L'ELOGIO DELLA FOLLIA
E' un capolavoro di spirito e di saggia ironia. Il mondo vi è raffigurato come il teatro dell'universale follia, la follia come l'elemento indispensabile che rende possibile vita e vivere sociale. La forma è di declamatio.
E' il prodotto di un felice momento di impulso creativo; comunque irreprensibile quanto ad impostazione e quanto a forma.
C'è ricchezza di fantasia, unita a tanta sobrietà di linea e di colore, caratteristiche essenziali del Rinascimento.
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Senza di me -dice la pazzia- il mondo non potrebbe esistere nemmeno per un momento. "Tutto quanto si fa dagli uomini è pieno di pazzia: sono pazzi che agiscono con pazzi". "Nessuna società, nessuna unione potrebbe esistere nella vita, che fosse grata e durevole, senza il mio intervento: cosicché né il popolo potrebbe a lungo sopportare il suo principe, né il padrone il suo servo, né la signora la sua domestica, né il maestro lo scolaro, né l'amico l'amico, né il marito la moglie, né l'ospite il forestiero, né il locatore il conduttore, ecc. , se a vicenda non si ingannassero, non s'adulassero, non fossero prudentemente conniventi, e il tutto non condissero con qualche granellino di pazzia". In questo passo è compendiato il concetto della Laus. La pazzia qui è saggezza di vita, rassegnazione e mitezza di giudizio.
Chi vuol togliere la maschera agli attori che rappresentano la commedia della vita, viene cacciato dal teatro. Che altro è la vita dei mortali se non una specie di commedia, dove ognuno entra con una maschera differente per fare la sua parte, finché il regista non lo fa uscire di scena ? Sbaglia colui che non si adatta alle circostanze, e pretende che la finzione non sia più finzione. Il vero saggio è quegli che chiude volontariamente gli occhi di fronte alla follia degli uomini o folleggia bonariamente con loro.
E il movente necessario delle azioni umane è Philautia (l'amor proprio), sorella della Pazzia. Chi non piace a se stesso non conclude nulla. Tolta quest'anima della vita, la parola gela in bocca all'oratore, il poeta è deriso, il pittore fallisce nella sua arte.
La pazzia, quando assume la forma dell'orgoglio, della vanità o della sete di gloria, è la molla di tutto ciò che nel mondo è stimato grande e nobile. Lo Stato con le sue alte cariche, l'amor di patria e l'orgoglio nazionale, lo splendore delle cerimonie, la vanità di casta e l'alterigia della nobiltà, che altro sono se non pazzia ? Fonte di tutte le azioni eroiche è la guerra, la più grande delle pazzie. Che cosa mosse i Deci e Curzio al sacrificio di se stessi ? Vanagloria. Ed è la pazzia quella che crea gli Stati, quella a cui debbono la loro esistenza gli imperi mondiali, la religione ed i tribunali.
Qui c'è più audacia e più freddezza che in Machiavelli, più spregiudicatezza che in Montaigne. Ma Erasmo non vuole esserne sospettato: è la Pazzia che lo dice! Ci fa sempre girare a bella posta nel circolo vizioso espresso dal motto "un cretese ha detto che tutti i cretesi sono bugiardi".
La saggezza sta alla follia come la ragione sta al sentimento. Nel mondo gli affetti contano molto di più che la ragione. Ciò che tiene su il mondo è la follia, fonte della vita. Che altro infatti è l'amore? Perché ci si sposa, se non per una follia che non consce ostacoli ? Tutte le gioie e e tutti i piaceri non sono che spezie ammanniteci dalla pazzia. Quando il savio vuole diventare padre deve prima chiedere aiuto alla pazzia. Che c'è infatti di più pazzo che il gioco della procreazione ?
Qui per pazzia si intende, senza parere, tutto ciò che è impulso o spirito vitale. Pazzia è l'energia spontanea, di cui nessuno può fare a meno. Chi è compiutamente saggio e serio non può vivere. Quanto più uno si allontana da me, Pazzia, tanto meno vive. Perché mai baciamo ed accarezziamo tanto i bambini piccoli, se non perché essi sono così deliziosamente pazzi. E che altro fa così piacevole la gioventù ?
Vedete ora colui che è veramente saggio e serio. Tutto gli riesce male, il pranzo, la casa, la danza, il gioco, la conversazione. Se deve comperare qualche cosa o concludere un affare, sbaglia certamente. Quintiliano dice che il panico del palcoscenico denota l'oratore intelligente, che conosce i suoi difetti. Va bene, ma non riconosce apertamente Quintiliano che la saggezza impedisce di far bene le cose ? E non ha ragione Stultitia nel rivendicare a sé Prudentia, quando si vede che il saggio per vergogna o per timidezza non combina nulla, mentre il pazzo agisce arditamente ?
La follia è allegria e freschezza, ed è indispensabile per essere felici. L'uomo dotato di sola ragione e privo di impulsi è un essere di pietra, torpido e senza alcun sentimento umano, uno spettro ed un mostro, che tutti sfuggono. E' sordo a tutte le voci dei sensi, incapace di amore e di pietà. Nulla gli sfugge, non sbaglia mai, vede tutto, pesa tutto con precisione, non perdona nulla, egli solo è contento di se stesso, egli solo è sano, è re, è libero.
Quella che Erasmo descrive qui è l'odiosa figura del dottrinario. Quale Stato, esclama, desidererebbe essere governato da un simile perfetto saggio.
Chi, col suo saggio acume, volesse investigare a fondo le calamità della vita, si toglierebbe tosto la vita. Solo la follia ci soccorre: errare, dimenticarsi, essere ignoranti, è essere uomini. Quanto è meglio nel matrimonio essere ciechi d fronte ai falli della consorte, piuttosto che rodersi di gelosia e far terminar tutto in tragedia !
Saper adulare è una virtù. Non c'è fedeltà senza un pò di adulazione. L'eloquenza, la medicina, la poesia, consistono nell'adulazione. Essa è il miele e la dolcezza de costumi umani.
La verità sta nella millanteria. Perchè si deve desiderare la vera erudizione? Quanto più uno è incompetente, tanto meglio riesce, e tanto più è ammirato. Guardate un pò i professori, i poeti, gli oratori. Chè lo spirito umano è fatto così, che gli fanno più colpo le sciocchezze che la verità. Vedete ciò che succede nelle chiese : se la predica tratta di cose serie, tutti sonnecchiano, sbadigliano e si annoiano. Ma se l'oratore comincia a raccontare qualche vecchia storiella, tutti si svegliano, si drizzano a sedere e pendono dal suo labbro.
Essere ingannati, dicono i filosofi, è triste, ma non essere ingannati è più triste ancora. Se errare è umano, perchè si deve dire infelice l'uomo che erra, quando egli a ciò è nato ed è fatto a quel modo, e questa è la sorte di tutti ? Forse che si compiange l'uomo perchè non può volare e non può camminare a quattro zampe? Con lo stesso diritto si potrebbe chiamare infeIice il cavallo perchè non sa la grammatica e non mangia focacce. Nessuno è infelice se vive secondo la sua natura. Grande sciagura è che siano state inventate le scienze, le quali conducono così poco alla felicità, che esse stesse sono di ostacolo a ciò per cui si pretende siano state inventate. Col concorso dei demoni malvagi esse si sono introdotte fra noi assieme alle altre pesti che affliggono la vita umana. La gente semplice dell'età dell'oro visse sempre felice, ignara di ogni scienza, solo guidata dalla natura e dall'istinto. A che serviva loro la grammatica, se tutti parlavano la stessa lingua ? A che le scienze giuridiche, se non esistevano i cattivi costumi, da cui hanno avuto origine le buone leggi ? Erano troppo pii per pretendere di indagare con arrogante curiosità i segreti della natura, le dimensioni, i movimenti e gli effetti delle stelle, le riposte ragioni delle cose.
Il concetto, che qui Erasmo tratta con leggerezza, e' quello stesso che gli antichi avevano già accennato, e che Rousseau sviluppò in seguito con amara serietà: la civiltà è un male.
La saggezza rende infelici, ma la presunzione rende felici. I grammatici, che tengono lo scettro della saggezza, e cioè i maestri di scuola, sarebbero i più sventurati fra gli uomini se io, Pazzia, non mitigassi l'aridità del loro misero mestiere con una specie di dolce vaneggiamento. Ma ciò che vale per i maestri di scuola vale anche per i poeti, i retori, gli scrittori; anche per loro la felicità consiste solo nella vanità e nell'errore. I giuristi non stamno meglio, dopo di loro vengono i filosofi segue la lunga schiera degli ecclesiastici: teologi, monaci, vescovi, cardinali, papi, che si alternano solo con principi e cortigiani.
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