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sabato 14 novembre 2009

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte quarta)

  Riteniamo cosa utile, nel quadro della nostra intenzione di riportare a verità le condizioni socio-economiche della nostra terra prima del "terremoto", riportare l'editoriale del Giornale di Sicilia del 16-01-1968, a due giorni dal sisma che ha devastato la Valle del Belice.
Il Contessioto

UN PREZZO DURISSIMO di Delio Mariotti
Rovina, morte e desolazione si sono abbattute su tre province siciliane. Paesi come Montevago, Gibellina, Salaparuta sono distrutti, altri sono una macchia biancastra di macerie; centinaia sono i morti e i feriti e gli sfollati; migliaia gli sbandati e i senzatetto.


Scrivere queste parole è doppiamente penoso. Uno sconvolgimento tellurico è cosa tremenda ovunque accada, specie se acquista aspetti crudeli come questo che lamentiamo, ma ancora più tremendo è il pensare che i comuni colpiti, le frazioni sbriciolate, le case coloniche schiantate erano comuni, frazioni e case di povera gente a cui molto mancava e ora manca tutto. Erano poveri d’acqua, erano poveri di agricoltura. Erano poveri di industrie e di commerci. Erano plaghe spremute da antica miseria, dalle quali migravano giovani in cerca di lavoro in altre più fertili ed operose plaghe del nord Italia e d’Europa. Che cosa rimane ora di Montevago, Gibellina, Salaparuta ? Che cosa rimane ora all’emigrato ? Che cosa rimane ai sopravissuti ?


Non intendiamo fare del pietismo. La vita è dura e la malasorte è sempre pronta a colpire l’uomo e la comunità. Ma qui è diverso. Qui il male si accanisce contro miseri abituati e gente di poca speranza e molti affanni.. E’ il vero, autentico problema del Mezzogiorno – e non v’è Mezzogiorno più remoto della Sicilia - che appare nel suo più desolato aspetto. Ci si accorge, infatti, che il sisma, che pur ha colpito brutalmente al cuore, ha messo allo scoperto secolari ferite aperte. Le strade, per esempio. Quelle strade che l’IRI ritiene debbano un giorno diventare superflue, per il Mezzogiorno –sicchè sarebbe persino inutile investire denaro- strade che impediscono ora il rapido afflusso di soccorsi; strade i cui “ponticelli” sono saltati, strade franate, strade che in molti casi diventano viottoli o trazzere. O le comunicazioni. In queste ore amare è impossibile telefonare anche nei centri vicini a quelli colpiti ed è difficile telegrafare. O gli ospedali; le centinaia di feriti non hanno dove ricevere cure, debbono essere portati, lontano e spesso anche gli ospedali dei centri in cui sono portati sono privi di letti, di medicine e persino di personale.


Affiora insomma un problema di malessere, si avvertono i segni di un minuzioso squallore, si è al cospetto di una economia emblematica, adatta per lo strano fraseggiare sulle “infrastrutture”, così caro agli uomini politici e di certo inteso a dar valore a disegni grandiosi di “industrializzazione”, di “poli di sviluppo”, di “centri pilota” eccetera. Infrastrutture qui diventa parola semplice e significano, in primo luogo, canalizzazioni di acqua potabile e fogne.


Ma non vorremmo, in questa ora di angoscia, parlar di questo. Vorremmo inchinarci sulle molte bare, sui lutti familiari, sugli acuti dolori dei sopravissuti. Vorremmo innanzitutto esprimere la solidarietà di ogni cittadino verso altri cittadini che stanno pagando a duro prezzo una grama vita di rinunzie. Il che di cuore facciamo.


Ma vorremmo anche che un tale sentimento comportasse impegno di chi ha cure di governo e di amministrazione per una miglior sorte di questa infelice parte d’Italia. Intanto soccorsi efficaci, rapide decisioni di ricostruzione (e per questo il governo dovrà necessariamente provvedere con decreti-legge); e poi una schietta assunzione di responsabilità perché davvero il più negletto Mezzogiorno d’Italia si avvii –se non verso orizzonti di luce- verso più umane forme di vita.


E’ la seconda volta che il Presidente della Repubblica Saragat viene in Sicilia in modo subitaneo: la prima volta fu per la frana di Agrigento, nel luglio del 1966. Allora Saragat accarezzando un fanciullo disse che “i bambini avrebbero ricevuto il loro nido”. E’ passato un anno e mezzo e non tutti i nidi sono stati rifatti. Su Agrigento e la miseria del suo popolo gravava l’ombra della speculazione di pochi. Era, sotto certi aspetti, una sciagura non “perfetta”. Ma questa del terribile terremoto è una sciagura perfetta, un oscuro attentato della natura alla miseria umana. Tocca agli uomini ripararvi senza indugio con umano sentimento, con avvedutezza politica.
Delio Mariotti

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