Il "rito bizantino” è un sistema liturgico che si è sviluppato nel patriarcato di Costantinopoli. Questa eredità liturgica cristiana è ancora in uso in tutte le Chiese che discendono dalla pentarchia ortodossa e nelle Chiese cattolico-bizantine.
Esso e' rinomato per la sontuosità del simbolismo cerimoniale e liturgico, e pur essendo eredità dei fasti imperiali di Costantinopoli prima dell’VIII secolo, è in realtà un ibrido di riti costantinopolitani e palestinesi, gradualmente sintetizzati dal IX al XIV secolo nei monasteri del mondo ortodosso.
Il rito bizantino / di
R. F. Taft (gesuita ed esperto della Liturgia bizantina)
(Testi estrapolati da una sua pubblicazione)
I suoi elementi
Come altre famiglie liturgiche cristiane tradizionali, il rito bizantino comprende:
__la “Divina Liturgia” (eucaristia);
__gli altri “misteri” (sacramenti) del battesimo, della crismazione (confermazione), dell’incoronazione (matrimonio), dell’unzione, della penitenza e dell’ordinazione;
__il mattutino, i vespri, le vigilie ed altre Ore;
__l’anno liturgico con il suo calendario di cicli fissi e mobili di feste e giorni di digiuno e di santi;
__inoltre, una varietà di celebrazioni minori o akolouthiai (benedizioni, consacrazione di una chiesa, esorcismi, professioni monastiche ecc.).
Tutto ciò è codificato nelle antologie ufficiali, o libri liturgici della tradizione.
Come in altre tradizioni, i libri liturgici bizantini sono o testi liturgici usati nelle celebrazioni, oppure istruzioni che regolano il modo in cui tali testi debbano essere usati.
I testi stessi contengono le due serie di elementi abituali:
--l’ordinario, cioè la struttura fondamentale e invariabile degli uffici;
--e il proprio, che varia secondo la festa o il giorno.
L’ordinario bizantino è contenuto nell’Euchologion, o Libro di preghiere e di litanie ad uso del celebrante e del diacono, e nell’Horologion, o Libro delle Ore.
I propri del tempo del ciclo mobile, che ruota attorno alla Pasqua, si trovano distribuiti in tre libri: il Triodion per la Quaresima, il Pentekostarion per il periodo da Pasqua a Pentecoste, e l’Oktoechos per le domeniche e i giorni feriali dell’anno (tranne quando è sostituito dalle altre due antologie).
sile”).
Le letture del Nuovo Testamento, proprie ad entrambi i cicli, sono contenute in due lezionari: l’Apostolos e l’Evangelion.
Le letture dell’Antico Testamento, lette oggi solo nell’Ufficio divino, sono state incorporate negli altri libri del proprio.
Il Typikon o Libro delle normative – un regolamento che comprende il calendario liturgico con spiegazioni rubricali – è il consuetudinario che regola l’uso di questi libri secondo le feste e i tempi dell’anno liturgico.
Questa scarna descrizione contenutistica del rito bizantino non rende ragione della ricchezza poetica, dell’intensità, dell’unità finemente intrecciata della sua celebrazione, della sua ambientazione e interpretazione rituale.
La liturgia bizantina e la sua teologia – nel contesto originario dell’architettura della chiesa bizantina, della sua decorazione e della disposizione liturgica che abbracciano il rituale come sua matrice naturale – si uniscono per creare ciò che H. J. Schulz ha felicemente chiamato una peculiare Symbolgestalt, o matrice simbolica.
L’impatto di questa Symbolgestalt è custodito per sempre nella leggenda della delegazione mandata a Costantinopoli nel 987 dal principe Vladimir di Kiev “per informarsi sulla fede greca”.
Gli ambasciatori furono condotti a Santa Sofia per la liturgia “affinché gli abitanti della Rus’ potessero contemplare la gloria del Dio dei greci”.
Ritornati a casa, riferirono ciò che avevano sperimentato in termini che sono diventati emblematici per l’Erscheinungsbild, cioè per l’impatto unico creato dagli splendori sensibili del rito bizantino:
Non sapevamo se in cielo ci trovavamo oppure in terra: non v’è sulla terra uno spettacolo di tale bellezza, e non riusciamo a descriver[lo]; solo questo sappiamo: che là Dio con l’uomo coesiste, e che il rito loro è migliore [di quello] di tutti i paesi. Ancora non possiamo dimenticare quella bellezza.
“Il cielo sulla terra”. Questa espressione classica, ripetuta cosí spesso da essere diventata un luogo comune, deriva di per sé dal capitolo iniziale di un commentario liturgico anteriore (ca. 730) del patriarca san Germano I di Costantinopoli: “La chiesa è il cielo sulla terra, dove il Dio dei cieli abita e si muove”.
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