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martedì 19 agosto 2014

Hanno detto ... ...

VITTORIO ZUCCONI, giornalista de La Repubblica
Quando ero giovane mi dicevano: ma che cosa pretendi, alla tua età. Ora che sono vecchio mi dicono: ma che cosa pretendi, alla tua età.

MARIO LAVIA, giornalista de L'Europa (giornale renziano)
Ma qualcosa è cambiato. Se il ministro dell’economia Padoan dice apertis verbis che la riforme daranno i loro frutti fra due anni, si comprende anzi che è cambiato molto. Cambiano i toni, se non il messaggio.
Renzi, arrivato a palazzo Chigi, diede la sensazione, persino oltre la sua volontà, di essere in possesso di un tocco magico capace di risolvere la situazione. Lui la seppe vellicare eccome, la corda dell’ottimismo: e questa è stata in un certo senso una novità per un leader di una sinistra che nel suo dna ha come parole chiave crisi, crollo, scontro, lotta, impoverimento.

Con il Renzi della primavera 2014 per un attimo era tornata l’Italia del dinamismo. Ora – forse – il Renzi dell’autunno parlerà un linguaggio magari meno immaginifico e creativo, ma più fermo e concreto.
PIERO OSTELLINO, editorialista del Corriere della Sera
La previdenza è una sorta di contratto che il lavoratore stipula con lo Stato, in base al quale, dietro il pagamento di contributi durante gli anni lavorativi, il cittadino riceverà una pensione. L’assistenza è l’aiuto che lo Stato (sociale) fornisce ai meno abbienti attraverso la fiscalità generale. Il nostro Stato - che fa volentieri confusione fra assistenza e previdenza - supplisce alle proprie carenze sociali e finanziarie con la redistribuzione della ricchezza. Questa - che meglio sarebbe definire distruzione di ricchezza - si traduce in una doppia tassazione per chi ha già ha pagato le tasse sui propri guadagni e finisce così col (ri)pagarle, in modo surrettizio, con la sottrazione da parte dello Stato di una parte ulteriore di quegli stessi guadagni. Se, dunque, lo Stato tradisce, o mostra di voler tradire, il contratto previdenziale, non c’è più certezza del diritto, il cittadino non è in grado di programmare la propria vita, smette di spendere, gli investimenti si fermano, lo sviluppo si arresta. Così come ha prodotto la fine del socialismo reale, la forzosa redistribuzione della ricchezza minaccia, da noi, di uccidere l’economia libera.

FERRUCCIO SANSA, giornalista
C’era un tempo che per ogni barcone, ogni bomba, ogni guerra riuscivi a vedere gli uomini. Uno per uno. Eri capace di immaginare il loro sgomento, il terrore. La disperazione. Come fossero le persone che amavi. Te stesso. Oggi non più. Le stragi dell’Isis, il massacro dei bambini di Gaza, ledonne straziate da Boko Haram: non riesci più a leggere, riponi il giornale. Perché? No, non è (solo) dolore. È senso di colpa, perché senza che te ne accorgessi hai abbandonato i sogni di batterti per cambiare il mondo. È rassegnazione perché ti accorgi che il tuo tempo sta passando e né tu, né la tua generazione siete riusciti a fermare le guerra. È rimorso perché ti accorgi che ti sei abituato alla (tua) pace e non ti accorgi di quanta guerra ci sia ancora. Di che cosa potremmo fare per evitarla o addirittura per non contribuire ad alimentarla.

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