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sabato 11 giugno 2016

Finanza Locale. Riportiamo un interessante articolo su Messina, ma al 90% si potrebbe applicare su ... ...

GIORNALE DI SICILIA

Messina, uno dei tre maggiori comuni siciliani, una delle tre Città metropolitane dell'Isola, è alle soglie del default. 
Il giudizio della Corte dei Conti sulla situazione gestionale e finanziaria non lascia spazio all'ottimismo, tante e tanto ampie sono le criticità riscontrate nei conti comunali. Mentre il giudizio dei Magistrati mette in luce le falle contabili di Messina, un altro grande comune, Catania, è sotto la lente d'ingrandimento.
Oggi gestire un comune è compito ingrato e, per molti aspetti, immane ma certo fa pensare l'innalzamento dei toni della contestazione contro la Regione Siciliana, per il tardivo invio della quota di competenza; è vero, mancano ancora all'appello circa 240 milioni di euro di trasferimenti regionali, ma la sola spesa corrente dei Comuni siciliani è di 4,5 miliardi di euro l'anno. 
Eppure la fibrillazione è a mille. Prima ancora dello stato dei conti, il Comune messinese presenta evidenti falle nella tempistica degli atti amministrativi fondamentali; il bilancio di previsione dell'anno 2014 è stato deliberato a dicembre dello stesso anno e quindi a esercizio chiuso mentre, a marzo 2016, non c'era ancora traccia del bilancio di previsione 2015. 
La prima bolla nei conti è quella dei residui attivi; si tratta delle entrate previste in bilancio e mai riscosse. Ebbene tale voce ha raggiunto un importo elevatissimo in rapporto alle entrate; nè il futuro appare più sereno se la contabilità comunale segnala, ad esempio, l'assenza di entrate per la Tosap e la Cosap: nessuno a Messina paga l'utilizzo di spazi pubblici e nessuno evidentemente lo chiede. Sul fronte dei debiti la situazione appare ancora più intricata; mentre i debiti fuori bilancio e riconosciuti sfiorano i 24 «mila» euro, i debiti fuori bilancio e non riconosciuti raggiungono i 262 «milioni» di euro; persino i magistrati contabili non nascondono la sorpresa per un ammontare di debiti fuori bilancio, ancora da formalizzare, circa «dieci mila volte più grande» di quelli riconosciuti. 
Per tacere dei debiti «ufficiali» iscritti in bilancio che superano i 148 milioni di euro. I debiti gravano, ormai, come una mannaia sul Comune messinese ed hanno raggiunto, dopo anni di «patologico rinvio agli esercizi futuri», un volume impressionante, pari al 100 per cento di tutte le entrate in bilancio. Espressioni come «disallineamento», «mancata adozione», «mancata riscossione», «utilizzo irregolare», «mancata previsione», «accantonamento mancato», «reiterate irregolarità», «discordanze», scandiscono come i grani di un rosario il giudizio contabile sul comune di Messina. 
I capitoli di bilancio interessati dal giudizio sono molteplici, fino alla mancata pubblicazione nel sito web e la mancata trasmissione alla Corte dei Conti dell'elenco delle spese di rappresentanza. Quanto poi ai crediti e ai debiti reciproci tra comune e Società partecipate, le discordanze (caso non certo unico in Sicilia) sono più che appariscenti; l'Ato Me3, tanto per fare un esempio, porta in bilancio un credito di quasi 17 milioni di euro, mentre la Ragioneria comunale «riconosce» appena 151 mila euro, il tutto condito dal giudizio della Corte sulla «cronica incapacità del comune a porre in essere prescrizioni normative imperative sul controllo degli organismi partecipati»; il linguaggio è tecnicamente involuto, ma il senso appare chiaro. Si tratta ormai di una crisi gestionale e finanziaria di tale portata che le misure messe in campo dal comune stesso hanno un valore «aggettivamente relativo», anche alla luce della considerazione che nell'ultimo anno, pur dopo i rilievi della Corte, l'ammontare dei debiti è rimasto immutato. Anche l'annunciata intenzione di procedere all'accorpamento in un unico soggetto delle tre società che operano nel settore dell'acqua, dei rifiuti e dei trasporti, non apporta elementi utili all'attenuazione del giudizio, stante è «carattere generale e programmatorio» delle iniziative annunciate. 
La Corte dei Conti, tenendo conto dell'ammontare dei debiti fuori bilancio, della «macroscopica discrasia» tra debiti accertati e debiti stimati e del disavanzo accertato, ha deciso di intervenire, rimettendo al «prudente apprezzamento» dell'amministrazione messinese il blocco di ogni altra spesa, con esclusione di quelle obbligatoriamente previste dalle legge. 
Se non è default, ci manca poco. 
Ora che i fondi regionali e statali
sono calati, da Messina a Catania
sono in forte difficoltà anche
perché la riscossione è ai minimi
Va detto comunque che il comune si trova impegnato, dal 2013 (fin dai tempi del Commissario Luigi Croce), in un piano di riequilibrio decennale per il risanamento dei conti disastrati, piano che però è da allora all'esame del Ministero dell'Interno per il susseguirsi di nuove leggi in materia di finanza comunale. Fino a quando il Ministero non completa l'istruttoria, resta impedita la possibilità per i creditori di procedere a pignoramenti, ne è possibile per la Regione la dichiarazione di dissesto del comune, atto che comunque resta obbligatorio per gli Amministratori e non certo discrezionale. 
La vicenda, comunque, del comune di Messina rappresenta la nemesi dei comuni siciliani che per anni hanno avuto una gestione agevole grazie ai generosi trasferimenti dello Stato e della Regione, che hanno puntualmente trascurato la riscossione puntuale dei tributi di competenza, che hanno visto dilatarsi il numero degli addetti (47% in più della media nazionale degli impiegati comunali), che hanno usato e abusato del meccanismo delle società partecipate per aggirare le norme sulle assunzioni e sugli acquisti, che hanno generato un debito mostruoso un materia di rifiuti per circa 1,8 miliardi, e che ora, dopo la parziale chiusura del rubinetto dei trasferimenti, sono pesantemente (ed in taluni casi irreversibilmente) entrati in crisi.

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