L'Eparchia dei cattolici-bizantini dell'Italia continentale celebra i cento anni dall'istituzione.
1) In queste settimane l'Eparchia di Lungro, l'eparchia che tanti di noi, arbëreshe di Sicilia, identificano con quella che ha dato i natali e che poi è stata guidata, fra altri gerarchi, anche da Mons. Lupinacci, figura di grande spessore che ha retto pure -da vescovo- Piana degli Albnesi, sta celebrando -nel 2019- il centesimo anniversario dall'istituzione. Cento anni di testimonanza cristiano-orientale in una terra, la Calabria, dove -a prescindere dalla presenza arbëreshe dal XV secolo- il cristanesimo in versione bizantina aveva precedenti e solide radici millenarie e quindi anteriori all'esodo delle popolazioni albanesi dai Balcani ormai caduti in mano agli Ottomani.
2) Il centennario sta per essere celebrato con solennità e partecipazione in tutti i comuni ricadenti nel territorio dell'Eparchia di Lungro, sede episcopale dei cattolici-bizantini arbëreshe. Per dare rilevanza all'evento nei giorni trascorsi alcune migliaia di fedeli sono stati ricevuti in Vaticano da Papa Francesco e alcuni rappresentanti, al Quirinale, dal Presidente Mattarella.
Ad onorare l'evento erano presenti -a Roma- nella settimana che sta per finire alcune scolaresche dei paesi arbëreshe di Sicilia, di Contessa Entellina compresa. Erano presenti pure consiglieri e amministratori comunali, a prescindere se si sentano o meno nel loro operato arbëreshe. Ed è giusto che sia andata così. L'apprezzamento della vicenda arbëreshe in Italia può avvenire anche ad iniziare da questi eventi.
3) Tanti sono quindi stati coloro che sono accorsi a Roma per ricordare l'evento con cui la Chiesa cattolica ha, cento anni fa, ritenuto di dover onorare ed apprezzare mediante l'istituzione dell'Eparchia con sede a Lungro. Apprezzamento che qualche decennio dopo venne pure riconosciuto ai cattolici-bizantini di Sicilia mediante l'istituzione dell'Eparchia di Piana degli Albanesi.
Erano quelli anni di apertura, sia pure lenti e pure tardivi, della Chiesa romana a chi, pur essendo cristiano, seguiva una tradizione diversa ma fedele ai pilastri originari della Fede cristiana.
L'apertura più completa si ebbe, l'abbiamo avuta, col Concilio Vaticano II, negli anni sessanta. Erano gli anni di Giovanni XXIII e d Paolo II. I documenti conciliari riconobbero ruolo paritario, non solo sulla carta, alla Chiesa romana e a quella bizantina.
4) Tralasciando quanto accaduto nei decenni post-conciliari è notorio che la Chiesa romana rispetto a quanto operato nella prima metà del Novecento -nei confronti delle due Eparchie bizantine d'Italia- ha iniziato a guardare e a dialogare direttamente col mondo Ortodosso dell'Est europeo.
Lungro e Piana hanno cominciato -in un certo senso- ad uscire dai monitors vaticani. La Congregazione delle Chiese Orientali ha ritenuto -ovviamente sbagliando- che a Piana -nel nuovo clima- si possono mandare vescovi asciutti su ciò che è, rappresenta ed annuncia, il cristianesimo declinato alla maniera bizantina.
Eppure Francesco conosce bene la versione cristiano/orientale sin da quando è stato vescovo di Buens Aires e pochi mesi fa, su una tribuna che era stata montata a Palermo, ha esortato tutti, compresi i fedeli dell'Eparchia di Piana (riteniamo noi), a conservare le radici antiche e di provenienza.
5) Siccome tagliare le radici storiche di qualsiasi comunità non giova a nessuno, nè ai cattolici/romani nè agli eredi della tradizione/bizantina in Sicilia, ci piacerebbe che Francesco riprendendo il discorso svolto a Palermo eviti ancora di insediare vescovi romani nelle sedi eparchiali.
La religione non è affermazione di Potere, si lasci quindi che si seguano, nell'ambito dell'unica chiesa universale, le tradizioni e i percorsi propri di ciascuna realtà locale.
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