In questi giorni il fango e le balle investono il presidente della Camera Gianfranco Fini, reo di non condividere, fermo restando uomo di destra come è sempre stato, leggi bavaglio, eroi del tipo dello stalliere Mangano, ed altri oltraggi al concetto di "legalità" che nell'ambito della maggioranza, invece, segnano per gli italiani la strada del futuro.
Facciamo un passo indietro: 2009.
E' l'estate di 'Papi' e di Noemi, dei voli di stato verso villa Certosa, con starlette accompagnate dal musico personale del premier, Apicella.
L'Avvenire, il quotidiano dei vescovi, non parte all'attacco di Berlusconi per infierire sull'ideatore del "family day" e contestargli la condotta privata ma inizia dalle conseguenze pubbliche. A un certo punto il direttore del giornale cattolico, Dino Boffo, scrive una reprimenda nei confronti del cavaliere.
Scatta immediatamente la rappresaglia del "Il Giornale" diretto da Vittorio Feltri. Il 28 agosto titola "Boffo, il super censore condannato per molestie". Accanto ad una notizia vera (il patteggiamento in un procedimento di Boffo per molestie telefoniche) viene affiancata una patacca: una informativa allegata al decreto del gup del tribunale di Terni che bolla Boffo come un "omosessuale attenzionato". Boffo attaccato per giorni da "Il Giornale", ma anche da vasti settori della Chiesa-gerarchica, è costretto a dimettersi.
Ottenuto lo scopo di far zittire un critico di Berlusconi, il 9 dicembre 2009, Vittorio Feltri sotto procedimento all'ordine dei giornalisti della Lombardia, per evitare di essere sospeso per divulgazione di patacche, chiede scusa a Boffo. Riconosce che il gup di Terni non si è mai occupato, nel fascicolo intestato a Boffo, di presunta sua omosessualità. Oggi Boffo potrebbe essere ancora direttore de L'Avvenire.
Le scuse di Feltri sono state ritenute tardive dall'ordine dei giornaslisti che lo ha condannato a sei mesi di sospensione non solo per aver dato una notizia falsa ma anche perchè così facendo ha dato il via "ad una pesantissima campagna politica e mass-mediatica". Adesso il giornalista, Dino Boffo, è scomparso dalla scena e dal giro della carta stampata. E' il prezzo pagato per la campagna di Feltri.
Non sappiamo se la vicenda di Fini, la situazione che lo vede protagonista nell'accaparramento di un immobile in precedenza facente parte del patrimonio del suo partito (An) da parte di un suo cognato, sia fondata o meno. C'è un principio comunque che deve essere salvaguardato: l'opinione pubblica ha il diritto di sapere. Sempre. E' strana pertanto l'iniziativa di Napolitano tesa a far cessare la campagna "gravemente destabilizzante sul piano istituzionale volta a delegittimare il presidente di un ramo del parlamento".
La libertà di stampa è un diritto costituzionale e nessuno può fissare ciò che i giornali devono, o meno, scrivere. Tanto meno può stabilirlo il Capo dello Stato.
Se dovesse, alla fine la campagna di stampa de il "Giornale", venire fuori la copia di un film già visto (il caso Boffo) dovranno essere gli italiani, col voto, a condannare Feltri (il servo) ed ancor più il suo mandante (Berlusconi). Se gli italiani non percepiranno la "situazione", ebbene, significa che si meritano il tiranno, Berlusconi. Ma guai a noi se pensassimo di risolvere il problema riducendo un pilastro del nostro stato costituzionale: la libertà di stampa. Quella libertà ieri usata da "la Repubblica" per il caso Noemi, ed oggi usata da "Il Giornale" per la casa di Montecarlo.
Quando i lettori scoprono l'imbroglio del Feltri di turno evitino di comprare il giornale che ospita i suoi scritti, ma non invochino, come fa erroneamente Napolitano, la contrazione della libertà di stampa. Non farebbero altro che il gioco di Berlusconi e delle sue leggi "bavaglio".
Tutti amiamo la libertà, in tutte le sfaccettature, che in Italia è in mano purtroppo ad ex comunisti ed ex fascisti.
Tutti amiamo la libertà, in tutte le sfaccettature, che in Italia è in mano purtroppo ad ex comunisti ed ex fascisti.
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