La gente ormai è andata via.
Contessa Entellina di oggi è un guscio vuoto.
Una amica pochi giorni fa mi ha ricordato che fra poco meno di tre mesi saranno trascorsi 50 anni dal terremoto del Belice. Mi disse: "Bisogna fare qualcosa per non dimenticare".
Un cinquantennio si sarà chiuso nel gennaio prossimo a Contessa Entellina; forse è più corretto però cominciare a dire che si sarà conclusa un'epoca e con essa sarà pure tramontata definitivamente la sostanza dell'identità di ciò che fu Contessa Entellina prima del terremoto e continuò ancora ad esserlo -per certi aspetti nel bene (l'identità) e nel disagio (baraccopoli, avvio non facile del processo della ricostruzione)- nel primo decennio post-terremoto.
La ricostruzione edilizia, nella sua impostazione programmatica e attuativa, fu portata avanti qui a Contessa grazie ad un solido sostegno cittadino da un uomo "politico" nel decennio successivo al sisma il quale alla manodopera locale che fino allora lavorava "a jurnata" fece conoscere i contratti di lavoro, la dignità del lavoro collettivo nei grandi cantieri e nelle grandi opere.
Strade, case, diga Garcia, strutture civili (edifici pubblici, strutture sportive etc.) tutte furono immaginate in una visione che segnava il tramonto del vecchio mondo contadino, della miseria del vivere in vecchie catapecchie e sotto sotto il giogo dello sfruttamento umano.
Dopo quel nostro concittadino che possedeva visione politica, seguirono decenni che furono più facili per gli ulteriori amministratori che attuarono quel disegno già tracciato. Quel disegno della "ricostruzione" si è esaurito comunque da parecchio tempo -lo constatiamo tutti ogni giorno- e sarebbe stato buona cosa se fossero arrivati altri a "programmare" e a credere in ulteriori visioni di modernità nell'ambito dello Stato Centrale più consapevole dei bisogni delle periferie.
Non è arrivato nessun altro purtroppo in tutta la Valle ed oggi siamo con strade in pessimo stato di conservazione attraverso cui tutti i nostri giovani fuggono dalle case antisismiche che sono state realizzate. Fuggono non più attraverso la statale Corleone-Marineo ma attraverso la fondovalle Palermo-Sciacca e poi la Mazara-Palermo per raggiungere l'aeroporto Falcone-Borsellino. Vanno a Roma, Milano, Toscana, Francia, Germania. Vanno e sanno che non torneranno mai più, se non nei primi anni di emigrazione per assistere ancora alla festa della Madonna della Favara e rivedere pure i loro sempre più vecchi parenti.
La ricostruzione post-terremoto fu solo una parentesi per costruire partite catastali edilizie antichissime e inidonee da sempre, da quando nel periodo post-garibaldino iniziò l'emigrazione ininterrotta fino al periodo fascista (quando fu bloccata d'autorità) per 'America e riprendere dopo massicciamente negli anni cinquanta e primi sessanta.
Le case da sole non bastano per tenere la gente in questo lembo di Sicilia. Tutte le case della Valle del Belice sono oggi gusci vuoti. In una abitazione su otto a Contessa come a Salaparuta, Roccamena, Poggioreale vivono pensionati, persone occupati nella pubblica amministrazione (burocrati, forestali, insegnanti ..) e disoccupati cronici. Le altre sette abitazioni su otto sono letteralmente disabitate e l'attuale Amministrazione Comunale ha pure l'istinto di rifiutare un massiccio flusso di immigrati.
In questo quadro è patetica la campagna elettorale amministrativa in questi paesi. I pochi giovani che vorrebbero non lasciare i luoghi natii sono spinti a gareggiare per essere eletti amministratori non perchè possiedono sogni, visioni, programmi ma per l'avvilente indennità di carica.
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