La Scuola.
La crisi italiana è leggibile persino nei
ragazzi che fanno violenza agli insegnanti
MAURIZIO BALLISTRERI, collaboratore della Fondazione Pietro Nenni
Il declino della società italiana, il suo drammatico arretramento sociale verso il basso e il suo evidente impoverimento culturale, con intere generazioni annichilite da programmi televisivi spazzatura (proposti non solo dai canali commerciali ma anche da quelli pubblici, in cui mediocri personaggi percepiscono retribuzioni milionarie, alla faccia della povertà diffusa) sono frutto dello svuotamento delle funzioni che in una società orientata dall’etica del lavoro e dalla stella polare del progresso dovrebbe avere la scuola: diffondere la cultura e i valori civici,
promuovere la tolleranza democratica,
sostenere l’ascesa sociale verso l’alto.
Ma la scuola pubblica purtroppo (come del resto l’università), versa in condizioni di abbandono, grazie a (contro)riforme come quelle “Gelmini” del governo-Berlusconi nel 2008 e della cosiddetta “Buona scuola” di Renzi.
Nessuno ha, ovviamente, nostalgie per la scuola dei maestri con la bacchetta in mano, né per quella classista tratteggiata nel libro “Cuore” da Edmondo de Amicis, che proprio nelle pagine del suo libro descrive le forti differenze sociali del tempo, che egli nei suoi scritti successivi, riteneva da superare attraverso una concezione socialista tipica del riformismo gradualista, della conciliazione tra le classi e del progresso sociale; ma la rivendicazione, questa sì, di una scuola pubblica che dia a tutti pari opportunità di partenza per la vita. E un paese senza un sistema scolastico inclusivo (ed efficiente!) per formare i ragazzi, è destinato a scivolare nel baratro dell’arretratezza.
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