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venerdì 11 dicembre 2009

COSTITUZIONE della Repubblica Italiana. Articolo 11: L'Italia ripudia la guerra

Articolo 11, Costituzione di pace
di Lorenza Carlassare

L’Italia ripudia la guerra: l’unica consentita è quella difensiva, eppure ci sono stati interventi militari. Forse non è un sogno pensare che, finita l’era Bush, a quei valori si possa ritornare.

Art. 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Forte è l’ispirazione pacifista della Costituzione che “ripudia” la guerra e per evitarla consente limitazioni di sovranità in favore di un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le nazioni: non la pace dei cimiteri, imposta dalle armi, ma la “pace nella giustizia”, basata su accordi equi, cooperazione, solidarietà internazionale.
In Assemblea Costituente il consenso sull’art. 11 fu praticamente unanime: forze diverse si riconoscevano in un valore comune alle loro culture e nel rifiuto del rovinoso passato. “La guerra sta all’uomo come la maternità alla donna” diceva Mussolini; la pace è “deprimente e negatrice delle virtù dell’uomo che solo nello sforzo cruento si rivelano”.

La guerra difensiva è l’unica consentita, le controversie internazionali vanno risolte per altra via; non esistono ragioni diverse dalla necessità di rispondere a un attacco armato che possano legittimare il ricorso alla guerra; alle condizioni e nelle forme prescritte dalla Carta dell’Onu. Non sono ipotizzabili “guerre giuste” in grado di sospendere il divieto costituzionale.

Eppure l’Italia ha partecipato a operazioni militari e inviato truppe fuori dai confini con un crescendo impressionante. Ai primi interventi, cauti e discussi, ne seguirono altri, sempre più espliciti (ora si cambiano addirittura le condizioni d’ingaggio); per minimizzarli li si chiamò “operazioni di polizia”, “missioni umanitarie”, poi “missioni di pace”, persino in mancanza dell’avallo indispensabile delle Nazioni Unite. Si arrivò alla “guerra preventiva”, imposta dalla violenta e irresponsabile presidenza Bush, come nel 2003 in Iraq.

Reazioni in Italia non mancarono: lo stesso Andreotti (che in anni precedenti minimizzando parlava di “operazioni di polizia” internazionale), assieme a deputati di diverse parti politiche, si espresse in Senato (25 marzo 1999) contro l’intervento militare in Serbia nel quale si giunse, per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale, a bombardare una capitale europea ! Nell’acceso dibattito, fu denunciato la trasformazione della Nato da alleanza difensiva in organizzazione con compiti ben diversi dalla legittima difesa collettiva, talora fuori dalla stessa Carta dell’Onu.

Il fatto di far parte della Nato (dove gli Usa hanno sempre condotto il gioco) nonostante la sua mutazione “aggressiva”, ci impegna incondizionatamente ? Un trattato ci vincola senza limiti ? I giuristi “giustificazionismi” hanno tentato di salvare la partecipazione a interventi armati come adempimento ad obblighi derivanti dall’adesione a “organizzazioni internazionali” con le “limitazioni” conseguenti, usando la seconda parte dell’art. 11 contro la prima. Ma non ci sono due parti separate: l’art. 11 è una disposizione unitaria che va letta, appunto, nella sua unità.

L’argomento è usato spesso dai politici (ad es. dall’on.le D’Alema nel dibattito menzionato) e dai loro sostenitori con una strana inversione, quasi che il principio fondamentale dell’art. 11 fosse subordinato agli impegni assunti dal governo. Non è così: i trattati sono subordinati all’art. 11, non viceversa ! Sono gli impegni internazionali che comportano limitazioni di sovranità per le “finalità” indicate dall’art. 11 – pace e giustizia fra le nazioni – sono legittimi, gli altri no; tanto meno se prevedono limitazioni e impegni a fini di guerra. La Corte costituzionale (sent. 300/1984) ha chiarito che le “finalità” cui sono subordinate le limitazioni di sovranità sono quelle stabilite nell’art. 11, non le finalità proprie di un trattato che, anzi “quando porta limitazioni alla sovranità, non può ricevere esecuzione nel paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità dettate dall’art. 11”. Il discorso è importante anche perché il “ripudio” della guerra non vieta solo la partecipazione a conflitti armati ma pure l’aiuto ai paesi in guerra: illegittimo è il commercio di armi con tali paesi e il fornir loro le basi per agevolarne le operazioni. Eppure dalle nostre basi sono partiti aerei per missioni di guerra.

Un altro tentativo di giustificazione si basava sull’art. 10, comma 1: si sarebbe formata una consuetudine internazionale che, a difesa dei diritti umani, legittimerebbe interventi miliati (stragi di civili comprese ?) nel territorio di uno Stato che non li ha richiesti. Anche se fosse vero (ma non lo è), la Corte Costituzionale nella sent. 48/197 (menzionata a proposito dell’art. 10) ha escluso le consuetudini “in violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale”. Il ripudio della guerra è certamente fra tali principi.

L’art. 11 apre una prospettiva nuova, la stessa che anima la Carta delle Nazioni Unite, lontana dagli scenari di guerra, di morte, d’inutile distruzione che il mondo si era appena lasciati alle spalle. Erano gli anni della speranza. Ma il monopolio della forza ha cammbiato lo scenario mondiale, sostituendo brutalmente le “ragioni” di chi lo detiene al sistema di valori faticosamente costruito. La “forza”, con i mezzi attuali, rende nuova la forma dello scontro: la macchina ha schiacciato l’uomo. Ecco allora, in questa guerra asimmetrica, di fronte all’impossibilità di di condurre una battaglia ad armi pari o almeno confrontabili, chi ne è sprovvisto non vede altra via che il terrorismo. Un impressionante regresso, un abbandono di principi e valori incontroversi che mostra l’irrazionalità della storia. Ma forse non è un sogno pensare che, finita l’era Bush e dei suoi funesti collaboratori, a quei valori si possa ritornare.

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