Chi in quel gennaio c'era ed aveva l'età per rendersi conto di ciò che era accaduto oggi è una persona matura, anziana, pensionata. I sessantacinquenni/settantenni di oggi conservano tuttavia nitide quelle ore, quei giorni, quando la terra non cessava di tremare.
Le scosse non furono solamente quelle della notte fra domenica/lunedì del 14 gennaio 1968, durarono e segnarono poi il carattere della popolazione per più mesi, per più anni.
E quando sembrava che la tranquillità fosse finalmente tornata altre scosse continuarono a tenere desta la tensione nella Valle, in tutti i paesi del Belice.
In altre pagine del Blog, in altri anniversari, abbiamo rievocato e riferito sulle sensazioni, i fatti colti, non tutti memorizzati, e il clima sociale-umano di quei giorni. Probabilmente torneremo ancora a rievocare quei giorni -nello svolgimento possibilmente più ordinato- degli eventi, dei luoghi, dei danni, delle iniziative e della solidarietà fra paesani e soprattutto fra parenti.
Per adesso, per oggi, ci piace ricordare quelle figure, quegli uomini, che pur delle ore di paura, di grida e di implorazioni, si diedero da fare. Quegli uomini che non si richiusero nelle tende fornite dalla Protezione Civile in attesa che la natura si placasse e che altri provvedessero a vedere il da farsi.
Certamente la prima figura che viene alla mente è il signor Agostino Merendino, giovane marito e padre di due figli minori, che nella Via Croja, in prossimità della piazza principale del paese, abitava, lavorava e perse la vita. Era persona abbastanza conosciuta in paese perché gestiva con i familiari un negozio alimentare in quella strada. Chi scrive lo ha conosciuto abbastanza bene perchè Merendino quasi settimanalmente nei primi anni sessanta viaggiava con la corriera Contessa-Bisacquino usata dagli studenti che dovevano ogni mattina raggiungere la scuola media a Bisacquino. La Scuola Media diffusa ovunque, compresa Contessa, è sorta attorno al 1963-64 con il primo governo di Centro-Sinistra, infatti.
Merendino viaggiava frequentemente per risolvere affari e presumibilmente per ragioni connesse all'attività commerciale condotta dalla famiglia.
Durante il percorso su un vecchio Bus (Taunus) veniva circondato dai giovani studenti a cui raccontava storie, racconti e barzellette. Era persona socievole, buona ed allegra. E questa è l'immagine che di quell'evento sismico ci balza per prima alla memoria.
La seconda figura che viene alla memoria è quella di Francesco Di Martino, il sindaco di quel periodo. Un ancora ventenne che segnò la svolta nell'immaginario locale su come si svolge il ruolo di amministratore locale. Sarà lui a coordinare tutti gli interventi emergenziali e poi, essendo stato riconfermato sindaco fino ai primi degli anni ottanta del Novecento, a buttare le basi (la pianificazione) della Ricostruzione.
Fu protagonista -fra altri altrettanti rilevanti personaggi e amministratori locali della Valle- nel confronto con i politici regionali e nazionali. Più nazionali che regionali in quanto il governo di Palazzo d'Orleans fece di tutto per tirarsi indietro nel processo della ricostruzione devolvendo in tal modo ogni compito a Roma. La Regione ritagliò per se solamente la programmazione urbanistica.
Del Di Martino che nella notte del terremoto si adoperò, quasi da solo o comunque con pochissimi compagni di partito, a far uscire da casa anziani ed invalidi che da sé non erano in condizione di provare a mettersi in salvo, abbiamo scritto in altre rievocazioni sul blog negli anni passati.
Qui vogliamo ricordare come egli successivamente, già figura politica di rilievo regionale, attribuiva all'essere stato sindaco nel periodo del terremoto la competenza acquisita (e riconosciuta da amici ed avversari politici) in materia amministrativa e di interpretazione legislativa della vasta e complessa normativa territoriale ed urbanistica.
Dagli eventi successivi al sisma e per tutta la fase della preparazione del processo programmatorio e realizzativo della Ricostruzione egli costituì uno dei significativi punti di riferimento per le popolazioni e gli amministratori del Belice, anche quando nel tempo non fu più sindaco.
Altre due figure che nei giorni successivi al terremoto di quel gennaio furono molto attivi e che svolsero opera di notevole conforto e assistenza alla popolazione furono certamente il dott. Giuseppe Amico (medico condotto e ufficiale sanitario) e il maresciallo dei Carabinieri Aloi, persona di origine calabrese e che aveva ottimi e non formali rapporti con la popolazione locale grazie alla circostanza che si esprimeva e parlava l'arbrëshë.
Queste due figure si adoperarono nell'esercizio delle funzioni ben oltre i ruoli professionali ed istituzionali che su di essi incombevano.
Furono tante altre poi le persone che in quei giorni di paura, fatica e difficoltà dedicarono tempo e impegno per alleviare le disagiate condizioni di vita nelle tendopoli che erano sorte tutt'attorno ma esterni al centro abitato. Come non ricordare Papàs Gaspare Schirò, concittadino e sostanzialmente unico sacerdote locale dopo che era da poco venuto a mancare in Papás Janni Di Maggio.
In quei frangenti di somma difficoltà ad alleviare la pesantezza degli impegni non mancò l'iniziativa del già sindaco Antonino Musacchia ed ancora quello del veterinario locale, il dottor Giovanni Genovese, figura che bene conosceva -in virtù della sua professione- le famiglie contadine che caratterizzavano in assoluto la realtà sociale della Contessa Entellina di allora.
Ovviamente il sentimento di solidarietà nel periodo della tendopoli fu molto più esteso e più articolato di come un ragazzo -non ancora diciottenne- lo ha potuto cogliere e memorizzare fino ai giorni correnti.
Contiamo tuttavia di dover meglio, e più sistematicamente, ricostruire la convivenza locale di quegli anni che assistettero al tramonto di un modello di vita tipicamente rurale in direzione di un modello di cui ad oggi, a cinquantuno anni di distanza, fatichiamo ad individuare ancora le coordinate.
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