I progressi della geologia e la teoria dell'evoluzione della specie hanno sfidato la versione biblica sull'origine dell'uomo. L'archeologia e più in generale le scienze più recenti hanno tra i XVIII e XIX secolo modificato la veduta, allora prevalente, fissata sui testi biblici della comparsa dell'uomo sulla terra. Nel 1650, James Usher, arcivescovo irlandese aveva calcolato che la Creazione fosse avvenuta esattamente 4004 anni prima della nascita di Cristo.
Agli inizi del XIX secolo l'archeologia che iniziò a studiare gli utensili di pietra all'interno dei deposti geologici addivenne alla conclusione che l'umanità era comparsa sulla terra ben prima dei 6000 anni suggeriti.
Nel 1859 fu pubblicato L'Origine delle specie di Darwin, dove il naturalista inglese asseriva che la diversità del mondo animale moderno si spiega attraverso la mutazione graduale e l'estinzione dovuta alla lotta per la sopravvivenza, combattuta sia fra specie e specie che tra esemplari di una stessa specie. Tre anni prima nella valle Neander, in Germania, fu rinvenuto il teschio di un uomo di Neanderthal che evidenziava l'esistenza di esseri umani vissuti centinaia di migliaia di anni fa.
Quello fu un primo passo che avrebbe portato la ricerca scientifica alla conclusione che la razza umana aveva vissuto centinaia di migliaia di anni di selezione naturale, e che da qualche parte del nostro passato genetico avevamo condiviso il lignaggio con i nostri parenti più prossimi: le grandi scimmie.
Quello fu un primo passo che avrebbe portato la ricerca scientifica alla conclusione che la razza umana aveva vissuto centinaia di migliaia di anni di selezione naturale, e che da qualche parte del nostro passato genetico avevamo condiviso il lignaggio con i nostri parenti più prossimi: le grandi scimmie.
L'avventura della vita secondo la Scienza
(III)
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