Feudi, nobili e masserie
A quei tempi, ogni feudo superava i mille ettari, ma il signore non li amministrava direttamente, anche perche' vivendo a Palermo preferiva non allestire una incontrollata gestione diretta.
A partire dal Settecento -per la migliore economicità produttiva- si era proceduto allo spezzettamento del patrimonio feudale nelle “masserie”, grandi agglomerati edili con ampi spazzi per magazzini, depositi e stalle che dominavano su decine e decine di ettari.
Il feudo, suddiviso quindi in masserie, veniva dato in affitto col sistema delle gabelle: per una somma annuale fissa – anche se talvolta in natura - a prescindere dall'andamento dell'annata agraria. Il canone d'affitto era conseguentemente più basso della rendita effettiva del terreno al fine di garantire un guadagno all'affittuario che, dal sistema, prendeva il nome di “gabellotto”.
A loro volta, i gabellotti -che provenivano dalle file dei cosiddetti "civili" dei paesi feudali- coltivavano a conduzione diretta la terra e/o la sfruttavano con consistenti allevamenti di bestiame- e in questi casi riservavano ad essi “il cuore” piu' fertile della masseria - oppure la subaffittavano ai piccoli burgisi dei paesi che gravitavano sulla realta' feudale dopo averla suddivisa in lotti di diverse dimensioni; così il feudo veniva sfruttato per intero.
I "civili" erano in un certo senso dei “capitalisti” ma non proprietari, perché la terra apparteneva ai nobili; essi avevano il denaro contante, le sementi, gli aratri ed il bestiame; peraltro dalle loro file provenivano i preti, gli avvocati, i notai, i medici dei rispettivi paesi feudali. Avevano quindi la cognizione ed il controllo "politico-sociale" della Sicilia feudale.
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