La Grecia è a un passo dall’uscita dall’Eurozona.
Con una decisione a sorpresa, il gabinetto del governo di Atene, ha predisposto la chiusura per oggi (lunedì) degli sportelli bancari e della Borsa e per i prossimi 6 giorni lavorativi fino a martedì 7 luglio, quando sarà noto il risultato del referendum sul piano di aiuti.
L’obiettivo è evitare il collasso finanziario. La corsa ai bancomat ha raggiunto un ritmo insostenibile con il rischio reale che il sistema bancario resti a secco di liquidità.
A questo si aggiunge il pericolo di uno tsunami speculativo sulla Borsa di Atene.
Tsipras ha usato toni di accusa alla Bce e all’Eurogruppo. Ha fatto appello alla calma, sottolineando che «i conti correnti sono al sicuro», che «sarà garantito il pagamento di stipendi e pensioni».
Ha inltre addossato tutta la responsabilità di questa decisione alla Bce e all’Eurogruppo che «hanno respinto la richiesta greca per una breve estensione del programma, con un atto senza precedenti per gli standard europei e mettendo in discussione il diritto di un popolo sovrano di decidere».
Per Tsipras si tratta di un vero tentativo di «cancellare il processo democratico».
Il capo del governo grec usa parole di sfida: «Nè l'Eurotower ne’ altri fermeranno il processo del referendum».
Al «ricatto e all’ingiustizia risponderemo con orgoglio e speranza» e al popolo greco dice che «l’unica cosa da temere in queste ore critihe è la paura».
FRANCESCO GIAVAZZO, ecnomista
Tra il 1995 e il 2009, l’anno prima dell’inizio della crisi, il reddito pro capite medio dei cittadini greci è salito dal 47 al 71 per cento di quello dei cittadini tedeschi.
Un avvicinamento straordinario, in realtà reso possibile da una altrettanto straordinaria accumulazione di debito, non molto diversa dall’esperienza italiana degli anni 80 (fortunatamente meno drammatica), che infatti finì con la crisi del 1992.
Fra il 2010 ed oggi il rapporto fra i due redditi pro capite è tornato al livello del 1995: una caduta molto dolorosa, che si era vista solo durante la Grande Depressione degli anni Trenta, tuttavia inevitabile perché la ricchezza non la si conquista indebitandosi.
Questo arretramento non è dovuto, come alcuni - ad esempio Grillo - sostengono, al peso degli interessi che in questi anni la Grecia è stata costretta a pagare sui suoi debiti. Come mostrano Ken Rogoff e Jeremy Bulow (www.vox.eu), dal 2010 al 2014 la Grecia ha continuato a ricevere dai Paesi europei, dalla Bce e dal Fondo monetario, un flusso netto positivo di aiuti, cioè più denaro di quanto dovesse pagarne in interessi sul suo debito estero. Solo quest’anno, dopo che Tsipras ha arrestato il pur timido processo di riforme, il flusso netto è diventato negativo. E con esso la crescita.
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