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venerdì 18 ottobre 2024

Si parla tanto del Sistema Sanitario Nazionale

Leggendo i giornali di questi ultimi giorni cogliamo fra i tanti scontri fra maggioranza e opposizioni la problematica sulla sanità .
Giorgia Meloni,  nell’intento di difendere la manovra di bilancio dice:  «Sento molte falsità in queste ore sulla sanità». Il Pd, con Elly Schlein accusa il governo di aver ridotto al minimo i fondi per la sanità rispetto al Pil, e Giuseppe Conte del M5S l’accusa là premier di «raccontare frottole». Da parte loro i medici ospedalieri minacciano azioni clamorose frastornati dalla girandola di cifre sui nuovi finanziamenti destinati alla sanità.

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 I media, la gente che incontriamo, gli amici che frequentemente necessitano di cura costituiscono fonte della soddisfazione o dell’insoddisfazione circa ciò che il sistema sanitario italiano riesce o non riesce più a garantire rispetto ai primi anni di varo del SSN. Ci proponiamo di trattare sul blog per qualche tempo, con un’ottica sociale e nello stesso tempo economica e se si vuole pure politica,  la funzione istituzionale di questo fondamentale Servizio sociale.

 Quale l’ottica?

 E’ evidente che volere affrontare un segmento così rilevante del “sistema Italia” significa dare per scontato che il Sistema sanitario e’, dovrebbe essere, in continua evoluzione. Cambia la società italiana e muta inevitabilmente pure la stessa domanda di salute degli italiani.

 Sulle pagine del blog non affronteremo sicuramente tematiche mediche, che ci sono estranee, bensì aspettative di diritti del cittadino, di accesso rapido ai servizi (=medico di base, pediatria, gestione delle emergenze, diritto alla sicurezza e informazione adeguata). 

 La logica istitutiva del Servizio Sanitario miro’ in quegli anni settanta del Novecento soprattutto alla prevenzione e all’assistenza ai malati mediante:

 ==campagne informative per modificare stili di vita non corretti,

==diffusione delle vaccinazioni e degli esami per la diagnosi precoce

==assistenza ospedaliera,

==assistenza residenziale e semiresidenziale

==assistenza domiciliare.

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  Questa breve presentazione del percorso informativo/culturale che intendiamo sviluppare e’  nient’altro che una indicativa panoramica, fermo restando, lo ripetiamo, che l’ottica propria del blog sarà, come sempre, quella socio-economica. Nei lontani anni di Università, a chi scrive questa pagina, la "sanità " gli venne presentata e fatta studiare come "azienda di servizi". Secondo questa ottica di “Azienda con caratteristiche speciali” pensiamo di volerci intrattenere per qualche tempo sul delicato e fondamentale servizio.

giovedì 17 ottobre 2024

Attività istituzionali

   Nella mattinata di domani il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella   unitamente al Presidente della Repubblica di Albania, Bairam Begaj, sara' in visita a Piana degli Albanesi.

  "Una giornata memorabile e un’occasione istituzionale di livello internazionale e di raro rilievo ci attendono con la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del presidente della Repubblica d’Albania Bajram Begaj”, ha detto il Sindaco di Piana degli Albanesi Petta. 

    La visita di domani, 18 ottobre, nella cittadina arbëreshe avviene in occasione dell’Incontro sulla storia e la cultura arbëreshe in Sicilia. Saranno presenti le autorità locali, civili, militari ed i sindaci dei Comuni arbëreshë di Sicilia e d’Italia.

 

Dai Cardona-Peralta, ai Gioeni per arrivare ai Colonna

Iniziamo quanto ci siamo proposto con un approccio di carattere generale, di assetto storico-istituzionale del regime baronale nell’Isola, prescindendo per intanto dai casati baronali su cui contiamo di doverci soffermare.

Merum et Mixtum Imperium

 Proposito del curatore del Blog e’ di voler sviluppare su più pagine, come anticipato più volte, in termini socio-economici e giuridici il regime  “feudale” del periodo storico che va dall’insediamento dei coloni albanesi sui territori che oggi ricadono nella giurisdizione territoriale di Contessa Entellina, quindi dal XV secolo, fino al 1812, anno in cui quell’assetto -istituzionale- viene abolito nell’Isola dalla monarchia dei Borboni per il portato culturale e di crescita civile discendenti dalla Rivoluzione francese (1789-1799).

  Quell’ordinamento, sulla base delle secolari costituzioni varate dal primo Regno Normanno e in seguito ri-disciplinate dall'Imperatore Federico II  (1194-1250), fino al 1812 aveva consentito ai Baroni siciliani (e discendenti) il possesso di vasti  feudi su cui esercitare la più vasta giurisdizione, per la sola condizione e merito di avere prestato servizio militare a fianco del re normanno.

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 Il Merum et Mixtum Imperium

Il potere più rilevante di cui godevano le “signorie” feudali nell’Isola nel lungo Medio Evo e poi dall’alba della modernità fino al 1812 e’ sicuramente stato il diritto di amministrare la giustizia sulle popolazioni che insistevano all’interno della loro baronia. Potere che derivava loro dalla concessione  del mero e misto imperio. Il “misto imperio” corrispondeva alla bassa giustizia, ossia al “diritto di comminare lievi pene corporali infra relegazione (=isolamento forzato) e pena pecuniaria fino ad onze quattro”, poi aumentata a sette; mentre il “mero imperio” consisteva “nell’habere gladio potestatem ad puniendum facinoros morte, esilio et relegazione”.

Si trattava quindi della giurisdizione che i Baroni possedevano per esercitare sia la giurisdizione civile che penale. Era ovvio pertanto che il Barone e i personaggi da lui delegati sui territori di sua pertinenza disponevano di un forte controllo sulla popolazione.

Quel potere pubblico (Imperium), sul territorio disponeva di una serie di canali di intervento che potevano inevitabilmente interferire nella vita di chiunque. Esso accertava gli illeciti, esso applicava le sanzioni, esso poteva pervenire alla composizione dei conflitti. Il tratto distintivo di quel tipo di giustizia era la sua vocazione pluralistica, poteva purtroppo pervenire a qualsiasi, anche premeditato, giudizio.

La lunga durata del conflitto Israele/Palestinese

 Riflessione

  Sfogliando i giornali si colgono nella lunga durata del conflitto ultra decennale  Israelo/Palestinese due poli di alimentazione della rischiosa situazione venutasi a creare dal 1948 ad oggi. 

  In più tappe della “vicenda” a prevalere e’ stata la dimensione locale-regionale con ragioni derivanti da antagonismo e problematiche di convivenza tra comunità etniche, politiche e religiose diverse,  entro cui lo scontro ha  coinvolto esclusivamente  gli Stati dell’area medio-orientale, restando le grandi potenze in una posizione definibile all’ombra della scena, mentre in altre fasi storiche la dimensione ed il coinvolgimento vede le grandi potenze operare, più o meno all’ombra, in vista di equilibri non consolidati al livello della scacchiera mondiale.

  L’attuale situazione Israele/Palestinese vede, purtroppo, troppi attori in scena e magari con più di qualcuno che sta dietro al sipario e che, però, guida maldestramente la vicenda.

 Questo quadro è molto rischioso perché la Storia del Novecento insegna che da vicende valutate inizialmente come locali si sono sviluppate due guerre mondiali. E nessuno si scordi che in quell’area sia Israele che l’Iran sono dotati di armamenti atomici.

mercoledì 16 ottobre 2024

All’alba della modernità

Crollo dell’Impero Romano d’Oriente (2) 

 Alla conclusione del Concilio di Firenze, su cui ci siamo soffermati nella precedente pagina, sembrò che le forze disponibili a difendere la città simbolo contro i turchi, Costantinopoli, potessero essere sufficienti. In campo c’erano: 1) Il voivoda (=governatore di vasti territori) della Transilvania, Giovanni Hunyadi, 2) Ladislao III Jagellone, re di Polonia e di Ungheria e 3) Giorgio Brankovic, despota della Serbia. Costoro ebbero alcuni successi che andarono ad aggiungersi alla ribellione di 4) Giorgio Scanderberg e la sua Albania.

I turchi entrano a Costantinopoli
che diventerà Istambul

Dopo molti assedi, 
Costantinopoli cadde
il 29 maggio 
1453. Il despotato di Morea
cadde nel 
1460. L'impero di Trebisonda,
ultimo baluardo bizantino in Anatolia, 
cadde nel 1461, mentre nel 1475 cadde il 
Principato di Teodoro, in Crimea, ultimo
stato diretto erede dell'impero.


L'imperatore 
Costantino XI Paleologo,
conscio dell'imminente crollo,
combatté personalmente fino alla
fine e morì sulle mura di Costantinopoli.




 L’intesa anti turca indusse Murad II, impegnato anche sul fronte asiatico a chiedere una tregua decennale di cui beneficio’ sopratutto  Giorgio Brankovic, il serbo. Su istigazione del cardinale Giuliano Cesarini il re Ladislao ruppe la tregua spingendosi con una flotta nel Mar Nero dove pensava dovesse arrivare pure la flotta veneziana. Nel 1444 nella battaglia di Varna i turchi ebbero la meglio e lo stesso cardinale Ladislao perse la vita. La storiografia, compresa quella dei nostri giorni, attribuisce il disastro alla consueta ambiguità dei veneziani, che preferirono stringere accordi col Sultano.

 Il disastro di Varna fu determinante sull’esito finale dell’espansionismo turco. La sorte dell’Impero Romano d’Oriente, dell’Impero bizantino, era ormai segnata. A resistere contro i turchi restarono la capitale, Costantinopoli, e la  Morea. Nel 1449 alla morte di Manuele II successe al trono di Costantinopoli il fratello Costantino XI. Quando sembrarono chiare le intenzioni di  Maometto II di attaccare la città di Costantinopoli, Costantino punto’ sull’ultima risorsa che gli restava: annunciò l’unione della Chiesa bizantina a quella romana. Nell’aprile del 1453 il sultano cinse d’assedio Costantinopoli con un esercito composto da 160mila uomini rispetto ai pochi, appena 7000 uomini, rimasti a difendere la Città, alcuni dei quali erano genovesi guidati da Giovanni Giustiniani-Longo.

 Il 29 maggio, dopo una più che eroica resistenza contro il soverchiante esercito turco ed il continuo bombardamento dell’artiglieria nemica, Costantinopoli fu presa d’assalto e lo stesso Costantino XI cadde mentre in prima persona partecipa ai combattimenti.

 Quel maggio 1453 suscitò nel mondo cristiano, compreso nel mondo dei veneziani, molta costernazione. Addirittura gli stessi ambienti che avevano negato gli aiuti cominciarono ad immaginare una crociata. Restava ancora libera la Morea bizantina governata dai fratelli Demetrio e Tommaso Paleologo, l’uno intenzionato a resistere ai turchi e l’altro a negoziare. Nel 1460, il Sultano personalmente chiuse i conti con i Paleologi cingendo d’assedio la città di Adrianopoli.  

  Ormai per chiudere il tempo di quella che era stata l’ecumene bizantina restava il Gran Comneni di Trebisonda e Maometto II non esitò a cingere d’assedio la capitale e a chiudere il capitolo della penultima realtà statuale bizantina (era il 1461). Nel maggio 1475, il comandante ottomano Gedik Ahmet Pascià conquistò Caffa (oggi Feodosia) in Crimea e alla fine dell’anno, dopo cinque mesi di assedio, anche Mangup, la capitale del principato di Teodoro, cadde nelle mani ottomane. 

Parole ricorrenti sui media

 DPB

Il Documento programmatico di Bilancio riassume gli ultimi andamenti dell’economia e della finanza pubblica e traccia le grandi linee della prossima manovra di bilancio. 

Il Dpb è un documento “europeo” che va presentato alla Ue, ma non richiede approvazione ed esame parlamentare. 

Rappresenta un ciclo di monitoraggio e valutazione delle politiche di bilancio dei paesi dell'area euro.

Il documento, inoltre, contiene l'aggiornamento degli obiettivi programmatici, che tiene conto anche delle eventuali osservazioni formulate delle istituzioni UE competenti nelle materia relative al coordinamento delle finanze pubbliche degli Stati membri.

Curiosità di Sicilia

 

Centuripe, comune in provincia
di Enna, e’ posto su
di un'altura a 733 m. s. m.


 Centuripe è un paese (meglio definirlo un bel Borgo) di appena 5 mila abitanti che ha nella sua forma urbanistica la caratteristica più affascinante. C’è chi (visto dall’alto) vi vede una forma di uomo e chi invece una forma di stella.

  Una storia millenaria e la forma sorprendente caratterizzano questo centro siciliano che ha preso il nome di “balcone della Sicilia“.



martedì 15 ottobre 2024

I CUCCIA TRA ALBANIA GRECIA E ITALIA

Testi curati dall’avvocato 

Domenico Cuccia   

   Alcuni amici, qualcuno albanese, mi hanno chiesto notizie sul mio cognome e sulla zona dell’Albania o della Grecia da cui noi arbëreshë di nome Cuccia proveniamo. L’argomento mi ha sempre molto interessato ed è stato oggetto di diverse letture e consultazioni di testi e di documenti.

   Durante il mio viaggio in Albania del luglio 2017 ho cercato anche verifiche sul campo, attraverso la toponomastica, la visita ai Musei e ai luoghi oggetto delle battaglie dello Skanderbeg e dei suoi collaboratori.

   Devo dire che di particolare rilievo è stata la visita al Museo di Cruja.

  Alcune conclusioni sono oggetto di ipotesi, altre sono frutto di verifiche documentali e, quindi, hanno un maggiore margine di certezza. I periodi maggiormente presi in considerazione sono quelli che vanno dal 1450 al 1550, e cioè quelli degli ultimi anni di resistenza contro l’invasione ottomana e l’emigrazione di moltissimi albanesi verso la Sicilia e l’Italia meridionale.

   L’aspetto meglio documentato è quello derivante dalla consultazione di atti ufficiali quali i capitoli di fondazione delle comunità arbëreshe e i Riveli (cioè i censimenti) sulle popolazioni residenti nelle comunità, (l’analisi dei capitoli di fondazione è limitata alle comunità arbëreshe siciliane). Possono essere considerate anche abbastanza provate le tesi di quegli storici, albanesi e arbëreshë, che hanno studiato i singoli cognomi attraverso l’analisi dei documenti e dei luoghi di provenienza.

   Nel testo sono pure riportate, per completezza, le citazioni di carattere letterario di alcuni autori che spesso sconfinano nell’ideologia romantica (vedasi le opere letterarie di Giuseppe Schirò). Anche se queste citazioni letterarie non hanno il rigore della ricerca storica, bisogna riconoscere che l’ideologia romantica ha contribuito a creare quel “nazionalismo“ albanese che ha consentito agli arbëreshë di essere fieri delle loro origini e delle loro tradizioni e di salvaguardarle per diversi secoli. 

   I risultati di queste mie indagini, quasi sempre con citazione delle fonti consultate, sono inseriti nei due paragrafi seguenti. Il primo è denominato “I Cuccia nell’Albania di Skanderbeg”; il secondo “I Cuccia in Albania e in Italia”.

   È mia intenzione, successivamente, estendere l’indagine ad altri cognomi arbëreshë presenti nelle nostre comunità siculo albanesi, di cui faccio un breve accenno nelle note.

   Il presente articolo integra e in parte modifica quello pubblicato su questo blog il 31 maggio del 2020. 

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I Cuccia nell’Albania di Skanderbeg

Pal Kuka
statua esposta nel Museo di 
Cruja. Fu un ambasciatore
di Scanderberg

I Cuccia, nella forma albanese Kuka o Kuçi, sono molto presenti nei testi che parlano della biografia dello Skanderbeg, delle sue imprese militari e della sua azione politica. 

Nel “Tesoro di Notizie su de’ Macedoni” di Nicolò Chetta, pubblicato nel 2002 a cura del Comune di Contessa Entellina e dell’Università degli Studi di Palermo, nelle pagine 264, 268 e 273, si parla diffusamente delle imprese militari e diplomatiche di Paolo Cucchia, inviato come ambasciatore di Giorgio Castriota presso il Papa e il re Alfonso di Napoli. Di Giorgio Cucchia si parla nelle pagine 295, 300. Anche Giorgio Cucchia, cappellano dello Skanderbeg, compì per conto del principe albanese missioni diplomatiche presso il Pontefice di Roma. Sempre nello stesso volume del Chetta, a pag. 309, si parla di un Giorgio Cucchia, valoroso ufficiale dell’esercito albanese, catturato e scorticato vivo assieme ad altri sette eroi i cui nomi sono: Musacho Angelina, Gino Mysak, Giovanni Perlato, Nicolò Elisio, Giovanni Manessi, Vladenio Giuriz e Moise, questi ultimi due nipoti dello Skanderbeg.

Il cognome Cucchia è presente in molte altre pagine dell’opera del Chetta. Oltre che alle pagine 511 e 512 del volume, al paragrafo 253 “Catalogo delle siciliote famiglie albane”, in cui si parla delle famiglie albanesi presenti in Sicilia, i Cucchia vengono citati alle pagine 258, 335, 345, 375, 453, 444, 445, 446, 453, 454 e 470. 

Dell’episodio della cattura e della condanna a morte di Giorgio Cucchia e degli altri sette valorosi ufficiali dell’esercito albanese parlano anche le altre biografie dello Skanderbeg. Vedasi “Storia di Giorgio Castriotto sopprannominato Scanderbeg Principe dell’Albania” pagine 184 e 185. Il volume, pubblicato a Palermo nel 1847, dalla Tipografia di Domenico Oliveri, è stato ripubblicato in ristampa anastatica dal Comune di Contessa Entellina nel 1998. Sempre nello stesso volume, a pag. 242, viene riprodotto il diploma di Giovanni di Aragona, indirizzato al nipote Ferdinando, re di Napoli, con cui raccomanda i nobili albanesesi, consanguinei dello Skanderbeg: Petrus Emmanuel de Pravatà, Zaccarias Croppa, Petrus Cuccia e Paulus Manisis. L’ autore dice che il diploma si trova nella Memoria di Palazzo Adriano del prof. Crispi, stampata nel 1827.

Dei Cuccia e di altre illustri famiglie albanesi dei tempi dello Skanderbeg, si parla anche nel volume “I Castriota Principi d’Albania” – Origine della Famiglia Castriota - edita da Valletta Tipografia del “Malta” nel 1929, e precisamente nelle pagine 36, 37 e 38.

Dai documenti e dai testi consultati o citati quello che parla dei rapporti di consanguineità tra i Castriota e i Cuccia è il diploma del re Giovanni di Aragona dell’8 ottobre 1467. Tale documento della cancelleria di Barcellona è stato alla base delle ricostruzioni storiche successive ed era stato pacificamente accettato dalla storiografia arbëreshe e italiana. Nel 2007, il prof. Matteo Mandalà, docente di lingua e letteratura albanese nell’Università di Palermo, ha sostenuto, nel volume “Mundus vult decipi”, edito a Palermo nel 2007 da A.C. Mirror, che taledocumento fosse frutto di un falso [1]. In ogni caso, la mancata autenticità del documento della cancelleria del regno di Aragona non rileva ai fini della corrispondenza tra il cognome Kuka presente in Albania ai tempi dello Skanderbeg, di cui parlano diverse biografie del Castriota, e il cognome Cuchia o Cuccia presente nelle colonie albanesi della Sicilia[2].

I Cuccia e altre famiglie albanesi [3] del periodo di Skanderbeg sono presenti, oltre che nei saggi storici [4], anche nelle opere letterarie, del prof. Giuseppe Schirò, Direttore del R. Istituto Orientale di Napoli[5] . In tali opere di natura poetica, scritte sia in italiano che in albanese lo Schirò affronta il tema della loro emigrazione in Sicilia, dopo che era venuta meno in patria ogni possibilità di resistenza contro l’invasore ottomano in Albania.

   



[1] I primi dubbi sull’autenticità del documento in questione erano stati avanzati dal prof. Francesco Giunta, docente di Storia Medioevale nell’Università di Palermo.

[2] Con questo non si vuole sostenere la discendenza diretta tra le casate presenti in Albania ai tempi delle lotte antiturche dello Skanderbeg e quelle emigrate in Italia meridionale e in Sicilia. Per fare ciò occorre indagare sui luoghi di provenienza degli emigrati che formarono le varie comunità arbëreshe. 

[3] Reres, Cropa, Pravatà, Paolo Manes, Skirò, Musacchia, Bideri, Masrek e altri. 

[4] Giuseppe Schirò, Opere VIII Saggi, “Cenni sulla origine delle colonie albanesi di Sicilia”. 

[5] Giuseppe Schirò, Opere III e IV, “Te dheu i huaj” (edizione del 1940). Volume III Canto V pagine 150 e 151; vol. IV Canto II “Gli Antenati”, pagine 60 e 61, pagine; Canto VII “Giovanni Kastriota”, pagine 290 e 291.

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 I Cuccia in Albania e in Italia

I Cuccia o Cucchia, in albanese Ku¢i o Kuka, sono presenti in varie zone dell’Albania. Nel nord est del paese vi è la città e il distretto di Kukës con una popolazione di circa 48.000 abitanti. Nel museo nazionale di Kruja, nella sezione dei principali collaboratori dello Skanderbeg, è esposta la statua di Pal Kuka, con la didascalia che si trattava di un diplomatico; tale statua è stata da me fotografata. I testi di storia che parlano delle gesta di Skanderbeg riferiscono, oltre alle missioni diplomatiche di Pal Kuka, di un Giorgio Kuka cappellano di Skanderbeg, di un Giorgio Kuka, ufficiale dell’esercito albanese, caduto nelle mani dei turchi e da questi scorticato vivo, assieme ad altri sette eroi, di un Bajano Kuka. Un Oso Kuka è stato un eroe albanese di Scutari e la sua abitazione è in atto adibita a Museo. 

Le notizie riportate sono state acquisite dalle tre biografie di Skanderbeg di cui sono in possesso. Per quanto riguarda Giorgio Cuchia i testi parlano di un cappellano dello Skanderbeg e di un ufficiale dell’esercito albanese, catturato e trucidato dai turchi (non so se si tratti della stessa persona). 

Nicolò Chetta, rettore del Seminario Greco-Albanese di Palermo, nato a Contessa Entellina il 31/07/1741 e deceduto a Palermo il 15/11/1803, li ritiene originari della Macedonia, provenienti da un’area vicina all’attuale Albania. Il cognome albanese Kuça, Cuchia nei primi atti in latino volgare, redatti in Sicilia, si è trasformato in Cuccia ed è presente in tutte le comunità albanofone siciliane. 

In Sicilia, nei documenti riportati in pubblicazioni da me consultate, per la prima volta si incontra un Luca Cuchia e un Petrus Cuchia nel 1501 tra i firmatari dei Capitoli di Mezzojuso [1]; a Contessa si ritrova ufficialmente il cognome Cuchia in un censimento (chiamato Rivelo) del 1593 [2]. Si incontra nuovamente il cognome Cuccia nel rivelo effettuato nel 1623, durante il Regno di Filippo IV di Spagna [3]. In epoca successiva si incontrano un Ioannis Cuccia, Iuratorum huius universitatis Terrae Comitissae, tra i richiedenti al notaio Ioseph Maria Fiorenza di Bisacquino di un trasunto dei Capitoli di Contessa del 1520, e un Leoluca Cuccia, magistro, tra i testimoni del Notaio [4]. Il trasunto è stato rilasciato dal notaio Fiorenza nel 1792.

Bisogna tenere presente che tutti i capitoli di concessione dei terreni agli albanesi furono scritti in latinis vulgaribus da notai non albanesi, che traducevano nel volgare in uso in Sicilia i nomi albanesi. I membri delle comunità arbëreshe, che conoscevano entrambe le lingue, si impegnavano a spiegare ai loro connazionali i contenuti degli atti sottoscritti.

Il cognome Cuchia lo ritroviamo, poi, tra gli albanesi che costruirono (o ricostruirono) la Chiesa Madrice di Contessa, dedicata alla SS. Annunziata e a San Nicolò di Mira[5].

Il suddetto cognome è, inoltre, più volte citato nel saggio storico “Cenni sulle origini delle colonie albanesi di Sicilia” del prof. Giuseppe Schirò, docente di lingua e letteratura albanese presso il Regio Istituto Orientale di Napoli nonché nelle opere letterarie composte dallo stesso.

Gli immigrati albanesi in Italia hanno dovuto lottare duramemente per non essere sottoposti a un processo di latinizzazione forzata e per mantenere un rito, quello bizantino, che in un periodo di controriforma religiosa veniva visto, soprattutto dai vescovi latini, quasi come ortodosso scismatico. Qualche volta i vescovi ci sono riusciti, vedasi San’Angelo Muxaro, in Sicilia, o Spezzano albanese, in Calabria, dove il prete di rito greco è stato arrestato - con l’accordo tra il vescovo e il barone del luogo- ed è morto in prigione, mentre tutto il popolo è diventato di rito latino. 

Una circostanza, invocata dagli albanesi d’Italia a loro favore nei confronti di chi li guardava con sospetto, era il ricordo di Giorgio Castriota, definito dal Papa Atleta di Cristo, e i legami che legavano i profughi alle gesta dell’eroe albanese. Il re di Napoli era grato al Castriota per l’aiuto ricevuto nella lotta contro gli angioini e i nobili infedeli. Dopo il tentativo fallito, di Giovanni Castriota, di riaccendere la lotta in Albania (anno 1482) [6] e la caduta di Corone (anno 1532) vennero nell’Italia meridionale e in Sicilia, con gli altri profughi, i più stretti collaboratori dello Skanderbeg, moglie e figli compresi, e successivamente molti coronei. 

Un documento, richiamato da alcune famiglie arbëreshë per tutelare la propria posizione, era una lettera del re Giovanni II d’Aragona al proprio nipote Ferdinando, re di Napoli, datata 8 ottobre 1467, in cui raccomandava alcuni nobili albanesi, definiti consanguinei dello Skanderbeg. L’autenticità di tale lettera, su cui si era basata tutta la storiografia arbëreshe a cominciare da Pompilio Rodotà, dal citato prof. Giuseppe Schirò, docente del Regio Istituto orientale di Napoli, dal prof. Alessandro Schirò, dal sacerdote Spiridione Lo Iacono e altri, è stata recentemente messa in dubbio dal prof. Matteo Mandalà, docente di lingua e letteratura albanese nell’Università di Palermo, in un suo libro intitolato: “Mundus vult decipi”.  In tale saggio l’autore, sulla base di una ipotesi avanzata anche da altri[7], ritiene che il suddetto documento sia un falso. Lo stesso rilievo di falsità viene mosso nei confronti di un altro documento, sempre dalla cancelleria di Barcellona, e datato 18 ottobre 1467. 

In ogni caso, la mancata autenticità del documento della cancelleria del regno di Aragona non rileva ai fini della corrispondenza tra il cognome Kuka presente in Albania e nel Peloponneso, ai tempi dello Skanderbeg, e il cognome Cuchia o Cuccia presente nelle colonie albanesi della Sicilia. Tale tesi è suffragata non solo da tutti gli storiografi arbëreshë ma anche dagli altri studiosi. Vedasi il saggio: “Sviluppi onomastico-toponomastico tribali delle comunità albanesi di Sicilia” del prof. Giuseppe Valentini S.J, titolare della cattedra di albanese dell’Università di Palermo nel secondo dopoguerra. In tale saggio il Valentini studia l’etimologia e la provenienza di 48 famiglie siciliane di origine albanese. Per quanto riguarda i Kuçi (e non Kuqi) il prof. Valentini ipotizza una antichissima origine nella località presidiata di Cucci, nel limite danubiano di Pannonia, nel secolo IV.  Secondo il Valentini i Kuçi furono una forte tribù albanese del nord, verso la piana di Podgorica, nominati fin dal 1335 e poi nel 1416 e, come una vera comunità, nel 1455.   Sempre il Valentini ci dice che il cognome Kuçi, per quanto con varia grafia, è largamente presente tra gli stradioti, dal 1482 al 1547, con almeno 19 nominativi. Per il prof. Valentini, che conosceva bene l’Albania avendovi vissuto a lungo, è ipotizzabile che i Cuccia che sono presenti in Sicilia siano venuti direttamente dalla Grecia. In ogni caso secondo il suddetto professore, considerata la vastità dei toponimi, è difficile rintracciare la precisa origine albanese. 

Durante la mia permanenza a Tirana, nel luglio del 2017, ho letto l’annuncio funebre di un Kuqi. 

 I Cuccia, assieme ad altre famiglie albanesi (Musacchia, Reres, Schirò, Lala e altri) hanno assunto un ruolo di rilievo nelle nostre comunità e, in atto, sono presenti in tutte le comunità albanofone della Sicilia. Ci sono, inoltre, altri Cuccia le cui famiglie provenivano dai centri albanofoni della Sicilia, presenti a Palermo e in altre città della Sicilia e d’Italia. Nell’ambito dei comuni di origine gli stessi hanno svolto nel passato, e continuano a svolgere, ruoli rilevanti nella comunità. Molti sono stati avvocati, notai, medici, insegnanti, dirigenti della Pubblica Amministrazione, sindaci, papàs.  A Palermo una via è dedicata a Simone Cuccia, avvocato e noto giurista, docente di diritto penale dell’Università di Palermo e per diversi anni membro della Camera dei deputati. A Enrico Cuccia, di origine siculo albanese e uno dei più importanti banchieri dell’Italia del secondo dopoguerra, è dedicata una piazza di Milano.

I testi richiamati descrivono pure le altre famiglie albanesi presenti in Sicilia, chi vuole approfondire la storia e l’etimologia dei cognomi delle altre famiglie lo può, pertanto, fare attingendo alle opere degli autori citati. Fornirò qualche notizia su alcune di queste famiglie, i cui nomi sono ancora presenti in Albania come ho potuto personalmente constatare, in uno scritto successivo[8].  

Avv. Domenico Cuccia

 



[1] I nomi di Luca Cuchia e Petro Cuchia, quali firmatari dei Capitoli di Mezzoiuso, sono riportati nel volume I Capitoli delle Colonie Greco Albanesi di Sicilia, raccolti e pubblicati da Giuseppe La Mantia, a pag. 51.

[2] Il rilevo (censimento) del 1593, riportato nel volume di Alessandro Schirò “Guida Illustrata delle Colonie Albanesi di Sicilia”, registra la presenza tra la popolazione di Contessa di Antonina La Cucchja, vedova con due figli, a pag. 21. 

 

[4] Il nome di Ioannis Cuccia, quale richiedente del trasunto dei Capitoli di Contessa del 1520, e di Leoluca Cuccia quale testimone del Notaro, sono riportati nel volume I Capitoli delle Colonie Greco Albanesi di Sicilia, raccolti e pubblicati da Giuseppe La Mantia, a pag. 52 e 57. Il La Mantia ci informa, inoltre, che l’originale dei capitoli, in pergamena, si conservava nell’Archivio della famiglia Colonna, che sono stati signori feudali di Contessa.

 

[5] Vedasi il volume di Francesca Di Miceli Contessa Entellina-Per una Storia attraverso cronache e documenti, pag. 46, in cui si parla di un Lorni Cuchia i Liut, di un Lionardo Mustacchi e dei Plesci, provenienti da Mezzojuso, come degli albanesi che più si prodigarono per la costruzione della chiesa Greca intitolata a san Nicolò di Mira.

 

[6] Secondo il prof. Giuseppe Schirò, dopo il fallimento della riconquista dell’Albania nel 1482, attuato da Giovanni Castriota figlio dello Skanderbeg, molti profughi provenienti dalla città di Himarë, nella prefettura di Vlorë, emigrarono in Sicilia, fondando la colonia di Piana degli albanesi. La tesi è stata fatta propria da alcune guide turistiche dell’Albania. Vedasi “Conoscere l’Albania”, testo in italiano pag. 103.

 

[7] I primi dubbi sull’autenticità del documento in questione sono stati avanzati dal prof. Francesco Giunta, docente di Storia Medioevale dell’Università di Palermo.


[8] Durante il mio viaggio in Albania nel 2017 ho potuto constatare l’esistenza di cognomi presenti tra le colonie siculo albanesi. A Gjon Muzaka è dedicata una via della città di Berat; ai Manali è intitolato un intero quartiere di Argirocastro; alcuni soggetti di nome Lala sono titolari di diverse attività commerciali in varie località dell’Albania; al Croppa, a cui è intitolata una via di Contessa Entellina, è dedicata una statua nel Museo di Kruja, con la didascalia che si tratta di un diplomatico dello Skanderbeg.

 

Cosi ebbe a scrivere … Lev Tolstoj

“Tutti vogliono cambiare il mondo, ma nessuno vuole cambiare sé stesso”.

* * * 

Lev Nikolaevič Tolstoj nasce nel 1828 nella tenuta di famiglia a Jasnaja Poljana, presso Tula, figlio del conte Nikolaj e della principessa Marija Volkonskaja. Rimasto orfano in tenera età di entrambi i genitori, Tolstoj, insieme ai tre fratelli e alla sorella, viene educato da una lontana parente. Nel 1844 si iscrive alla Facoltà di filosofia dell’università di Kazan’, che abbandonerà tre anni più tardi dopo aver ripiegato, senza soddisfazione, sulla giurisprudenza. 

Le sue opere più importanti: I Cosacchi (1863), Guerra e pace (1865-69), La morte di Ivan Ilich (1886), Anna Karenina (1878), Sonata a Kreutzer (1889), Resurrezione (1899).

lunedì 14 ottobre 2024

Scorrendo giornali e agenzie di stampa: le sofferenze nel pianeta

Conflitto Israele/Palestinesi

373° giorno di guerra: secondo Hamas il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza sale a 42.289 e si contano 98.684 feriti.
Unifil: «Irruzione di carri armati israeliani in una delle nostre postazioni».
Gallant: «Non permetteremo il ritorno di Hezbollah al confine».
I «liberatori» del Libano: «Saremo noi a sciogliere il Paese dalla morsa di Hezbollah»
Iran, il giallo del cyber-attacco: Israele l'ha già iniziato o sta ancora valutando di colpire raffinerie e siti nucleari?

Conflitto Ucraina/Russia

967° giorno di guerra in Ucraina.
 Mosca: «Lanciate bombe plananti sulle truppe ucraine nella regione di Kursk».
Cremlino: «Putin aperto a dialogo con Scholz».

Rischio nucleare

Usa: «Pronti a dialogo nucleare con Russia, Cina e Nord Corea»

 

«Gli Stati Uniti sono pronti a impegnarsi in un dialogo con la Russia, la Cina e la Corea del Nord senza precondizioni per ridurre la minaccia nucleare»: lo scrive la Casa Bianca in un messaggio ufficiale per celebrare il conferimento del Nobel per la Pace ai reduci di Hiroshima e Nagasaki di Nihon Hidankyo.

 «Ridurre la minaccia nucleare è importante non malgrado i pericoli del mondo di oggi, ma proprio a causa di essi. Questi rischi nucleari erodono le norme e le intese su cui abbiamo lavorato insieme e che abbiamo messo in piedi e si contrappongono al lavoro vitale delle persone insignite di questo Nobel», scrive ancora la Casa Bianca. 

 L'annuncio del Comitato per il Nobel alla Pace «ci ricorda che dobbiamo continuare il nostro progresso verso un mondo libero dalla minaccia delle armi nucleari», conclude il messaggio.

Parole ricorrenti sui media

 

diabete 
Il nome deriva dal greco dia (per, attraverso, preposizione) e baínein (andare, verbo) che significa «passare attraverso». Il termine era usato in passato per indicare una condizione morbosa caratterizzata da eccessiva e durevole eliminazione di urina provocata dalla malattia.

Per Emilio Augusto Benini, presidente Fand - Associazione Italiana Diabetici, il controllo glicemico precoce non viene raggiunto così spesso come auspicato: «I pilastri della terapia  del diabete di tipo 2 sono dieta, esercizio fisico e farmaci. Ma i pazienti non capiscono realmente la necessità di un intervento precoce e incisivo: a un anno dall’inizio delle cure, 1 su 5 le abbandona. Spesso ci si rende conto della gravità del problema quando è tardi e ci sono già le complicanze: non si riesce a rinnovare la patente, e ci si accorge di avere una retinopatia. Serve far capire meglio che la terapia è essenziale». 


All’Alba della Modernità

Crollo dell’Impero Romano d’Oriente (1)

 Nel 1399 l’Imperatore di Costantinopoli si reca a Venezia per chiedere aiuto rispetto alla sempre incombenza  islamica. Dalla città lagunare passo’ a Londra e Parigi e gli storici convengono che quella vasta missione diplomatica sotto il profilo politico non sorti’ alcun effetto. L’unico effetto fu che i paesi europei risvegliarono un interesse esclusivamente culturale verso la grecità e l’Oriente che qualche decennio dopo (quando fu tardi) li spinse a voler meglio conoscere cosa ci stesse in quel medio Oriente ed ancora più in là.

Il concilio aperto a Ferrara l'8
gennaio 1438 e trasferito l'anno
dopo a Firenze proclama
l’unione fra la Chiesa
greca e quella latina, un accordo
che dura sino alla presa di
Costantinopoli, nel 1453, e viene
rotto ufficialmente
da un concilio della Chiesa
greca poco  meno di vent’anni
dopo.



 A ritardare la caduta di Costantinopoli e con quella città oltre un millennio di Storia nel 1402 fu un personaggio arrivato dall’estremo Oriente, Tamerlano (nt. a Samarcanda nel 1336), importante personaggio della storia che riuscì in poco tempo a fondare un impero nella zona dell’Asia Centrale: l’Impero Timuride e che nella battaglia  di Angora inflisse una dura sconfitta agli Ottomani. Ancora negli anni seguenti i rapporti politici e religiosi fra l’Oriente Cristiano e l’Occidente romano erano buoni, ma i timori sulla fragilità rispetto al mondo turco erano fondati. Nel Concilio di Costanza l’intero mondo ecclesiastico bizantino favorì l’elezione di Papa Martino V (1417). 

 Nel 1421 i Turchi ripresero l’avanzata e quando alla morte dell’imperatore Manuele salì al trono il figlio Giovanni VIII avvenne che i vari principi (despoti) di ciò che restava dell’Impero e gli stessi presunti alleati, dai Veneziani ad altri, staccarono vari territori dalla giurisdizione Costantinopolitana. Per rimediare all’isolamento in cui si era venuto a trovare Giovanni VIII intavolò una serie di trattative in direzione dell’unione della chiesa costantinopolitana e romana. Siamo già al 1437 quando l’imperatore  con un enorme stuolo di prelati (compreso il Patriarca Giuseppe II) e tanti uomini di cultura si imbarcarono per Venezia per poi recarsi a Ferrara, sede iniziale di svolgimento del Concilio. In quella sede, nonostante il presupposto (=necessita’ dell’aiuto occidentale per contrastare i turchi), l’alto clero ortodosso non intese accogliere i termini dell’unione. L’Unione di fatto fu proclamato a Firenze il 6 luglio 1439, ma ad assemblea sciolta già al rientro nelle sedi di appartenenza la stragrande maggioranza dei prelati costantinopolitani rinnego’ le condizioni poste alla base dell’Unione. D’altronde pure i sovrani e principi dell’Europa Orientale, a cominciare dal principe di Mosca, rinnegarono tutti quell’accordo.

(Segue)

domenica 13 ottobre 2024

Cosa è la democrazia …. …. a dire di un fisico

Secondo Carlo Rovelli,(nt. Verona, 3 maggio 1956)

è un fisico, saggista e divulgatore scientifico italiano, 

specializzato in fisica teorica.


La democrazia, come ci ha insegnato Habermas, è una discussione collettiva nello spazio pubblico e la gestione della cosa pubblica non è legata a quattro specialisti. Ovviamente chi fa di mestiere l’intellettuale, mi sembra che abbia più responsabilità di tutti di dire la sua, non perché lui dica la verità e gli altri il falso. Nei secoli tanto di quello che è successo nella storia è dipeso dagli intellettuali: dalla rivoluzione americana alla rivoluzione russa a quella francese al Risorgimento italiano. C’è sempre un pensiero alla radice. A noi lo ha insegnato Gramsci: il modo in cui il mondo intellettuale pensa ha una profonda influenza sulla società.

= = = 



La domenica serve anche per riflettere

L'avvento del Regno

Non l'avvento di un regno terreno aveva predicato il Nazareno. Nelle parabole e nelle beatitudini (nuclei centrali delle sue predicazioni) l'annuncio del regno di Dio non consisteva in una sollecitazione a prendere le armi contro l'invasore romano (come, in quei tempi, sollecitava a fare un certo Giuda il Galileo). Egli affermava che tutti gli oppressi che fidavano in Dio Padre avrebbero visto riconosciuto il loro diritto di fronte agli oppressori. Secondo quella predicazione le "cose di Cesare", diremmo oggi la politica, passavano in secondo piano rispetto al tipo di "salvezza" promessa da Dio.

Poco tempo prima lungo le strade di Palestina un altro profeta, Giovanni Battista, aveva con vasti consensi predicato alla conversione in vista del giudizio, e lo aveva fatto con gli accenti dei profeti di sventura. Il Nazareno annunciava invece la salvezza  rifacendosi ad un precedente messaggio di consolazione che Isaia aveva rivolto ai Giudei deportati a Babilonia.

L'annuncio del Nazareno poggiava su una speranza: la speranza che stesse per realizzarsi la liberazione dall'oppressione politica e dall'ingiustizia sociale. Aveva però un forte contenuto morale, un abbandono fiducioso verso la misericordia divina. Non veniva abrogata la legge di Mose', ma la trasformava: giusto non era chi osservava scrupolosamente la legge di Mosè e accumulava meriti, ma chi era pronto ad abbandonare anche i doveri più sacri per fare solamente la volontà di Dio. Vincoli familiari, religiosi e nazionali venivano ridimensionati in favore del regno di Dio.

Una riflessione dei nostri giorni di

 Enzo Bianchi

Dio creò l’uomo...

e l’uomo

scrisse la Bibbia




«Le chiese oggi riconoscono che la Bibbia, pur contenendo la parola di Dio, è innanzitutto parola umana, — scrive padre Enzo Bianchi nell’introduzione alla nuova traduzione della Bibbia (Einaudi) — che gli autori sono autori umani, e che la Bibbia è un testo che va interpretato rifuggendo ogni lettura fondamentalista. 
Oggi possiamo dire che la Bibbia è la biblioteca che non divide, non separa, non apre a fondamentalismi, chiede l’affermazione della diversità, delle pluralità e dunque del dialogo perché essa è strutturalmente dialogica!».


Chi è?

Enzo Bianchi (Castel Boglione3 marzo 1943) è un monaco cristiano e saggista italiano, fondatore della Comunità monastica di Bose, a Magnano, della quale è stato priore sino al gennaio 2017; a seguito di una visita apostolica svoltasi tra dicembre 2019 e gennaio 2020, nel maggio successivo ne è stato allontanato su indicazione della Santa Sede,  ma ciò nonostante all'inizio non aveva lasciato la comunità. Agli inizi di giugno del 2021 si è trasferito a Torino in un alloggio fornitogli da amici. Nel febbraio 2021 la Santa Sede gli aveva ingiunto di abbandonare Bose e di recarsi in una filiale del monastero in Toscana.