La Filosofia del culto
Non è facile il compito di trasmettere ai nostri pochi lettori il senso, il contenuto ed il traguardo dell'opera che ci siamo proposti di scandagliare.
Proveremo, e spesso riprenderemo passaggi che già abbiamo esaminato sotto ottiche diverse.
Fissiamo intanto i proposti che l'Autore intendeva perseguire col corso di "filosofia del culto" svolto nell'estate del 1918 presso l'Accademia Teologica di Mosca:
--Stabilire la rilevanza del culto (sacramenti, liturgia, riti) nel contesto della Cristianità Orientale;
--Tutto ciò che ritroviamo laicizzato nella cultura: filosofia, scienza, forme di convivenza sociale, arte etc. derivano dal culto;
--Il culto ed il suo fondamento eucaristico costituiscono la base del pensiero vivente, della creatività dell'uomo e dell'ordine sociale.
Fra le premesse che Florenskij pone per cogliere gli obiettivi che ha indicato non sono sufficienti semplicemente:
-l'analisi storico-critica e fenomenologica
-la valutazione soggettiva o la descrizione esteriore, per quanto condotte con metodi scientifici.
E' necessaria invece l'immersione nella "vita del culto, attraverso la vita nel culto".
Sostanzialmente non è sufficiente osservare il fenomeno o i fenomeni, è necessario passare al suo fondamento; dalla lettura del fenomeno si deve passare al significato.
Quanto al senso del vivere umano egli individua
1) quello della conoscenza a fini contemplativi
2) quello del dominio "rapace" sulle cose del mondo e sulle sue creature.
Per contemplare egli intende il ritrovarsi meravigliato dinnanzi al mistero della vita, che vuole essere però riconosciuto, o meglio visto nel suo significato, nella ragione della sua esistenza.
Florenskij esclude quindi l'uso del sistema "razionale" perchè limitativo; esso non punta al fine ultimo nè al perchè dell'accadere.
Ecco, quindi, che il razionalismo non potrà mai comprendere la Liturgia, mistero indisponibile alla ragione e non racchiudibile in formule logiche e concettuali.
Questo il suo personale punto di vista:
"L'uomo moderno guarda a priori alla religione o alla confessione che studia come a qualcosa di esteriore, di estraneo, di ostile; egli mostra i denti a priori, metodologicamente predisposto all'attacco ...(...). L'uomo moderno mostra un evidente desiderio di conoscere la Verità. E se si attiene alla propria confessione e alla propria religione, le ragioni sono più che altro esterne: le esperienze storiche, gli studi, la società in cui vive e, infine, l'inerzia del pensiero e la pigrizia mentale che lo inducono ad evitare domande poste con chiarezza e con nerbo.
L'uomo moderno mostra sufficiente indifferenza per la propria religione, non la conosce e non la vuole conoscere, o per lo meno non la conosce quale forma spirituale coerente e integra.
(...) Che l'ostilità così intesa non abbia quale propria fonte il fanatismo è presto dimostrato con un semplice rimando a qualunque libro di storia della religione. Chiunque ne sia l'autore e qualunque ambiente l'abbia generato, tutte le religioni vi saranno analizzate dal di fuori e saranno comunque ritenute profondamente inutili. Da questo punto di vista i positivisti e gli altri apostoli della tolleranza sono persino peggio degli autori di cui sarebbe naturale aspettarsi un certo fanatismo.
E' dunque evidente che si debba creare un approccio completamente diverso alla conoscenza della religione (la propria come l'altrui): una sua compenetrazione dall'interno. Ed è dunque evidente che per conoscere davvero una religione è necessario analizzarla partendo da alcuni punti ad essa sostanziali".
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