Centro Culturale Parrocchiale
“Non chiacchiere in circolo”ma iniziative concrete
Con questo titolo è
stato già pubblicato un testo che anticipa in generale le iniziative (corsi,
convegni, visite guidate, ecc.) che il Centro intende realizzare nel 2017 per
far conoscere Contessa (storia, territorio, beni culturali, personaggi, ecc.) e
contribuire alla formazione culturale di quanti intendono collaborare e aderire
al Centro medesimo.
Per lo storico
anniversario (500 anni) dell’atto
di assegnazione in affitto (nel 1517, per nove anni) dei feudi
Serradamo e Contesse agli Albanesi di Contessa, sia per il 50° anniversario della morte (1967) di
tre sacerdoti contessioti (padre Lorenzo Tardo, papas Jani Di Maggio,
papas Matteo Sciambra), è stata già avviata la fase organizzativa
preliminare (documenti, relatori, contatti con le istituzioni interessate,
ecc.) ed il corso di inglese avviato a gennaio ha incontrato particolare
interesse culturale, creando ogni sabato pomeriggio nella sede del Centro
momenti di socialità tra i numerosi partecipanti.
Da qualche settimana
da Ignazio Marinello e Anna Fucarino è stata attivatala pagina facebook “Centro Culturale Parrocchiale - Contessa Entellina”
per svolgere un servizio di informazione sia in particolare sulle iniziative
programmate e in corso di svolgimento al Centro sia in generale sugli eventi
che riguardano Contessa.
Al termine del corso
di inglese solitamente viene messo a disposizione dei partecipanti un breve
testo scritto di interesse linguistico o che comunque riguarda Contessa.
Credo che possa
risultare stimolante per la valorizzazione della lingua materna il testo di
seguito riportato del noto contadino-poeta popolare arbresh NARDUCI (Leonardo
Lala).
“Jam arbëreshdhe
jam kryelartëtëjemarbërsh. Sono arbëresh e mi sento orgoglioso di esserlo. Mi sento
orgoglioso di tutto quello che esiste di albanese: lingua, tradizioni, storia.
Sono orgoglioso di
parlare ogni giorno una lingua delle
più antiche o forse la più antica di tutte le lingue che ancora si parlano, del
ceppo indo-europeo, di cui essa fa parte e che della sua remota origine ci
tramanda vocaboli a suo tempo tratti anche dal sanscrito, lingua la cui origine
si perde nella notte dei tempi, parlata fino verso il IV secolo.
Ho la soddisfazione
di parlare tutti i giorni in una lingua, che per l'abbondanza, la varietà di
tutti i suoni di cui é composta la rende una delle più dolci e armoniose di
tutte le lingue del mondo. Lingua che una volta si parlava in una vastissima
zona. Leggiamo quanto scrive, riguardo questo argomento, l'arbëresh Ernesto
Scura, nella rivista "Lidhja" (n. 4, nov. 1981, pag.1 e 2):
"Tutta la porzione d'Europa, compresa tra la foce del Po ed il Danubio,
era illirica fino alla Arcadia ed all'Etolia e di conseguenza si parlava albanese
dove ora é Padova, Venezia, Trieste, Budapest, Belgrado, Lubiana, Zagabria,
Zara, Sarajevo, Spalato, Sish, Prishtina, Skopje, Sofia, Igoumenitsa, Praga,
Prevesa, ecc.".
A quanto si legge la
nostra lingua arbëresheé la medesima parlata dai nostri antenati Illiri
tramandataci quasi intatta fino a noi.
Non ci sono lingue,
che attualmente si parlano in Europa, che non hanno parole nostre: una volta
illiriche oggi arbëreshe, le quali attraverso i secoli, nel contatto tra i vari
popoli, hanno tratto vocaboli dalla nostra atavica lingua illirica, fra queste
compreso il greco, lo ammette lo stesso
Platone nel suo "Cratilo". Eccone il testo tratto dalla rivista
"Zëri i arbëreshvet" (n. 6 e 7 del 1973, pag. 23): "Se tu non
trovi la derivazione dei greci nomi nell'idioma dei greci medesimi cercala in
quello dei Barbari, dai quali i Greci hanno preso assai vocaboli ". (Quei
barbari, per i nostri scrittori, erano gli Antenati degli odierni Albanesi).
Mi sento orgoglioso
di parlare arbëresh in questa lingua sconosciuta e così poco avvalorata dagli
stessi arbëreshë, quando penso che questa é la medesima lingua che cominciarono
a balbettare da bimbi sulle ginocchia delle loro mamme: Alessandro Magno, Pirro
ed i seguenti imperatori romani di origine illirica:
- Decio da Pannonia (249-251); Costantino il
Grande (306-337); Gallieno (253-268); -
Dardano Claudio II
(268-270); Aureliano della Mesia (270-275); Probo della Pannonia (276-282);
Diocleziano della Dalmazia (285-305); Massimiano della Pannonia (285-305);
Costanzo della Dardania (305-306); Galerio di Serdica (305-306).
Oltre che della
nostra lingua sono orgoglioso
anche delle nostre tradizioni,
specialmente di una di esse, la quale con rammarico vedo che si va estinguendo.
L'appellativo di "lala" (fratello) e di "motrë" (sorella),
che si usa o che si usava in famiglia ed in società era dolce e confortevole.
In famiglia "lala" era il fratello maggiore, e "motrë" la
sorella maggiore. "Lala" era anche il fratello anziano nella vita sociale
e "motrë" la donna anziana.
Ricordo "lala
Pepi", "lala Nini", "lalaGjergji", "motra
Beta", "motraMarielja", "motraAniqe", ecc.
Spesse volte, ripeto,
penso con rammarico che questa bella tradizione così satura di senso umanitario
e di affettuosità fraterna che i nostri antenati, con tanto amore ci hanno
tramandato per cinque lunghi secoli, noi così male l'abbiamo custodita e
conservata: tradizione che rivelò, a suo tempo, l'elevato grado di educazione
morale e di civiltà in cui vissero le nostre mamme ed i nostri padri.
Quale conforto questa
tradizione, nel rapporto fra gli uomini dava all'uomo stesso, specialmente
negli inevitabili momenti di sconforto, a cui era rivolto il dolce appellativo
di "lalë" (fratello) e di "motrë" (sorella).
Sento rammarico
quando penso che questa bella tradizione é quasi estinta ma penso con orgoglio
che per quanto é durata fu una tradizione puramente arbëreshe. Io penso che se
ci fosse una buona volontà questa tradizione si potrebbe recuperare e che ci
farebbe onore.
Oltre
ad essere orgoglioso della nostra lingua e delle nostre tradizioni, sono
orgoglioso di molte personalità di sangue albanese, che anche se non tutti
hanno operato solo a favore dell'Italia e dell'Albania ma anche a favore di
altri popoli, di altre nazioni, però hanno lasciato una scia luminosa lungo il
cammino della loro vita.
Di
sangue albanese fu Francesco Crispi, uno dei più grandi statisti che ha avuito
l'Italia. Di sangue albanese fu Nicolò Barbato, che con Bernardino Verro furono
due validi organizzatori del Partito Socialista, due vite dedicate a sollevare
l'oppresso e contro le ingiustizie sociali di quel tempo. Di sangue albanese
furono i due scrittori, fautori della causa del Risorgimento Italiano: Girolamo
De Rada e Giuseppe Schirò. Ciò che fu Crispi per l'Italia, il principe Giovanni
Gjika fu per la Romania, anche lui di sangue albanese. Anche se nascosto sotto
lo pseudonimo italiano di Dora d'Istria di sangue albanese fu anche la
principessa ElenGjika, scrittrice e grande amica dell'Italia, dove per lungo
tempo visse e morì dopo aver scritto, in varie lingue ed a favore della causa
del Risorgimento italiano e contro l'oppressione asburgica in Italia. Di sangue
albanese furono i due re d'Egitto: Fuad e Faruk. Re Fuad, durante il suo regno,
durante varie vicende politiche si mostrò un grande amico dell'Italia, dove aveva vissuto e prestato
servizio militare.
Di
sangue albanese fu il più grande statista, che ha avuto la Turchia: Kemàl
Pascià il quale rivoluzionò tutto, trasformò tutto, in quella nazione da porla
in grado di camminare a pari passo con le altre nazioni civili ed evolute nel
cammino della storia. Di sangue albanese fu la sposa del re Manfredi di Svevia
incoronati a Palermo nel 1258. Di sangue albanese fu Atenagora, Patriarca di
Costantinopoli, il quale operò tanto per spianare la strada verso l'unione
delle due Chiese, Romana e Ortodossa. Di sangue albanese é Madre Teresa di
Calcutta, grande esempio di carità cristiana di fama mondiale.
Mi
sento orgoglioso di essere arbëresh non solo per quel che fin qui ho descritto,
ma anche per la nostra storia. Leggiamo nella rivista "Zëri i
Arbëreshvet" (n.12, 1979, pag. 21) che il sultano Maometto II, appena
apprese la notizia della morte di Skanderbeg esclamò: "Se non fosse
vissuto Skanderbeg, io avrei sposato il Bosforo con Venezia, avrei posto il
turbante sul capo al Papa ed avrei posto la mezzaluna sulla cupola della
Basilica di S. Pietro a Roma!".
Sono
orgoglioso di essere un discendente di questi eroi, che con tanto spargimento
di sangue arrestarono la marcia delle potenti orde ottomane, che tronfie delle
recenti vittorie, specialmente dopo la caduta di Costantinopoli avvenuta nel
1453, spinte dal loro fanatismo religioso non posero argine alla loro
ingordigia e cercarono di aprirsi un varco attraverso gli stati balcanici per piombare
sull'Italia e piantare la mezzaluna sulla Città Eterna dei sette colli.
E'storia di ieri, se la croce di Cristo irradia oggi il mondo dalle alture
dell'Urbe é un pò merito eterno di questo formidabile manipolo di eroi, i quali
sotto la guida di quel fulmine di guerra che fu il loro capo
KastriotaSkanderbeg, opposero un insormontabile baluardo, per ben 36 anni, al
più potente esercito del mondo di allora con a capo, per un pò di tempo,
l'ambiziosissimo sultano Maometto II, che dalla lettura si vede chiaro a che
cosa mirava.
Un
altro motivo di orgoglio di essere arbëresh l'ho sentito per un pò di tempo che
ho vissuto a New Orleans. Là ho avuto una esatta misura di quanto l'arbëresh
ami tutto quello che vede di arbëresh attorno a sé. Ovunque vi era presenza di
Contessioti, ed eravamo numerosi, là si udiva parlare la nostra lingua. Nessuna
impressione di trovarci in terra straniera. New Orleans ci sembrava una
Contessa ingrandita. Nel 1892 fu fondato un sodalizio, che per numero e per
organizzazione e per larghezza finanziaria destava la ammirazione di altri
italiani e orgoglio per ogni contessioto. Niente di tutto questo tra italiani
non contessioti. Un motivo di soddisfazione per noi arbëreshë era la facilità
con cui si riusciva a pronunciare correttamente, senza difficoltà, tutti i
suoni di quei vocaboli che man mano andavamo imparando nella lingua inglese.
Non era invece così facile per gli italiani non arbëreshë. Come si sa la nostra
lingua arbëreshe e la lingua parlata negli USA hanno le stesse lettere
dell'alfabeto e gli stessi suoni nella pronuncia anche se i vocaboli di
significato diverso.
In
quale luogo, fra quali popoli, in quale tempo, popolo trapiantato in terra
straniera, dopo cinque secoli parla ancora la lingua originaria? Solo tra gli
arbëreshë!
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