Palermo,
Domenica di Pentecoste, 4 giugno 2017, ore 11.00, Celebrazione della
Divina Liturgia in San Nicolò di Mira degli Arbëreshë alla
Martorana.
A
sorpresa è protocelebrante Sua Beatitudine Gregorio III Lahan,
Patriarca di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme dei Melchiti,
“chiesa di provenienza del nostro Vescovo”, spiega il protopas
Nino Paratore, protosincello dell’Eparchia di Piana degli Albanesi.
Con
l’occasione veniamo a sapere, a latere, che il nome del “nostro
Vescovo” è solo Giorgio e non anche Demetrio: nessuna
premonizione, dunque, da parte della di lui madre circa la futura
occupazione del trono eparchiale da parte di Monsignore.
Ma
quel che mi preme sottolineare è la dignità del vetusto Patriarca
nel condurre la Divina Liturgia con attenzione, con pietà e timor di
Dio.
Ha
usato con proprietà il greco e l’italiano, tenendo l’omelia in
quest’ultima lingua.
Ha,
poi, intercalato ekfònisis, invocazioni e benedizioni in una terza
lingua: l’arabo, la sua lingua materna, la lingua liturgica secunda
della sua Chiesa.
Un
atto di puro amore verso la lingua del suo popolo, considerato che
nessuno dei fedeli presenti in chiesa era di lingua araba.
Un
atto di adesione allo Spirito della Pentecoste, durante la quale la
parola di Pietro venne udita da tutti e da ciascuno nella propria
lingua.
Ho
aspettato sino alla fine della Liturgia un consimile atto di omaggio,
da parte dei silliturghi arbëreshë, alla lingua, alla cultura e al
culto del popolo in grazia del quale la Martorana ospita la
Parrocchia degli Arbëreshë di Palermo.
Niente!
Castrare
la lingua del popolo vuol dire castrarne la cultura e lo stesso
culto divino.
Usque
quo, eccellentissimi ed eminentissimi epìskopi, silenti e indolenti
ispettori?!
Palermo,
5 giugno 2017
zef
chiaramonte
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