Libertà, solidarietà e amore
Se -come abbiamo potuto intuire dalle precedenti pagine- il filo conduttore dei romantici è stato il "nazionalismo", che quando viene esasperato si trasforma -è la Storia a confermarlo- in "razismo", è corretto aggiungere che un'altro aspetto del romanticismo del primo ottocento è il culto della "Libertà", il sentimento che, in Italia e non solo qui, animò le varie spinte, e le varie guerre, di liberazione da coloro (dominatori) che avevano una diversa nazionalità.
In verità il desiderio di "Libertà" è stato un cardine, il cardine della Rivoluzione francese, da cui poi si estese ovunque in Europa e non solo. L'esaltazione della "libertà", di origine -quindi- illuministica, contaggiò tutti i popoli oppressi e non tardò -in periodo romantico- dalla Grecia all'Italia e un pò ovunque a far nascere movimenti insurrezionali e patriottici.
Simbolo di sentimento romantico-insurrezionale è sicuramente George Byron (una sorta di figura-simbolo) che si adoperò per l'indipendenza sia dell'Italia (dalla supremazia austro-ungarica) che della Grecia (dal dominio turco). A quest'uomo adoperatosi per l'indipendenza greca e dei Balcani è dedicata una delle strade della nostra Contessa Entellina.
Il risvolto inglese del fenomeno "romantico" è interessante per il nostro filo conduttore (che, lo ricordiamo, è quello socio-politico). L'indipendenza inglese era ai primi dell'Ottocento una già consolidata conquista secolare ed è qui che comincia ad essere aperta una nuova visione di vita, la strada di un sogno: una società sociale aperta alla rigenerazione radicale dei rapporti umani (il socialismo). Ovunque sulla base del "sogno" inziarono ad essere aperti centri di elaborazione e di perseguimento di una nuova socetà; si era al "socialismo utopostico", il cui germe iniziale era impregnato di idealismo e di cristianesimo.
Sul continente un grande visionario quale è stato Victor Hugo, convinto che l'uomo sia capace di prodigiose realizzazioni, con la poesia, si fece aspettatore del trionfo finale della Libertà e della Verità.
Quell'inizio del XIX secolo è sì l'affermarsi del liberalismo (e del liberismo) e in quache modo il tempo in cui comincia a sorgere l'idea del socialismo ma è anche quello in cui comincia a nascere quell'espressione che si presta a più interpretazioni "il male del secolo", che alcuni declinano al plurale "i mali del secolo", che presenta una forza dissolvente, sconfortante, di scetticismo nei confronti del "sogno" per la rigenerazione sociale verso l'armonia umana.
In quell'inizo di secolo sono le religioni ufficiali che cominciano a denunciare una rottura nei confronti del sacro quale prezzo da pagare per conseguire la "modernità". L'Illuminismo aveva additato un avvenire radioso di continuo ed illimitato progresso; il romanticismo comincia ad inserire dubbi e ripensamenti: per esso era stata rotta, o meglio, era avvenuta ciò che esso definiva la "scissione dalla totaltà".
Con questa espressione si intendeva evidenziare la netta separazione fra la "realtà" ed i "valori", fra la "moralità" e la "azione", fra il "privato" ed il "pubblico", fra "vita reale" e "vita interiore", il "futuro" ed il "presente", fra l' "uomo" e la "donna", fra il mondo del "io" e il mondo degli "altri".
Nella scissione recata dall'Illuminismo, l'antirazionalismo romantico inizia a denunciare appunto il "male del secolo", quel disagio psicologico di malinconia, di depressione e demotivazione.
Su queste problematiche della modernità avremo modo di tornare.
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