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domenica 3 agosto 2014

Hanno detto ... ...

ROSARIO CROCETTA, presidente della Regione Sicilia
Il Partito Democratico può fare tutte le verifiche che vuole sul lavoro della giunta regionale, ma lo faccia con meno enfasi. Coloro che criticano infatti poi sono coloro che bocciano le riforme.

LUCA RICOLFI, sociologo
Su quel che fa il governo Renzi le opinioni divergono. C’è il partito del «finalmente, dopo trent’anni !» che si compiace di ogni novità, reale o presunta che sia. E c’è il partito del «niente di nuovo sotto il sole», che vede riemergere i soliti difetti della politica: tanti annunci e pochi fatti, scadenze non rispettate, leggi e decreti pasticciati, eterno rinvio dei problemi più spinosi, a partire da quello del mercato del lavoro.  
Quello su cui quasi tutti sono d’accordo è che lo stile di governo è cambiato, perché il nuovo premier non è ingessato come i predecessori, e pare determinatissimo a portare a termine i propri piani. C’è un punto, tuttavia, su cui mi pare che non si stia riflettendo abbastanza. Quel che Renzi e i suoi stanno cambiando non è solo lo stile di governo, il tipo di comunicazione, il rapporto con l’opinione pubblica. A me pare che il cambiamento più importante sia una sorta di ritorno in grande stile del primato della politica. Un ritorno che, a seconda dei punti di vista, si può descrivere come sussulto di orgoglio o come rigurgito di arroganza, ma che comunque è in pieno atto. 
Ma primato nei confronti di chi?  
Alcune vittime del ritorno della politica si vedono ad occhio nudo. I magistrati e i sindacati, ad esempio. Non che questi due poteri siano stati riformati o meglio regolamentati, come da qualche decennio si attende. Però sono stati subito «messi a posto»: verso i magistrati Renzi ha dichiarato che non aveva alcun problema a tenersi degli indagati fra i membri del governo, verso i sindacati ha detto chiaro e tondo che potevano scordarsi i riti della concertazione, perché lui avrebbe deciso anche contro il loro parere.  
Questa però è solo la parte più visibile della restaurazione del primato della politica. Accanto ad essa ve n’è un’altra, a mio parere ben più carica di conseguenze. Di tutti i premier della seconda Repubblica (e forse anche della prima) Renzi è quello che mostra il minore rispetto, per non dire il maggiore disprezzo, per qualità come l’esperienza, la competenza, la preparazione tecnica e culturale. E, simmetricamente, è il premier che con più spregiudicatezza ha puntato sulla fedeltà e l’appartenenza come criteri di selezione della classe dirigente.  

ANTONIO POLITO, direttore de Il Corriere del Mezzogiorno
Secondo Nardella la sinistra sbaglio' ad opporsi alla riforma costituzionale del 2005. Sbagliarono anche gli italiani che la bocciarono al referendum?

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