Vanno emergendo tante stranezze. Grandi città hanno meno disabili rispetto a piccoli comuni. Negli ultimi anni, poi, abbiamo avuto un aumento progressivo di persone da assistere. Quasi fossimo stati colpiti da un flagello di misura biblica. Il sospetto di alcuni (o molti) imbrogli viene. Lo stesso Presidente della Regione, Rosario Crocetta, intervenendo ieri ad un convegno, parlava, senza mezzi termini, di dati falsi. Sono necessari accertamenti rapidi e rigorosi. Li abbiamo chiesti. Li chiediamo e li chiederemo. Fino a quando non avremo risposte. Dietro un falso disabile c’è un vero misfatto, Perché si ruba l’assistenza dovuta ai disabili veri. E si truffa su sofferenze e dolori. Ma dietro ogni falso c’è una catena di omissioni e compiacenze che deve essere colpita. Un percorso ricco di istanze, commissioni, visti, autorizzazioni, visite che prevede pressioni, favori, attenzioni, e anche molto di peggio, ad ogni passaggio. Si faccia sul serio. Sappiamo come vanno le cose, in Sicilia e altrove, al riguardo. Si prevedono controlli e si nominano i controllori per garantire ai nominati vantaggi di retribuzione e di carriera. Ma poi nessuno prevede o attua, per i controllori che non controllano, le sanzioni dovute. E così le politiche per tutelare i deboli favoriscono i forti. I tanti marpioni e furbi di ogni risma. Ma non può durare così.
Gli scissionisti del Pd si sono dati l’ennesimo nome anonimo, scollegato da storie e da identità: é nato il Movimento dei democratici e dei progressisti, che ricorda vagamente le definizioni di stampo terzinternazionalista. Come quel giornale del Cominform che si chiamava “Per una pace stabile e una democrazia popolare”. Ma in realtà era strettamente collegato al mondo del comunismo reale.
Mancano i nomi che rappresentano anime, fedi, memorie. I nomi che non si intendono rinnegare. Dunque è urgente riprendere parole come socialista, radicale, laico, liberale, ambientalista. Oggi é quanto mai necessario.
“Nomima sunt consequientia rerum”, dicevano i latini, e per questo dobbiamo, se vogliamo camminare insieme, dare contenuti al nostro cammino.
GIANFRANCO PASQUINO, intellettuale e politologo
“Renzi non ha nessuna cultura politica. Ha un punto di partenza che è grossomodo una piccola galassia democristiana nella zona da cui viene e che gli è servita per conquistare voti e poi per giungere fino alla Segreteria del Partito Democratico.
La distinzione destra-sinistra continua ad esistere in maniera chiarissima. Naturalmente ognuno poi la può coniugare come vuole, però quello che è sicuro è che gli elettori delle democrazie europee sanno benissimo come collocarsi sul continuum destra-sinistra. Se si definiscono di sinistra si collocano nei pressi del polo di sinistra e se si definiscono di destra si collocano nei pressi del polo di destra. Una parte di loro si colloca presso il centro e una parte piccola, forse il 15 o al massimo il 20%, dice che ormai destra e sinistra non esistano più e quindi si colloca al di sopra.
I miei criteri sono sostanzialmente due, più un’aggiunta. Sono di sinistra coloro che pensano che le diseguaglianze non siano accettabili e che un governo e una società debbano operare per ridurle, soprattutto ponendo in essere una condizione di eguaglianza di opportunità per tutti i cittadini. Sono di sinistra coloro che pensano che il mercato sregolato produca non solo diseguaglianze, ma anche ingiustizie e questi ritengono sia necessario dare delle regole al mercato, garantendo una competizione equa (in inglese dicono fair), e che debba essere indirizzato a conseguire obiettivi collettivi e non soltanto arricchimenti personali. La coda è che oggi sono spesso di sinistra coloro che pensano che questi valori debbano essere concretizzati a livello europeo, mentre quelli di destra sono diventati “sovranisti” anche se secondo me dovremmo semplicemente definirli “nazionalisti egoisti”.
“Il Governo Renzi non ha fatto politiche di sinistra: ha creato una situazione nella quale sono state tolte alcune possibilità, più che diritti, ai lavoratori; sono state realizzate situazioni non buone nel settore della scuola; sono state date delle mance, si pensi ai famosi 80 euro o adesso i 500 euro per i giovani. Queste non sono politiche di sinistra perché in realtà costituiscono solo dei tentativi di acquisire una parte di elettorato senza operare alcun tipo di distinzione all’interno dello stesso, tra i meritevoli e i non, individuando coloro che ne abbiano realmente più bisogno.
Semplicemente la sinistra, quella parte di partito che oggi sembra abbia deciso di uscirne, ritiene che con quelle politiche non si produca una società migliore, non si crei uno scenario che consenta all’Italia di procedere effettivamente verso il raggiungimento del PIL dei paesi virtuosi. Dove vadano non lo so, ma presumo che certe volte le scissioni diventino inevitabili soprattutto quando il segretario del partito disprezza le opinioni diverse dalle sue, non conceda nulla, non vada nella direzione che viene suggerita da una parte importante del partito, sostenendo di essere lui quello al quale spetta decidere tutto. In un partito nessuno decide tutto e nemmeno la maggioranza perché ci sono sempre dei limiti anche al suo potere decisionale, consistenti nel rispetto della minoranza e forse nella valorizzazione delle sue idee. Tutto il resto lo vedremo perché a questo punto è difficile prevedere quanto si radicherà la parte c.d. scissionista e così via. Lo vedremo”.
QUANDO MANCA LA FANTASIA: -Partito Demcratico -Democratici e Progressisti Esiste il dubbio che vogliano semplicemente pigliare in giro gli elettori (gli uni e gli altri) |
“L’alternativa di sinistra si può costruire nel momento in cui si abbia una cultura politica di sinistra e si recuperino dei valori storicamente appartenenti alle grandi socialdemocrazie; quando si abbia una visione del welfare che sia in grado di consentire a tutti di avere assistenza, previdenza, una formazione culturale adeguata e un lavoro dignitoso. Se non si va in questa direzione, si perde un grande pezzo di quella che è stata la sinistra in questo continente. Una prospettiva di sinistra la si costruisce attorno a una politica economica diversa, che comunque contenga aspetti keynesiani cioè di intervento dello Stato in molte attività che sono utili alla collettività e che magari sono sottovalutate dai privati. Naturalmente tutto questo sapendo che ci sono delle costrizioni anche a livello europeo. Dopodiché gli accordi programmatici si possono fare comunque, anche senza costituire un gruppo parlamentare specifico. Continuo a pensare che sia utile avere un Governo che funzioni e che si debba andare ad elezioni solo nel 2018, però queste sono contingenze. Credo che il punto più rilevante consista nella necessità di ricostruire una cultura politica adeguata, all’altezza delle sfide europee, internazionali e naturalmente anche italiane. Di questo vedo poco e quindi capisco perché Renzi vince, perché detenga il potere politico nonostante non possieda la cultura politica per vincere”.
ANTONIO MAGLIE, collaboratore della Fondazione Pietro Nenni
Il nome, ...: “Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti”. A parte la difficoltà dell’eventuale acronimo, A1MDP che sembra quasi il codice di un nuovo motore o dell’ultimo modello di televisione ultra-hd, bisogna dire che solleva qualche dubbio e qualche perplessità questo affollato biglietto da visita. Soprattutto svela una sorta di fobia nei confronti di un aggettivo.
Tutto bene per l’articolo 1: quasi il titolo di un programma da riempire di contenuti, partendo da un quesito che a sinistra da tempo non ci si pone più, cioè come realizzare nel concreto quella “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Per ora, l’abbiamo fondata stabilmente sul non lavoro o sul lavoro sottopagato o sull’indifferenza nei confronti del lavoro o sull’idea che all’interno dei costi di produzione l’unico realmente flessibile (anzi, comprimibile) sia proprio quello legato al lavoro (pensiamo alla Apple: nel prezzo di vendita all’ingrosso di un iPhone la remunerazione per l’attività svolta dai lavoratori incide nella misura dell’otto per cento).
Per carità, nessuno di noi pensa da tempo che il salario sia una variabile indipendente. Ma il fatto è che nel tempo è stato rovesciato il concetto illustrato a metà degli anni Settanta da Riccardo Lombardi quando affermava che era necessario mettere al servizio del lavoro tutte le variabili economiche; oggi, al contrario è il lavoro che viene messo al servizio di tutte le variabili economiche e questo, va detto con estrema sincerità, non solo sotto il governo Renzi perché, poi, qualcuno (anche tra i fuoriusciti) ha consentito la nascita e la permanenza a palazzo Chigi dell’esecutivo presieduto da Mario Monti.
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