La crisi del Pd
La crisi che sta attraversando il Partito Democratico in Italia è sicuramente tratteggiato da lotte di potere e da ambizioni -più o meno legittime- all'interno della sua classe dirigente. Ma accanto c'è molto di più.
In teoria, molto in teoria, il Pd renziano sarebbe un partito di sinistra, un partito portatore della voce delle organizzazioni sindacali, delle fasce deboli della popolazione, innovatore rispetto agli assetti sociali consolidati.
Di fatto esso è oggi un partito che si muove, opera e governa come un partito liberale, o peggio un partito della destra conservatrice.
Il mondo occidentale
Il mondo occidentale si è retto finora sulla dialettica destra/sinistra o come in Europa è regola fra socialdemocrazia e liberaldemocrazia.
Qualcosa in questa dialettica si è inceppata durante il Thacerismo/Reganismo, quando sia la destra che la sinistra furono, in occidente, ingabbiate nel "liberismo". Da quegli anni di fine anni ottanta del Novecento i governi furono espropriati dal gestire la gran parte della strumentazione della politica economica (Maastricht). Iniziò la finanziarizzazione dell'economia e il potere "reale" passò dai Parlamenti eletti alle Banche dei nababbi (e in Italia dei ladri).
Destra e Sinistra, socialisti e liberali, progressisti e conservatori apparvero alla percezione pubblica la stessa cosa.
Chi scrive ricorda come le famiglie di tradizione conservatrice ancora negli anni ottanta del secolo scorso nei paesi agricoli dell'interno dell'isola mai e poi mai avrebbero votato un partito di sinistra, sia pure di sinistra moderata come poteva allora essere un partito repubblicano (La Malfa) o socialdemocratico (Saragat). Il voto da parte di costoro andava alla Dc, anche se esso era un partito dalle mille contraddizioni interne, entro cui poco aveva a che fare -l'un l'altro- un Moro con un Andreotti.
Allora il voto a destra o a sinistra aveva un significato.
Oggi molti ex democristiani alternano il voto con disinvoltura fra berlusconismo, renzismo, grillismo e bersaniani.
Tanto tutti queste sfumature politiche sono ingabbiate e obbligate a seguire una politica economica liberista.
La crisi liberista
E adesso siamo al punto.
L’Europa e pure gli USA sono oggi avviliti dalla crisi che ha determinato
-l’impoverimento dei ceti medi,
-lo scivolamento di aree sociali sempre più vaste verso livelli di indigenza,
-la proliferazione dei “lavoratori poveri”,
-l’inaridimento delle prospettive professionali per i più giovani.
Si dirà, ed è pure vero, che è conseguenza dell'innovazione tecnologica. Ma non tutto discende da lì.
Tornando alla crisi di queste ore del Pd, è palese che tutti i partiti di sinistra, socialisti, stanno rivedendo il contesto liberista in cui l'Occidente si è adesso ritrovato imbrigliato.
Il candidato socialdemocratico alla cancelleria di Berlino, Martin Schulz è intenzionato a smontare la politica economica avviata da un precedente cancelliere socialista, Gerhard Schroeder, che ha finito per consolidare il potere della Csu della Merkel e fatto perdere voti alla Spd. In sostanza, intende riproporre, aggiornandoli, gli antichi contenuti della sinistra riformista e socialista.
In Francia il candidato socialista alla presidenza (anche se con poche possibilità di vittoria ) si propone di modificare di 360 gradi la politica del predecessore -socialista- Hollande. Ovunque la sinistra sta rivedendo i parametri della politica economica di stampo liberista.
La riscoperta di “idee vecchie” utilizzabili anche per contrastare i malanni prodotti dalla modernità, ha consentito al candidato socialdemocratico in Germania di superare nel gradimento popolare (almeno stando ai sondaggi) la Merkel e alla Spd di salire al 30-31 per cento dei consensi (alla fine dello scorso anno nelle stime non andava oltre il ventidue).
Per i socialdemocratici si tratta di un cambio di rotta clamoroso che il candidato cancelliere non si preoccupa nemmeno di dissimulare, anzi: “Anche noi abbiamo fatto degli errori l’importante è riconoscerli e correggerli”, ha affermato nel corso di un comizio a Bielefeld.
Da Sanders ad Hamon tutti i politici di cultura socialista sembrano aver preso coscienza degli errori compiuti nell'avere accolto il liberismo finanzario; in Italia, invece, abbiamo un ministro, Giuliano Poletti, che è estremamente grato agli imprenditori per il fatto di creare lavoro (senza interrogarsi troppo sulla “qualità”, non solo materiale ma anche etica), mostrando con le sue scelte (il Jobs act, i voucher, l’apprendistato usato in maniera impropria).
Che l'ala di sinistra del Pd si stacchi dal Partito di Renzi, che liberista vuole restare, è una fortuna per l'Italia e pure per chi è di destra -con Renzi- vuole restare.
La chiarezza di posizioni è il sale della democrazia.
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