tutte le cose, e sempre accorda i termini delle prime con gli inizi delle
seconde: nella bellezza è l’accordo e
l’armonia unitaria di tutto.
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