Ecco perchè il liberismo crea ed accentua le disparità sociali
-Seguiremo un articolo pubblicato oggi da IlPubblico-
L’ultima manovra del
governo Monti prende con una mano (innalzamento dell’Iva dal luglio 2013,
riduzione delle detrazioni fiscali) e dà con un’altra (riduzione dell’Irpef per
le fascie più basse di reddito) .
La realtà è purtroppo
peggiore: la manovra prende dai redditi più bassi e dai ceti lavorativi per dare
alle grandi imprese, realizzando un vero e proprio trasferimento di ricchezza
sociale.
I provvedimenti, dal
momento che tolgono disponibilità dalle tasche della gran massa della gente,
avranno effetti recessivi, sulla linea di quelli già varati e che hanno
abbondantemente depresso la domanda e conseguentemente la produzione nel nostro paese.
Il governo ha gettato
fumo negli occhi riducendo le prime due aliquote dell’Irpef. La prima dal 23%
al 22%, la seconda dal 27% al 26% che potrà produrre mediamente un risparmio di
280 euro per contribuente, che in totale nel 2013 sarebbe di circa 4,27
miliardi in meno per l’erario. Il governo ha introdotto una franchigia di 250
euro su deduzioni e detrazioni e un tetto di 3000 euro alle spese detraibili.
Conseguenza dell’intervento su detrazioni/deduzioni è l’aggravio di imposta per 2 miliardi di euro, che colpirà 21 milioni di persone, di cui il 94,5% lavoratori dipendenti e pensionati.
Conseguenza dell’intervento su detrazioni/deduzioni è l’aggravio di imposta per 2 miliardi di euro, che colpirà 21 milioni di persone, di cui il 94,5% lavoratori dipendenti e pensionati.
Il liberismo privileggia la logica del mercato. In Italia tutte le forze presenti in Parlamento si richiamano al liberismo, tranne sparute frange del Pd |
Per quanto riguarda le
spese sanitarie la franchigia a 250 euro risulta raddoppiata rispetto a quella
attuale e gli sconti saranno ridotti del 25%, aggravando l’aumento di ticket e
spese sanitarie. Tra i più colpiti dal tetto alle spese detraibili saranno i
3,2 milioni di titolari di mutui, che prima potevano portare in dichiarazione
fino a 4mila euro con uno sconto di 760 euro, che ora non potrà superare i 570
euro. Con la contrazione dei mutui e del mercato immobiliare è facile
immaginare l’ulteriore effetto depressivo sul settore delle costruzioni.
Ma l’aspetto forse più
odioso delle nuove deduzioni e riduzioni è la retroattività, essendo valide dal
2012, mentre i tagli Irpef partiranno dal prossimo anno: una decisione contro
il principio di non retroattività della legge e lo Statuto dei diritti del
contribuente.
Quindi, nel 2012 la
grande massa degli italiani pagheranno una imposta Irpef più salata, altro che
alleggerimento fiscale. Senza contare che la riduzione di detrazioni e
deduzioni aumenterà l’imponibile da assoggettare alle addizionali regionali e
comunali Irpef.
Il governo ha
sottoposto da un anno –nella logica liberista- il paese ad una cura da cavallo,
motivandola con la volontà di non aumentare l’Iva. Ecco che, invece, l’Iva
viene aumentata di un altro punto percentuale, portando l’aliquota media del
10% all’11% e quella massima dal 20 al 21%.
In qualche caso, anche
l’aliquota più bassa è stata ritoccata: per i servizi delle cooperative si
passa dal 4% a 10%. Si tratta di aumenti privi di una seria logica economica.
In primo luogo, perché, spostando la tassazione dalle persone alle cose,
penalizza i redditi più bassi in quanto l’Iva grava su tutti (ricchi e poveri)
allo stesso modo. In secondo luogo, perché è poco efficace: tra gennaio e
agosto, nonostante l’aumento dell’1%, il gettito Iva è diminuito rispetto al
2011 di 913 milioni (-1,3%) in quanto più aumentano i prezzi e meno la gente
compra. In terzo luogo, l’aumento dell’Iva non si limita ad incrementare i
prezzi dell’1%, in quanto il settore della distribuzione di solito prende a
pretesto l’aumento dell’Iva per incrementi maggiori. L’aumento dell’inflazione
che ne consegue, in presenza di un ristagno salariale e di un aumento di
disoccupazione e cassa integrazione, riduce fortemente il potere d’acquisto dei
lavoratori e il monte salari complessivo.
Ma non basta. Infatti,
il governo ha reso permanente l’aumento dell’accisa carburanti per il recente
terremoto, allineandosi alla scuola di pensiero che ci fa pagare al
distributore calamità di cinquanta anni fa. Nel decreto si prevede anche
l’aumento delle aliquote della tassazione sul Tfr, dal 23% al 23,5%, per un Tfr
maturato in 10 anni e pari a 20mila euro, dal 26,19% al 27%, per 20 mila euro,
e dal 29,40 al 29,75%, per 40mila euro. I lavoratori pubblici, con il
congelamento del rinnovo dei contratti e la conferma della sospensione della
vacanza contrattuale, perderanno tra 2010 e 2014 dai 6mila agli 8000 euro. Un
provvedimento ancora più iniquo se si considera che sono saltati i tagli del 5
e 10% sui superstipendi che nei ministeri superano abbondantemente in decine di
casi i 200mila euro.
Se il salario diretto
in busta paga e quello differito, Tfr e pensioni, vengono colpiti, il salario
indiretto, erogato attraverso i servizi sociali, viene attaccato ancora più
duramente. Il decreto del governo prevede un taglio di 1,6 miliardi alla spesa
sanitaria tra 2013 e 2014, che si aggiunge ai tagli già adottati. Inoltre, i
trasferimenti statali agli enti locali verranno ridotti di 2,2 miliardi di
euro, di cui 1,5 miliardi alle regioni. Considerando che i bilanci di molte
regioni e comuni sono disastrati e che i ticket sanitari e le imposte locali
sono già molto alti, questi tagli avranno un ulteriore effetto rialzista sulla
tassazione locale e di peggioramento della qualità del servizio, che sarà
scontato da chi non può usufruire della sanità privata.
Chi beneficerà dei
provvedimenti del governo? In primo luogo le grandi imprese. A queste verrà
concesso uno sconto fiscale di 1,6 miliardi di tasse, praticamente
l’equivalente dei tagli alla sanità, con i quali verrà pagato. Lo sconto è
condizionato al raggiungimento di accordi di produttività tra imprese e
sindacato. Si tratta di un’ulteriore spinta a rendere secondari i contratti
nazionali e a legare le retribuzioni alla produttività. Questa non deriverebbe,
stante anche il calo degli investimenti, da innovazioni tecnologiche e di
prodotto ma dall’aumento dei ritmi e della durata del lavoro, che Squinzi, presidente
di Confindustria, ha evocato come le leve da impiegare per salvare l’industria
italiana.
Dulcis in fundo, le
scuole private percepiranno 223 milioni di euro, mentre gli insegnanti delle
scuole pubbliche lavoreranno 6 ore in più alla settimana.
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