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sabato 12 maggio 2018

Il Governo. Salvini e Di Maio alla guida dell'Italia ?

Dal Corriere della Sera

Tensioni sul premier e sui ministri. Opinioni diametralmente opposte sull’Ilva e sull’Alcoa. Divergenze su immigrazione e grandi opere. Imbarazzo sul conflitto d’interessi. Fastidio per l’entrata in scena di Davide Casaleggio. Dopo un avvio entusiasta, ieri la «relazione complicata» tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini ha subito una giornata durissima. Tanto che lo stesso leader M5S ha rispolverato, come clausola di stile ma forse non solo, l’ipotesi di tornare al voto in caso di disaccordo. Vincenzo Spadafora considera «al lumicino» le possibilità di tornare alle urne, ma è vero che lo stallo è giunto a un livello tale da suggerire la convocazione urgente di un tavolo congiunto tra i tre uomini che contano nei 5 Stelle, Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Luigi Di Maio.
Cuore della questione è la premiership, che però è intimamente connessa alla natura e all’identità di quello che il forzista Giovanni Toti chiama governo «ircocervo». Due teste e due anime. Quella del Movimento e quella, a sua volte composita, della Lega, che è e vuole continuare a far parte della coalizione di centrodestra. A che titolo e in che forma avere rapporti con Fdi e Forza Italia è il centro del problema. Per questo Luigi Di Maio, pur proponendo ufficialmente un nome terzo, è tornato nei colloqui privati a riproporre la propria leadership. «Se facciamo concessioni — ha spiegato ai suoi — io premier sono l’unica garanzia che il governo non sbandi». E qui si incaglia la trattativa.
Perché Salvini, a sua volta, rivendica la premiership o un nome terzo che sia in qualche modo gradito a Berlusconi e Meloni (con i suoi utilissimi 18 senatori). Da solo, come gli ricordano ormai apertamente i 5 Stelle, Salvini vale solo il 17 per cento. E per questo lui preme per tenere agganciati gli alleati. Con lui premier, difficilmente Berlusconi potrebbe votare contro. E la sua presenza a Palazzo Chigi è considerata una garanzia anche dalla Meloni. Che ieri è uscita delusa dal colloquio voluto da Di Maio: «Ci volevano al governo — spiega — ma solo a patto che il premier fosse Di Maio o un 5 Stelle. Perché, mi è stato detto, sono troppo di destra. Ma come? A Luigi gli ho detto: te voglio bene, ma io con te premier, che mi dici che sono troppo di destra?». A sera la replica 5 Stelle: «Mai offerto governo, abbiamo parlato di appoggio esterno. Ma lei voleva il ministero della Difesa».
E dunque, tra veti contrapposti (ai 5 Stelle non è piaciuto il nome di Antonio Tajani), si è tornati allo schema iniziale. Di Maio e Salvini che rivendicano la leadership e una lista di nomi terzi che non convincono. Per questo si è ripreso a parlare di staffetta, acrobatico compromesso sicuramente poco gradito sul Colle. Anche se poi la questione la complica la geografia dei ministeri. La Lega potrebbe ottenere il sottosegretariato alla presidenza del Consiglio, magari con Giancarlo Giorgetti, e il Viminale. I 5 Stelle gli Esteri e l’Economia. Ma questo è un passo successivo, perché, come dice la Meloni: «Non è che puoi fissare la data delle nozze, invitare tutti e non sapere chi è lo sposo».
Nel bailamme sui nomi, ci sono i famosi «temi». E una realtà che incombe. Come l’Ilva di Taranto, sulla quale le posizioni sono inconciliabili. Come spiega il leghista Rossano Sasso: «Sostenere, come fanno i 5 Stelle, che l’Ilva vada chiusa è inaccettabile». Ma c’è maretta anche su altro. I leghisti insistono per rimpatri forzati e ruspe, i 5 Stelle ragionano di accordi con i Paesi di origine. Salvini impugna la pistola perché «ogni difesa è legittima», i 5 Stelle nicchiano. Sul conflitto d’interessi, Barbara Lezzi evoca pericolosamente le parole di D’Alema: «La legge ci sarà ma non sarà contro Berlusconi, perché Mediaset è un’azienda importante nel Paese».
Quanto basta per far tornare la divisione tra ortodossi e governisti. Con Alessandro Di Battista che non fa un regalo a Di Maio, spiegando di essere stato «molto, ma molto» contrario a un governo con il Pd (che stava trattando proprio l’«amico» leader). Contrario, proprio come Grillo. E con la base che rumoreggia e arriva fino a Palazzo Chigi, con il secondo sit-in in due giorni, che pretende «Di Maio premier». In nome di una purezza che si è persa già da un po’.

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