Negli anni antecedenti il terremoto del 1968, e pure un decennio prima, i ragazzi che uscivano dalla scuola elementare all'una, all'orario in cui bisognava gustare un povero pasto, erano tanti, due o trecento, e dalla via Palermo si riversavano nella piazza Matrice per andare poi di gradinata in gradinata a casa. Il paese era tutto sviluppato nella parte alta, a monte dell'edificio scolastico.
C'era -a quell'ora- grandissimo vociare, gioioso giocare mentre si camminava, disordinato cantare ciascuno secondo intenti e sentimenti propri.
Nel pomeriggio e fino a sera non c'era strada o piazza dove a decina e decina i ragazzi non segnavano i quartieri di vita e di volontà di vita col loro gridare.
Fino a qualche anno -ancora- dopo il terremoto del '68 per le strade del paese era frequente sentire manovali edili che mentre erano intenti ai lavori cantavano e/o imitavano ad alta voce personaggi pubblici.
Nessuno probabilmente -nel trascorrere del tempo- si è accorto che lentamente, impercepibilmente, stavano cambiando le abitudini sociali. Stavano venendo meno antichi modi di socialità paesane.
E' vero. La gente prima cantava, i ragazzi giocavano e gridavano per le strade e per le piazze. In verità cantavano pure le donne mentre assolvevano ai lavori casalinghi, cantavano i muratori sulle impalcature e facevano da controcanto a quanto i manovali avevano avviato, cantavano fornai ed i garzoni.
Oggi -a dirla tutta- non solo la gente non canta più, ma addirittura non chiacchiera più nemmeno con vicini di casa come si usava fare nelle serate estive mentre -si diceva- si provava a godere il "fresco".
In ogni strada c'era qualcuno che vituperava contro Bonomi (leader dei piccoli contadini) perchè incapace di imporre prezzi remunerativi al grano duro e debole nei confronti del governo che lasciava arrivare il grano dall'America.
La domenica all'uscita dalle chiese, dopo la "messa cantata", i capannelli della gente col vestito di festa si protraevano per parecchio tempo -come fossero circostanza istituzionale- per riascoltare da chi la sapeva più lunga la narrazione dei fatti di una settimana.
Capannelli che il sabato e la domenica sera erano -pure lì- istituzionali nella piazza del paese.
Era il modo di confronto e discussione della gente di paese. Era l'agorà tramandata dalla cultura della "polis" greca.
In quei capannelli -in piazza- ci si confrontava, ci si accalorava, ci si arrabbiava sull'andazzo politico-amministrativo del Paese e del paese, oltre che sui fatti del giorno prettamente locali.
Come dimenticare che sui visi di quella gente traspariva passione e sincerità ?
Quella gente, quei nostri nonni e genitori, costituivano il modo di essere del "paese", o per dirla in maniera più altisonante della "polis".
Il paese di allora, la Contessa Entellina, di allora, non era costituita dalle case nuove antisismiche del post-terremoto, non era costituita dalle strade asfaltate e rotabili di oggi.
No.
Contessa Entellina di allora era costituita da quella gente permeata di sincerità e di passione.
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