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OTTONE I, primo re della Grecia, gli alunni del Collegio Greco
L’amico VIRGILIO AVATO,
in ex Alunni del Collegio Greco, recupera un articolo di un giornale
greco dal titolo “GLI ALUNNI DEL COLLEGIO GRECO [si rivolgono] AL
RE OTTONE.
Si tratta di Ottone I
(1815-1867), re di Grecia dal 1832 al 1862.
Come si vede, la sua data
di morte non coincide con la data di cessazione del servizio regale.
Infatti, spacciata la
Repubblica capeggiata da Capodistria, le grandi potenze imposero alla
Grecia una monarchia e, nel 1832/33, assegnarono il nuovo regno al
principe di casa Wittesbach, Ottone di Baviera.
Il quale, per aver
privilegiato la camarilla bavarese nelle principali leve del potere,
provocò lo scontento delle classi dirigenti greche, tagliate fuori
dalla direzione politica del paese.
Così, una prima rivolta
dei militari nel 1843, costrinse Ottone a concedere una costituzione
che non fu mai applicata, mentre una seconda insurrezione, nel 1862,
lo costrinse ad abdicare.
A questo personaggio,
dimentico delle aspre lotte che il popolo greco – con al centro
tanti valorosi capi arvaniti
– aveva sostenuto per l’indipendenza dai turchi ottomani, si
rivolgevano gli alunni del Pontificio Collegio Greco per avere
protezione.
Da chi? Da cosa?
È risaputo che
italo-greci e italo-albanesi, non potevano contare su molti appoggi
per la loro sopravvivenza.
La stessa Santa Sede usò
una politica diversa per i due gruppi.
Per i primi fu decretata
la latinizzazione. Già stati assegnati a Costantinopoli con la crisi
iconoclasta, insieme all’Illirico, essi tornavano al Patriarcato
romano con la reconquista
normanna. Conferito il titolo regio ai Normanni, il Papa li
ingaggiava a “normalizzare” la situazione degli Italo-Greci.
Per i secondi, invece, la
S. Sede usò una politica diametralmente opposta, spesso
scontrandosi con i signori feudali e i vescovi latini nei cui
territori si erano stanziati gli Arbëreshë.
Nella sua inesauribile
sagacia politico-religiosa, la Sede romana proteggeva le comunità
italo-albanesi di rito bizantino (molti continuano a chiamarlo
“greco”) perché non aveva mai cessato di sognare l’unità dei
Cristiani e la sconfitta degli Ottomani, ritenuti allora il male
assoluto.
Fu, quindi, normale che
venuta a libertà la Grecia, essa venisse vista come una vittoria del
Cristianesimo sull’Islam e si appuntasse su di essa il desiderio di
riscatto delle minoranze religiose di tradizione bizantina (molti
continuano a dire “greca”) sparse in Italia e altrove.
Ma la tradizione bizantina
(molti continuano a chiamarla “greca”) degli Arbëreshë non li
fa greci e neppure le suppliche rivolte a Ottone I di Grecia anche
dagli alunni arbëreshë del Collegio Greco li trasforma, per
incanto, da arbërori a elleni.
Nihil novi!
Non si rivolgevano agli Czar di Russia tanti nostri papades ( ne
cito uno: papas Giuseppe Musacchia +1910) ogni qualvolta si avevano
screzi con gli Ordinari latini?
Infine:
- una considerazione: la
legge italiana di salvaguardia delle Minoranze linguistiche è
equamente estesa a “greci” e “albanesi” , due distinti gruppi
linguistici storici;
- una domanda: che
interesse ha il buon VIRGILIO AVATO a negare la lapalissiana evidenza
che, nel gergo ecclesiastico di una volta, “greco”, oggi
bizantino, è in opposizione a “latino” e pertanto, la grande
famiglia bizantina ammette greci, ciprioti, serbi, montenegrini,
rumeni, russi, arabo-melchiti, albanesi … e Arbëreshë, ognuno con
la propria identità etnica e linguistica?
- un richiamo al
Concilio: nel dialogo ecumenico, più chiara è l’identità dei
dialoganti, maggiori saranno i frutti dell’intesa.
Non sarà appiattendosi,
peggio mimetizzandosi su una vaga grecità “avatiana” o su una
riaccesa latinità “gallariana” che la nostra piccola, ma
gloriosa CHIESA ABRËRESHE raccoglierà frutti ad maiorem Dei gloriam
et ad unitatem christianorum fovendam.
Palermo, 21.11.2017
zef chiaramonte
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