In un post de “il contessioto” del 19-08-2009 è stato correttamente riferito che nell’odierno palazzo municipale di Contessa Entellina era ospitata la residenza dei signori feudali dello ‘stato di Kuntissa’. Residenza che verosimilmente non ha mai ospitato i feudatari del territorio i quali disponevano di magnifici palazzi nelle sedi di ‘contea’ e, a cominciare dalla seconda metà del seicento, di sontuose residenze a Palermo.
Da chi era occupato allora il modesto edificio di via Scanderbergh, il cui impianto è stato manomesso con una sopraelevazione e con una riarticolazione funzionale solamente negli anni cinquanta dello scorso secolo ?
Durante il regime baronale, cessato nel 1812, in quell’edificio c’era la sede della corte secreziale, della corte giuratoria e della corte capitaniale, cioè rispettivamente delle amministrazioni feudale, comunale e giudiziale, tutte ovviamente controllate dai nobili Cardona e poi dai principi Colonna. All’interno si trovava inoltre, secondo le abituali indicazioni del periodo, in “una stanza ben cautelata”, la Cancelleria “delle cose appartenenti sì a privileggij dell’Università, come a materie patrimoniali reali, per direzione del governo”, ossia per quanto riguarda la terra di Kuntissa i ‘capitoli’ concessi dai Cardona ai rappresentanti degli Arbreshe nel 1520. Questi ‘Capitoli’ furono conservati per secoli in quell’edificio e sparirono dalla cassaforte, vedi caso, proprio quando essi dovevano servire in un giudizio contro gli ex-feudatari del territorio, nella seconda metà dell’Ottocento, quando sindaco post-unitario era un ricco borghese divenuto latifondista contro cui, appunto, quei ‘Capitoli’ dovevano essere usati quale prova a tutela degli interessi usurpati alla cittadinanza. Ma su questo ‘giallo’ avremo tempo per tornare a ragionare.
Nel periodo di vigenza del Regno di Sicilia e fino al 1812 la funzione prioritaria che caratterizzava il regime dei feudatari era l’amministrazione della Giustizia, ma era pure nelle loro mani la funzione fiscale e quella amministrativa. Sostanzialmente in quel periodo a Contessa, come in tutte le realtà rurali dell’interno dell’isola, nella totale assenza di una decente viabilità ed in cui i collegamenti erano possibili solamente attraverso le trazzere non carrozzabili, l’unica autorità che la gente conosceva e riconosceva era quella del feudatario, e qui da noi era quella dei Cardona nei primi decenni di fondazione del paese e dei Colonna dopo. Si sapeva, la gente sapeva, che in qualche parte della terra emersa viveva un Re, e/o un vicere di Sicilia, ma i residenti ne parlavano come dei re delle favole, ossia di persone mitiche. La vita e la morte di ciascuno era legata alla ‘giustizia’ del feudatario, pure lui assenteista nelle sue terre, che la esercitava attraverso figure da lui scelte e provenienti, alcune dalla contea e altre di assoluta fiducia e fedeltà individuate all’interno dello “Stato di Kuntissa”.
L’organizzazione di governo locale, plasmata dal feudatario, tendeva a conformarsi sul modello di quella del regno ma il tutto, lo sottolineo, era comunque legato alla buona o cattiva ragionevolezza del Signore, l’unica autorità terrena nell’immaginario collettivo, almeno fino al 1785 quando il vicerè illuminista Caracciolo tentò, in tutti i modi, di far tornare allo Stato (cioè al Regno di Sicilia) i poteri che i feudatari esercitavano sugli “Stati” loro sottoposti, con priorità su quello dell’amministrazione della giustizia.
Mi piace concludere, nello spirito di educazione civica che vuole caratterizzare questo sito, evidenziando che ad oltre 500 anni dalla fondazione di Contessa Entellina manca una storia vera ed organica del paese. Esistono storie sulle vicende delle parrocchie, storie sui flussi di albanesi arrivati in Sicilia nel XV e XVI secolo, cronologie di avvenimenti, ma nulla è stato mai tentato sulla storia civile della comunità. Di certo non è un compito agevole perché servono ricerche approfondite e per nulla agevoli. Ma se i fondi della legge 482/1999 venissero indirizzati in questa direzione affidandone l’incarico a storici di professione, di vasta competenza come lo sono quelli dell’Università palermitana, si farebbe opera meritoria.
Mimmo Clesi
Da chi era occupato allora il modesto edificio di via Scanderbergh, il cui impianto è stato manomesso con una sopraelevazione e con una riarticolazione funzionale solamente negli anni cinquanta dello scorso secolo ?
Durante il regime baronale, cessato nel 1812, in quell’edificio c’era la sede della corte secreziale, della corte giuratoria e della corte capitaniale, cioè rispettivamente delle amministrazioni feudale, comunale e giudiziale, tutte ovviamente controllate dai nobili Cardona e poi dai principi Colonna. All’interno si trovava inoltre, secondo le abituali indicazioni del periodo, in “una stanza ben cautelata”, la Cancelleria “delle cose appartenenti sì a privileggij dell’Università, come a materie patrimoniali reali, per direzione del governo”, ossia per quanto riguarda la terra di Kuntissa i ‘capitoli’ concessi dai Cardona ai rappresentanti degli Arbreshe nel 1520. Questi ‘Capitoli’ furono conservati per secoli in quell’edificio e sparirono dalla cassaforte, vedi caso, proprio quando essi dovevano servire in un giudizio contro gli ex-feudatari del territorio, nella seconda metà dell’Ottocento, quando sindaco post-unitario era un ricco borghese divenuto latifondista contro cui, appunto, quei ‘Capitoli’ dovevano essere usati quale prova a tutela degli interessi usurpati alla cittadinanza. Ma su questo ‘giallo’ avremo tempo per tornare a ragionare.
Nel periodo di vigenza del Regno di Sicilia e fino al 1812 la funzione prioritaria che caratterizzava il regime dei feudatari era l’amministrazione della Giustizia, ma era pure nelle loro mani la funzione fiscale e quella amministrativa. Sostanzialmente in quel periodo a Contessa, come in tutte le realtà rurali dell’interno dell’isola, nella totale assenza di una decente viabilità ed in cui i collegamenti erano possibili solamente attraverso le trazzere non carrozzabili, l’unica autorità che la gente conosceva e riconosceva era quella del feudatario, e qui da noi era quella dei Cardona nei primi decenni di fondazione del paese e dei Colonna dopo. Si sapeva, la gente sapeva, che in qualche parte della terra emersa viveva un Re, e/o un vicere di Sicilia, ma i residenti ne parlavano come dei re delle favole, ossia di persone mitiche. La vita e la morte di ciascuno era legata alla ‘giustizia’ del feudatario, pure lui assenteista nelle sue terre, che la esercitava attraverso figure da lui scelte e provenienti, alcune dalla contea e altre di assoluta fiducia e fedeltà individuate all’interno dello “Stato di Kuntissa”.
L’organizzazione di governo locale, plasmata dal feudatario, tendeva a conformarsi sul modello di quella del regno ma il tutto, lo sottolineo, era comunque legato alla buona o cattiva ragionevolezza del Signore, l’unica autorità terrena nell’immaginario collettivo, almeno fino al 1785 quando il vicerè illuminista Caracciolo tentò, in tutti i modi, di far tornare allo Stato (cioè al Regno di Sicilia) i poteri che i feudatari esercitavano sugli “Stati” loro sottoposti, con priorità su quello dell’amministrazione della giustizia.
Mi piace concludere, nello spirito di educazione civica che vuole caratterizzare questo sito, evidenziando che ad oltre 500 anni dalla fondazione di Contessa Entellina manca una storia vera ed organica del paese. Esistono storie sulle vicende delle parrocchie, storie sui flussi di albanesi arrivati in Sicilia nel XV e XVI secolo, cronologie di avvenimenti, ma nulla è stato mai tentato sulla storia civile della comunità. Di certo non è un compito agevole perché servono ricerche approfondite e per nulla agevoli. Ma se i fondi della legge 482/1999 venissero indirizzati in questa direzione affidandone l’incarico a storici di professione, di vasta competenza come lo sono quelli dell’Università palermitana, si farebbe opera meritoria.
Mimmo Clesi
Nessun commento:
Posta un commento