Domani, 27 gennaio, in tutta Italia si svolgono incontri, e
manifestazioni in ricordo delle vittime del
Nazifascismo e delle persone che hanno lottato, anche a costo
della vita, contro le barbarie dello sterminio.
A volere questa ricorrenza è stata la legge 20 luglio 2000,
istitutiva della “giornata della memoria”:
“La Repubblica
italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di
Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah
(sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei
cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia,
la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono
opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato
altre vite e protetto i perseguitati.”
A subire la
deportazione, la prigionia e la morte in Germania nel corso della seconda
guerra mondiale non sono stati solamente gli ebrei, che hanno pagato comunque il
prezzo più alto alla furia nazista, ma anche centinaia di migliaia di soldati
italiani fatti prigionieri nei giorni successivi all’8 settembre 1943,
trasportati in carri bestiame in territorio tedesco e trasformati -nei campi di
concentramento- in schiavi costretti a lavorare nelle industrie e nei posti di
lavoro per far funzionare la macchina da guerra del terzo Raich.
A Contessa sono ancora in vita alcuni delle decine e decine di
concittadini che sono stati deportati nei campi di concentramento tedeschi in
quanto militari dell’esercito italiano e che hanno opposto rifiutato alla
proposta di arruolamento nell’esercito
di Salò. Nitida è ancora oggi la loro memoria sulle spaventose condizioni
sopportate.
La Storia degli
Internati Militari Italiani è una vicenda largamente affossata nel corso degli
anni del dopo-guerra. E’ una storia dolorosa , piena di ferite fisiche e morali,
che è stata subita da 600.000 italiani.
Chi scrive queste
righe rievocative, fin da bambino, sulle ginocchia del padre ha potuto conoscere
la storia personale di uno di questi internati, il proprio padre, appunto.
Quella storia rischia di finire in oblio all’interno di tutta la vicenda più
articolata della seconda guerra mondiale.
E’ opportuno
ricordare che esistono pesanti e precise responsabilità storiche e morali a fondamento
della condizione in cui si trovarono i soldati
italiani dopo la dichiarazione di armistizio del settembre 1943. Senza voler
togliere nulla alle responsabilità della Germania Nazista, che trattò i soldati
italiani alla stregua di moderni schiavi, dobbiamo tenere sempre presente che
in quell’8 settembre il Re savoiardo ed il maresciallo Badoglio –dopo aver
lanciato messaggi equivoci ai comandi militari italiani- fuggirono al sicuro e
abbandonarono al proprio destino 800.000 soldati italiani, che non ebbero
nemmeno il tempo per organizzare una difesa ed in numero di 600.000 caddero nelle
successive ventiquattro ore prigionieri delle truppe tedesche. L’esercito
italiano si dissolse come neve al sole.
Hitler decise che
i soldati italiani finissero nei lager tedeschi con la qualifica di “traditori”
e destinati a subire la violenza, il lavoro duro e la privazione. Non furono
nemmeno contemplati come prigionieri di guerra e pertanto esclusi da ogni
tutela della Convenzione sui diritti dell’uomo.
50.000 soldati
internati persero la vita nei lager tedeschi per gli stenti e la fame e fra
essi alcuni contessioti.
Domani
rievocheremo i 6 milioni di ebrei che non sono mai tornati dai campi di
sterminio nazista; oggi abbiamo ritenuto doveroso dedicare un pensiero ai 600
mila militari italiani internati per l’inettitudine della classe politica del
tempo, un re ed un primo ministro, che pur di mettersi al sicuro personalmente
ha lasciato senza disposizioni 800.000 uomini del fu Esercito Italiano.
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