PAOLO RIBICHINI, giornalista
Ad ogni tragedia segue la solita polemica. I giornalisti “sciacalli”, i giornalisti “incapaci”.
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Quando una vignetta sa far di più
che far solo ridere.
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Il tempo riparte dalle mani
di una bambina salvata
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Ad ogni terremoto, ad ogni alluvione, ad ogni dramma che colpisce quest’Italia traballante chi fa informazione finisce con tutti e due i piedi nell’occhio del ciclone.
Il Corriere della Sera, nella notte del terremoto, ha dato la notizia con notevole ritardo, indicando prima un terremoto in Molise (che non c’è mai stato) e poi segnalando come epicentro la città di Matriciana. La giornalista di RaiNews per una buona ora ha continuato a ripetere che il terremoto ha colpito duramente anche la città di Sperlonga (località marina sulla costa laziale), quando in realtà si trattava del borgo di Spelonga (in provincia di Ascoli Piceno).
Sbagliare è umano, ma fino ad un certo punto. Errori grossolani – certo – che hanno sollevato un vespaio di polemiche dopo qualche comprensibile allarmismo. Polemiche fuori luogo a poche ore dal dramma che comunque fanno un po’ riflettere sullo stato dell’informazione in Italia.
Stare di notte in redazione da soli o al massimo con un altro collega e ritrovarsi a gestire un mare di informazioni che piovono da agenzie ed enti, mentre il telefono squilla all’impazzata non è semplice.
Non è per tutti.
LUCIANO FONTANA, direttore del Corriere della Sera
I racconti, le storie e le immagini che arrivano dai borghi colpiti dal terremoto ci fanno sperare. C’è un’Italia piena di paura e di dolore che reagisce con orgoglio, forza e compostezza, che non si risparmia tra le macerie, che aiuta gli altri e si sente orgogliosamente parte di una comunità con la sua storia e i suoi valori. È un patrimonio immenso, che emerge in ogni situazione difficile. Non possiamo tradirlo. Dobbiamo darci tutti, subito, una missione per il Paese: mettere in sicurezza il nostro territorio. Case, ospedali, scuole, aziende, monumenti storici e chiese in quella lunghissima terra sismica che va, lungo la linea dell’Appennino, dal Nord al Sud dell’Italia. È una missione per il governo, prima di tutto,ma riguarda anche imprenditori, sindacati, associazioni e ognuno di noi individualmente. Abbiamo pagato nella nostra storia un prezzo enorme, in termini di vite umane e di danni economici, alla fragilità del territorio e all’incapacità come sistema di contenere gli effetti delle catastrofi naturali.
Ieri Lorenzo Salvia ha raccontato che sette terremoti, dal Belice all’Emilia, sono costati 121 miliardi per la ricostruzione. E fuori da questi calcoli restano le attività che si sono interrotte, le certezze svanite di progettare con serenità il proprio lavoro, lo spopolamento di centri storici bellissimi.
Fino a quel velo impalpabile di dolore e di precarietà che avvolge per sempre le famiglie che sono sopravvissute alle tragedie. Un piano straordinario per rendere finalmente sicuri tutti gli edifici pubblici e utilizzare le tecniche più moderne per far resistere alle scosse le case antiche richiede lo stesso desiderio di riscatto, di fiducia nel futuro che abbiamo avuto nell’Italia del dopoguerra.
GIUSEPPE SAIEVA, procuratore capo di Rieti,
“No, quanto accaduto non può essere considerato solo frutto della fatalità. L’esperienza e la logica ci dicono che, ad Amatrice, le faglie hanno fatto tragicamente il loro lavoro. E questo si chiama destino. Ma se gli edifici fossero stati costruiti come in Giappone, non sarebbero crollati”.
“Per portare la mia solidarietà, all’ingresso del paese ho visto una villa schiacciata sotto un’enorme tettoia di cemento armato”. “Poco lontano c’era anche un palazzo di tre piani che aveva tutti i tramezzi crollati. Devo pensare che sia stato costruito al risparmio, utilizzando più sabbia che cemento. Cose che accerteremo a tempo debito. Se emergeranno responsabilità e omissioni, saranno perseguite. E chi ha sbagliato, pagherà”.