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venerdì 13 novembre 2009

Art. 8 della Costituzione: Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi

Proseguiamo la lettura della Costituzione Italiana, grazie al percorso che il quotidiano 'Il Fatto' sta offrendo attualmente ai lettori. La nostra pubblicazione è iniziata con l'art. 6 sulle minoranze etniche, motivo percui riteniamo utile nei prossimi giorni di pubblicare anche i commenti dall'art. 1 al 5.
Si è cittadini solo se si conosce la carta costituzionale del proprio paese.
Il Contessioto


13-11-2009
LE RELIGIONI, UGUALMENTE LIBERE

di Lorenza Carlassare

L’art. 8 della Costituzione: “Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”

L’articolo 8 recita: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. Il primo comma, d’importanza fondamentale, pone il principio generale dell’eguale libertà di tutte le confessioni religiose, anche se non della assoluta parità di trattamento (già smentita dal sistema stesso delle “intese”). I principi fondamentali del pluralismo e della laicità dello Stato trovano qui conferma ulteriore. Non più il privilegio di una sola religione di Stato, ma eguale libertà e tutela per le diverse confessioni.. Eppure, a oltre sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, questi principi non sono ancora passati nella coscienza di molti. Impressionano, in particolare, le recenti ordinanze di alcuni sindaci di piccoli comuni –tutte illegittime- così cariche di intolleranza per ogni diversità.
Il secondo ed il terzo comma riguardano le confessioni diverse dalla cattolica, avvicinandone il trattamento a quello dell’art. 7. A tutte viene assicurata l’autonomia organizzativa con l’unico limite, per i loro statuti, di non essere in contrasto con l’ordinamento italiano, o meglio, con i “soli principi fondamentali dell’ordinamento”, come ha precisato la Corte Costituzionale. Fra i principi innanzitutto sta il rispetto dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti: una norma del periodo fascista sull’appartenenza “automatica” alla comunità israelitica, da cui derivava una contribuzione finanziaria obbligatoria alla comunità, è stata dichiarata incostituzionale. Lo Stato non può regolare unilateralmente i rapporti con le confessioni acattoliche: in analogia col sistema pattizio dell’art. 7, la Costituzione prevede che siano regolati dalla legge in base a un’intesa con la rappresentanza della confessione religiosa. Intesa vincolante per la legge stessa, illegittima se ne contraddice il contenuto e illegittima pure se abroga o modifica una legge (preceduta da intesa) senza una intesa nuova: i rapporti tra una confessione religiosa e lo Stato, stabiliti secondo l’art. 8, non sono modificabili se non con lo stesso procedimento. Le confessioni regolate da intese sono diverse: Tavola valdese (1984), Unione Chiese avventiste, Assemblea di Dio in Italia, Unione Comunità ebraiche, Unione cristiana evangelica battista, Chiesa evangelica luterana in Italia (1995).

Per lo Stato la trattativa e la sigla delle intese sono di competenza del governo; per la confessione religiosa, della rappresentanza di essa autonomamente espressa. Ma esistono rimedi giuridici efficaci contro l’inerzia statale ? Discussi e incerti sono i rimedi sia contro l’inerzia del governo nella fase dell’intesa, sia del Parlamento nell’approvazione della legge, com’è avvenuto per le intese con la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e con l’Unione buddista italiana, già siglate nel 2000. Il che non è privo di conseguenze. Può crearsi infatti una disparità di trattamento tra confessioni provviste di intesa alle quali sono accordate benefici negoziati, confessioni che ne sono prive, regolate ancora dalla legge del 1929 se riconosciute, e confessioni prive anche di riconoscimento. L’approvazione di una nuova legislazione “generale” sulla libertà religiosa in sostituzione della disciplina del 1929-30 sui “culti ammessi” finora non è riuscita: manca una disciplina legislativa comune che consenta, come auspicato dalla Corte Costituzionale, di limitare i contenuti delle intese ad esigenze veramente speciali delle singole confessioni.

Va menzionata qui, pur facendo un salto numerico, una delle disposizioni da cui la Corte ricava il principio supremo di laicità dello Stato, l’art. 20 della Costituzione, che non è soltanto la specificazione del principio di eguaglianza riferito agli enti religiosi. Infatti, parlando di “associazioni od istituzioni” consente aperture per il rafforzamento della tutela di gruppi nuovi, con fisionomia e struttura diversa da quella delle confessioni tradizionali, i quali, avendo un “fine di religione”, grazie a questa norma non dovrebbero subire discriminazioni. Per l’art. 20 infatti: “Il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto d’una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.
Completa il quadro l’art. 19 che tutela la libertà religiosa dei singoli individui, radice storica della stessa libertà di pensiero: se ne parlerà trattando dei diritti.

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