Massimo Fini, giornalista e scrittore, è una penna incisiva dell’odierna realtà sociale, che sarebbe, secondo la sua analisi, caratterizzata non più dal confronto Destra – Sinistra, concetti vetusti ed indistinguibili alla luce di una sempre più accentuata somiglianza programmatica fra le forze politiche in campo; prescindendo dagli aspetti “umorali”, “caricaturali” o “intellettuali” dei leaders Pd o Pdl, è oggi impossibile distinguere nei programmi sociali ed economici delle due formazioni chi sia più o meno conservatore e/o progressista. Anche perché entrambi si muovono, e lavorano, sui dati e gli orientamenti più o meno vincolanti che vengono dall’OCSE, dall’Unione Europea e dalle Borse mondiali.
La Grecia fino a due mesi fa era governata dal partito Conservatore, cacciato via dagli elettori per la stringente politica economica. Oggi la medesima ricetta economica, magari con medicine ancora più amare, è portata avanti dal governo ‘progressista’ socialista voluto dagli elettori. Destra, Sinistra, espressioni nate dalla Rivoluzione Francese, dall’Illuminismo sull’accentuazione che occorre dare a “Libertà” e/o “Eguaglianza”, per Massimo Fini non chiariscono nulla alle soglie del terzo millennio.
Come leggere, come tentare di interpretare allora, i movimenti delle forze in campo nelle società occidentali ?
Da un lato si trovano i figli del pensiero liberale (del grande pensiero liberale, che inglobba destra e sinistra, espressione comunque del pensiero Illuminista) che si muovono ed agiscono nel tentativo di diffondere (imporre ?) nel mondo la “visione unica”, che unifichi tutto in principi culturali, giuridici ed economici universali (da qui le grandi strutture sovranazionali, a cominciare dall’Onu); dall’altro lato coloro che vogliono difendere i propri valori e la propria diversità in contrasto col “pensiero unico”, che sarà pure democratico ma è liberista e quindi desideroso di creare un campo, un “mercato” con arbitri e regole che inevitabilmente esprimono e ricalcano il potere del “più forte” ai danni del “piccolo”, del diverso e di chi rifiuta di seguire l’onda.
Massimo Fini, in controcorrente, attacca lo stile di vita che il mondo occidentale si adopera di imporre al pianeta, ammantando la parola guerra di “umanitaria” e, ancora pochi giorni fa, di “giusta”, secondo le parole di Obama.
Un libro significativo di Massimo Fini reca un titolo di per sé eloquente “La Ragione aveva Torto ?”, chiaro riferimento al frutto della rivoluzione francese.
Perché abbiamo voluto intrattenerci, sul nostro sito, su uno scrittore che, in fondo, potremmo definire egocentrico e/o controcorrente ?
Dopo il Vaticano II anche l’ultima istituzione che rifiutava di riconoscere l’importanza dell’Illuminismo nel mondo moderno, la Chiesa, ha sgomberato il tavolo da ogni avversione. Oggi il papa teologo sforna documenti sulla compatibilità fra Fede e Ragione.
Lo abbiamo fatto perché qualcosa di vero, sull’ininfluenza delle diversità programmatiche fra Destra e Sinistra ci deve pur esserce oggi, se è vero come è vero, che questo critico della società Illuministica veda ospitati i suoi scritti sia sui giornali cosiddetti di destra che di sinistra.
Per capire, più in profondità, il pensiero del nostro, esaminiamo un suo recente articolo su un giornale di “sinistra” con cui tende a mostrare che “La democrazia esisteva quando non sapeva di esserlo”. Chiarisce in buona sostanza che nella società preilluministica e preindustriale l’assemblea della comunità di villaggio, composta dai capifamiglia decideva assolutamente tutto ciò che riguardava il villaggio. Citando uno storico degli Annales, Albert Soboul, dice “Le attribuzioni delle assemblee riguardavano tutti i punti che interessavano la comunità. Essa votava le spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, cambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva proporzionalmente i canoni che alimentavano il bilancio comunale; poteva contrarre debiti e iniziare processi; nominava, oltre ai sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, gli assessori e i riscossori di taglia. L’assemblea interveniva nei minimi dettagli della vita pubblica, in tutti i minuti problemi dell’esistenza campagnola”. Continua sottolineando che era l’assemblea a decidere come dovevano essere ripartite all’interno della comunità le tasse a favore del re, che nonostante la dizione “decima” non superava, unita alla quota ecclesiastica, mai il 5%.
L’intervento dello Stato era minimo, praticamente solo formale. L’approvazione dei bilanci e le autorizzazioni di spesa dovevano venire dall’intendente del re. Ma fra domanda e risposta passavano mesi e più spesso anni, cosicchè l’assemblea del villaggio procedeva dando per scontata una risposta positiva, cosa che puntualmente avveniva. Con le parole dello storico Pierre Goubert, Massimo Fini ci dice: “Lo Stato lasciava alle comunità una libertà d’azione (e non di radio di parola) molto maggiore che non le autorità prefettizie del post Illuminismo. Questo sistema si incrinerà proprio agli albori della Rivoluzione quando, sotto la spinta degli interessi e dell’ossessione codificatoria dell’avanzante borghesia, un decreto reale del 1787, col pretesto di regolare e uniformare un’attività che aveva sempre funzionato benissimo (in Francia come altrove), introdurrà il principio cardine delle società moderne: l’assemblea non decide più direttamente, ma elegge da sei a nove membri …Era nata la democrazia rappresentativa, un modo, secondo il Fini, per fregare la gente e soprattutto la povera gente, col suo consenso (il voto).
Abbiamo voluto riportare il contenuto del recente scritto di Massimo Fini per chiarire al meglio il suo pensiero. A noi, intendiamo noi cittadini di Contessa, non pare che i poteri dell’Assemblea civica, dal 1520, data dei capitoli concessi dai Cardona, all’arrivo del vicerè illuminista Domenico Caracciolo nell'ultimo ventennio del '700 siano stati così vasti e democratici.
Tutto, tutto significa tutto, il potere amministrativo/giudiziario era nella mani del Signore feudale e dei suoi ‘governatori locali’, personaggi che sceglieva lui, a libera discrezione. Spazi leggermente di maggiore autonomia, ovviamente, esistevano nei comuni demaniali (Palermo, Corleone etc.).
Tutto, tutto significa tutto, il potere amministrativo/giudiziario era nella mani del Signore feudale e dei suoi ‘governatori locali’, personaggi che sceglieva lui, a libera discrezione. Spazi leggermente di maggiore autonomia, ovviamente, esistevano nei comuni demaniali (Palermo, Corleone etc.).
Mi ha colpito l'asserzione secondo cui "Dopo il Vaticano II anche l’ultima istituzione che rifiutava di riconoscere l’importanza dell’Illuminismo nel mondo moderno, la Chiesa, ha sgomberato il tavolo da ogni avversione. Oggi il papa teologo sforna documenti sulla compatibilità fra Fede e Ragione."
RispondiEliminaIn realtà già 19 secoli fa, l'autore del Vangelo di Giovanni esordiva appunto il suo Vangelo con l'espressione "En archì in o Logos ... ke o Logos in Theòs". Il fatto che o Logos sia generalmente tradotto in italiano con "il Verbo" non aiuta certo la corretta comprensione del testo originale. In realtà il significato del termine greco Logos è "discorso" ma non certo un discorso qualunque, bensì un discorso logicamente (non è un caso che la parola che ho appena usato abbia la stessa radice di logos) concatenato che con-vince l'interlocutore unicamente con la forza della ragione; quindi anche discorso logico, razionale, ragione.
Allora, molti secoli prima dell'Illuminismo, fin dalle prime righe di uno dei documenti fondativi della religione cristiana, era affermato senza reticenze e senza mezzi termini che la Ragione è il Dio in cui credono i cristiani!
Non è fuori luogo ricordare che la chiesa "greca" ossia bizantina ha sempre letto questo passo evangelico durante la Divina Liturgia di Pasqua e lo ha letto nel testo originale.
Ora, attribuire al Vaticano II, la scoperta della compatibilità fra fede e ragione mi sembra una forzatura bella e buona.
Questa "scoperta" risale alle origini del cristianesimo e molte chiese si sono mantenute nei millenni fedeli a questa impostazione.
Semmai, è successo che, dopo il concilio Vaticano II, ai cattolici che ritenevano che attuare il Concilio consistesse nell'aggiornamento della teologia (una sorta di colossale rincorsa da parte della teologia delle mode filosofiche e culturali) si sono contrapposti altri cattolici, fra cui l'attuale Papa, che hanno ritenuto opportuno da parte della Chiesa il ritorno alle fonti (ressourcement): in quest'ottica si colloca la riscoperta di quella originale fede dei cristiani nella Ragione; il chè è un'espressione ben piu radicale di "compatibilità fra fede e ragione".