Dell'Abbazia di Santa Maria del Bosco, della Storia di questo complesso monumentale e spirituale, ai giorni nostri sappiamo molto e nello stesso tempo poco, o forse nulla.
Non sono mancati i Convegni per porre l'accento sulla condizione di odierno degrado e di abbandono in cui versa uno dei più importanti monasteri della storia moderna in Sicilia.
Alla luce dei fatti questi Convegni sono serviti a promuovere sul piano personale più chi li indiceva che a sviluppare sentimenti veri di amore verso lo spirito che da quei luoghi viene fuori. Chi scrive ritiene che finora non sono serviti a noi "curiosi" dei giorni odierni a scoprire il fascino che da quegli ambienti, da quelle mura, viene fuori.
SANTA MARIA DEL BOSCO DI CALATAMAURO
Se sul finire del 1200 monaci erranti (eremiti) non disciplinati da alcuna "regola" (come invece era obbligo nell'Occidente romano) si sono riuniti lì su quegli sbalzi dei Monti Sicani a rievocare i residui di spiritualità orientale-bizantina ancora esistente in Sicilia, in un periodo in cui nell'isola imperversava la guerra del vespro ed il territorio di Calatamauro vedeva le scorrerie dei corleonesi (alleati di Palermo) che con incendi dei boschi ed assedi della fortezza omonima intendevano estinguere ogni residuo di forze angioine, è anche vero che quegli eremiti furono obbligati -col ritorno della pace- dal vescono territorialmente competente di Agrigento a munirsi di una "regola" ad uniformarsi all'ormai consolidato modo di essere monaci "occidentali".
Vergine col Bimbo della bottega Della Robbia |
I monaci di Santa Maria scelsero come era allora abituale in tutta Europa la regola benedettina; regola che permanne per parecchi decenni (secoli) e che grazie ai favori dei baroni del luogo (i Peralta) e all'accondiscendenza del Vescono di Agrigento consentì il sorgere e l'affermarsi di una delle più prestigiose Abbazie di Sicilia.
Quando, centocinquantanni dopo l'avvenuta affermazione e crescita di influenza dell'Abbazia, nella seconda metà del millequattrocento, a pochi chilometri dal monastero gli eredi dei Peralta, i Cardona, decisero di accogliere una comunità di albanesi e di affidare loro la gestione dei due feudi più prossimi al monastero medesimo (Contesse e Serradamo) è probabile che i monaci non furono contenti. Fino ad allora le donazioni dei baroni avevano esteso le proprietà ed i feudi di pertinenza ma da allora la possibilità di estensione (in continuità) fu preclusa sia nei domini dei Cardona che (sul versante di Bisacquino etc.) sui domini della Chiesa di Monreale.
In effetti fra le centinaia di monaci che sono vissuti o si sono legati nei secoli all'Abbazia, fino alla sua definitiva chiusura negli anni sessanta dell'Ottocento, i ricercatori sono riusciti ad annoverare un solo "contessioto".
Non è che fra contessioti ed Abbazia esistesse malumore. Molta gente di Contessa nei lunghi inverni di "fame" del Settecento ed Ottocento trovava nel monastero una scodella di cibo caldo. L'Università di Contessa (il Comune) invece attivò nei confronti dell'Abbazia subito dopo i provvedimenti del Caracciolo (fine Settecento) numerose e continue controversie legali per esigere diritti ed usi civici sui feudi di Santa Maria. Controversie che il Comune proseguì anche contro la famiglia Inglese, che del Monastero acquistò dopo la campagna garibaldina in Sicilia gran parte del patrimonio immobiliare.
A Contessa il monastero era -in pratica- vissuto con sentimenti di simpatia ma anche di raccapriccio, o almeno di "ironia". Ne sono espressione le numerose storielle, composizioni e ritornelli tramandateci dai nostri nonni (alcune in arbereshe ed altre in siciliano) che prendono di mira ora l'abate, ora il padre priore ed ora i singoli monaci del monastero.
Avremo modo di tornare sull'argomento.
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