Ieri mons. Sotir Ferrara ha tenuto nel corso della celebrazione della liturgia solenne dell’8 settembre, dedicata alla Natività di Maria, una omelia che non era altro che la prosecuzione di quanto ebbe a dire nella medesima Chiesa della Favara il primo agosto, quando venne ad aprire per la Paraklisis 2010 i portoni di quella Chiesa che un suo sacerdote aveva tenuto chiusi per tutto il periodo della Paraklisis 2009.
Il discorso dell’1 agosto e l’omelia di ieri, per noi che ci riteniamo indegni cristiani, era quanto di meglio la nostra coscienza potesse ricevere in termini di consolazione e di balsamo per le difficoltà che incontriamo ogni giorno. Egli parlava di tutte le persone del mondo, e riteniamo noi, di quelle magari a lui più vicine che vivono sul territorio della sua Eparchia, che soffrono, che vengono sottoposti ad oltraggio, violentate nella dignità di uomini per le più varie vicissitudini. Egli suggeriva che ognuno si carichi la propria croce e in silenzio, in umiltà, vada avanti verso la meta, verso l’incontro che ci attende.
Abbiamo definito, questo di ieri e quello del 1° agosto, discorsi spirituali a cui il Cristiano non può che aderire.
Sia il primo agosto che ieri però i fedeli riuniti nella Chiesa della Favara volevano conoscere dal loro Vescovo certamente il percorso della vita del cristiano, ma anche come Egli intenda porre rimedio, sostegno, alla vita travagliata che da almeno tre anni attraversa la comunità contessiota dibattuta fra orgogli malposti, portoni dei miracoli che si aprono da soli, portoni che si chiudono alla preghiera e molto altro. Essere Vescovo significa sicuramente pascolare il gregge con i discorsi spirituali (da noi apprezzatissimi), ma significa pure affrontare alcuni problemi organizzativi, non nel chiuso dello studio dell’episcopio ma sottoponendoli alla comprensione dei fedeli. I fedeli, soprattutto quelli di rito bizantino, non sono abituati ai diktat della Curia romana, quella che, sia pure in altri contesti, promuoveva le crociate, bruciava le streghe e bruciava i libri. I fedeli non sono burattini da portare nelle manifestazioni di platealità oceaniche papali. I fedeli sono la Chiesa: nel rito bizantino il sacerdote se non ha almeno qualche fedele all’interno dell’edificio di culto non può celebrare messa.
Mons. Sotir, noi la ammiriamo e la capiamo: nel descrivere il cristiano sofferente che si carica la propria croce Lei ieri era sincero come mai, perché ciò che usciva dalla sua bocca non era altro che la descrizione della sua vicenda personale. Tutto ciò però ad un Vescovo, ad un Vescovo di rito bizantino, non basta per farsi ben volere dai fedeli. Il suo discorso, la sua spiritualità, se non accompagnata dalla descrizione e dal modo di affrontare la vita di ogni giorno rischia di diventare “fatalismo”, rischia di divenire un alibi per non far nulla. Gesù di Nazareth per trent’anni fece il falegname e ogni giorno organizzava i suoi impegni e la sua attività, non aspettava che fosse il falegname di Cafarno a organizzargli i suoi oneri quotidiani della vita. Quel falegname quando decise di dedicarsi ai compiti che il Padre gli affidò fu sempre mite, docile e umile, ma non indietreggiò nel cacciare via dal Tempio chi meritava di essere cacciato via. No, Egli fu deciso e determinato; e non per questo perse sul piano spirituale il contatto, il legame spirituale col Padre.
Mons. Sotir, noi le vogliamo bene e solo attraverso cento filtri conosciamo i suoi veri travagli e le sue pesanti difficoltà, tuttavia Lei è VESCOVO, ed è suo dovere fare il VESCOVO. Lei ai Contessioti, tutti, siano essi greci o latini, non li può trattare da ebeti, da persone che non possono capire ciò che l’eventuale diplomazia vaticana vuole o non vuole da noi. Lei è Vescovo dei fedeli, prima ancora che Vescovo nominato dal Vaticano. Lei ha l’obbligo di spiegare e di agire nell’interesse dei fedeli (greci, latini e misti) dell’eparchia.
Con tutto il rispetto vero, sincero, che Le portiamo non venga ulteriormente a Contessa Entellina a trattare per persone non all’altezza di capire tutti i fedeli. Se capitasse per la terza volta ci offenderemo.
E’ preferibile che quando Mons. Tamburrino Le chiederà di tornare per mettere “pezze” alle decisioni che lui ha assunto gli risponda: tu hai deciso e tu vai a spiegare. Egli sebbene mandato dal Vaticano è Vescovo quanto Lei, non tema di dirgli in faccia le cose “sbagliate” che dovesse compiere, come non tema di dirgli le cose eventualmente “buone” che dovesse compiere (piuttosto improbabili, stante la missione di dover fare l’Eparca bizantino da Vescovo latino quale è). E se Lui le impone di distruggere ciò che ancora regge del rito bizantino abbi qualche attimo di orgoglio e gli dica: NO a tutto tondo. Tamburrino è uomo di apparato, è burocrate, è uomo di potere, Lei è vero uomo spirituale e però la spiritualità non la confonda col fatalismo.
IlContessioto
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