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mercoledì 22 aprile 2015

Il Naufragio nel Canale di Sicilia. Il punto di vista di Matteo Renzi reso alla Camera dei Deputati

  MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri
Signora Presidente, onorevoli deputate, onorevoli deputati, vi sono vari modi per affrontare una riflessione su ciò che è accaduto nei giorni scorsi nel nostro Mare Mediterraneo: vi è un aspetto emozionale, emotivo, molto forte; vi è un aspetto tecnico, di provvedimenti da prendere, di decisioni da eseguire; vi è un aspetto diplomatico, di relazioni, le iniziative, gli incontri, dal Segretario generale delle Nazioni Unite al più piccolo dei Paesi dell'Unione europea, che è quello che si è mostrato con il cuore più grande, Malta.
 Ma credo che sia rispettoso del vostro ruolo e della consapevolezza dell'importanza del Parlamento, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, partire da un approccio totalmente, integralmente, radicalmente politico. Mi spiego: non voglio minimamente mettere da parte l'importanza di riconoscere, anche in quest'Aula, innanzitutto, il tributo alle vittime; lo ha fatto la Presidente e tutti noi abbiamo unito il nostro cordoglio al suo e il pensiero alle famiglie. 
  Talvolta, abbiamo l'approccio di pensare, di fronte a queste stragi, che, volando un numero di qua e un numero di là, si stia parlando quasi di oggetti astratti: sono persone, sono storie, sono donne, sono uomini, sono famiglie che piangono e che, magari, neanche sanno cosa è accaduto. 
  Ma non è soltanto l'aspetto del cordoglio umano quello al quale siamo chiamati oggi. E non voglio negare in quest'Aula la gratitudine del Governo della Repubblica alle donne e agli uomini della Marina, della guardia costiera, della guardia di finanza, delle forze di polizia, dei carabinieri, di tutti coloro i quali con una divisa stanno onorando l'Italia, accogliendo le persone superstiti, salvando vite umane in mare e cercando di adempiere a quel principio morale, che nel Vangelo è sintetizzato come «Ero forestiero e mi avete accolto», ma che per ciascuno, qualunque sia la fede religiosa o il coinvolgimento culturale da cui parte, costituisce un principio irrinunciabile. 
  No, non voglio negare né l'aspetto di cordoglio né l'aspetto di gratitudine. Da qui vorrei che arrivasse un grazie, non soltanto alle donne e agli uomini che si stanno impegnando per salvare vite umane, ma anche a chi le sta accogliendo all'interno dei comuni e delle amministrazioni locali, ai sindaci, che spesso, in questo, sono accusati anche da una parte dell'opinione pubblica del proprio territorio e che riescono, con la schiena dritta, a darci una mano decisiva e – lasciatemi dire – anche alle volontarie e ai volontari o anche ai professionisti di quei centri che magari lavorano per soggetti legati alla cooperazione, che, per colpa di chi, con responsabilità alla guida di alcune di queste realtà, si trova oggi costretto a sentirsi tirare addosso tutta una serie di accuse, ma che fa quel lavoro o quel servizio perché ci crede, perché è appassionato e perché vuole bene all'uomo e alla donna del nostro tempo. Fatemi dire grazie a tutti costoro (Applausi)


Ma non è questo il punto su cui noi siamo chiamati a discutere. 
  Noi oggi siamo chiamati ad un approccio totalmente politico, perché è di politica che ha bisogno l'Unione europea, perché è politica la scelta dell'Unione europea di svolgere giovedì un summit straordinario, perché è politica la necessità che noi abbiamo di non dare una risposta che sia soltanto una reazione. Non è una reazione immediata, emotiva quella che può seguire ad una strage di queste proporzioni. O c’è la politica, intesa come capacità, complessa, di dare risposte ad un mondo articolato, oppure non andiamo da nessuna parte. 
  Vorrei su questo essere chiaro su un punto. 

In tanti dicono che nel nostro tempo la comunicazione è l'opposto della politica. Permettetemi di tornare a domenica. Domenica si sono verificate in Libia o, partendo dalla Libia, due fatti. Uno, quello drammatico del naufragio di cui tutti noi abbiamo parlato e di cui stiamo parlando, un secondo fatto, che è stato praticamente ignorato dal dibattito pubblico, la decapitazione di 28 persone, di 28 cristiani. Probabilmente erano dei potenziali migranti, erano delle persone che probabilmente avrebbero voluto salire su quelle navi. Non erano libici, erano etiopi, erano persone che cercavano di scappare dal luogo in cui si trovavano. Eppure la comunicazione ha dato importanza, a differenza del passato, soltanto all'aspetto del naufragio. Ecco che quelli che dicono che la comunicazione non conta niente, che la comunicazione non c'entra niente dovrebbero fare i conti con una realtà. Non è vero che la comunicazione non c'entra niente: la comunicazione è decisiva per affermare la possibilità di azione delle istituzioni e della politica. 
  Ma siccome stavolta il mondo non si è girato dall'altra parte sulla vicenda del naufragio, siccome per una volta non è rimasta soltanto la guardia costiera o la Marina militare o la guardia di finanza o le forze italiane ad occuparsi di ciò che stava avvenendo in quel luogo, siccome, per la prima volta dopo tanto tempo, questa vicenda, drammatica e tragica, ha provocato finalmente una consapevolezza più ampia da parte delle istituzioni internazionali, ecco che viene il tempo della politica. E la politica non significa fare a meno degli aspetti legati alla comunicazione. La politica significa prendere atto che bisogna spiegarla in modo semplice, ma non si può affrontarla in modo semplicistico. È semplicistico immaginare di poter dire «tutti a casa loro» o «accogliamo tutti». È semplicistico poter dire oggi, sulla base del professionismo da talk show, che la soluzione è a portata di mano.


 Io credo, penso e spero che il Parlamento della Repubblica abbia la consapevolezza che di fronte a quello che stiamo vivendo si impone una strategia di respiro un pochino più ampio rispetto alla reazione immediata, rispetto all'idea di cercare di affrontare anche con nobiltà, con coraggio il bisogno di dare una immediata soluzione. 
  La questione è molto più ampia. La questione oggi riguarda innanzitutto che cosa noi pensiamo dell'Africa. E se non partiamo di lì, non saremo mai in condizione di dire niente di sensato su ciò che sta avvenendo. Non sono libici, nella stragrande maggioranza, i nostri fratelli e le nostre sorelle che muoiono in mare. Vengono da altri Paesi, da Paesi in cui la fame, la guerra, le divisioni la fanno da padrone. 
  Allora, il primo tema è cercare di capire se l'Africa diventa un elemento chiave nel dibattito della politica mondiale, europea e italiana oppure no. Noi abbiamo iniziato su questo tema: siamo partiti da Tunisi nella prima missione internazionale fatta da questo Governo. È il primo Governo che ha scelto di andare con il Presidente del Consiglio sotto il Sahara. Lo ha fatto con una serie di missioni, che – certo – per le ragioni della comunicazione occupano i trafiletti, ma che sono cruciali nel tentare di raccontare che lì sta un pezzo del nostro futuro e anche – permettetemi di dirlo – del nostro passato. Infatti, quando penso a ciò che ha fatto la cooperazione italiana in Monzambico, la Comunità di Sant'Egidio e che in questi venti anni – ormai venticinque anni – ha portato quel Paese ad avere un percorso difficile, ancora travagliato, ancora in questi giorni, anzi negli ultimi mesi in discussione, penso che non c’è soltanto il futuro, ma anche un pezzo del nostro passato. 
  Ma non può bastare semplicemente l'indicazione del problema. Capite che ha una linearità l'idea di chiedere l'Alto rappresentante per la politica estera ? Non perché c'era una casellina da mettere, come qualcuno ha sostenuto, ma perché c'era un'idea da affermare. E va in questa direzione l'idea di dire che come primo gesto del semestre europeo – anche se anche questo finisce in un trafiletto – si va in Sudan a prendere Meriam, che ha partorito con una catena alla caviglia in ragione della sua fede, e le si chiede e le si consente di poter tornare a vivere da donna libera negli Stati Uniti in questo caso, visto che il marito è americano 

(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Per l'Italia - Centro Democratico)



  È un'idea di fondo quella che noi stiamo cercando di affermare, e cioè che non si affronta la questione degli sbarchi dalla Libia semplicemente parlando alla pancia delle persone. Qualcuno dice che questo è il modo per vincere le elezioni. Noi abbiamo avuto un risultato alle europee che è inedito negli ultimi cinquant'anni, nel momento di massimo sbarco, con Mare Nostrum pienamente attiva e con una polemica costante su questi temi. L'idea che gli italiani votino sulla base della pancia, come pensa qualcuno, è profondamente offensiva nei confronti degli italiani. Gli italiani sono persone razionali, ragionevoli e capaci di decidere. 
  E comunque non è oggi un problema di voti. Quando c’è da andare alle elezioni noi non abbiamo mai paura e siamo in condizione di raccontare le nostre idee. È un problema che va oltre le elezioni e il voto. È un problema di dignità dell'uomo. E quando si parla di dignità dell'uomo, bisogna avere il coraggio di dire che la priorità italiana in questo momento è far sì che l'Europa torni ad avere un ruolo politico con la «P» maiuscola. 
  Considero la convocazione del vertice un fatto molto importante. Ovviamente non basta, ce la giochiamo sul documento di conclusioni. Noi abbiamo proposto essenzialmente quattro strategie di direzione. La prima è quella di rafforzare le operazioni europee. Parliamo spesso di Tritone, c’è anche Poseidon, che è l'operazione che riguarda più la Grecia e che è gestita, guidata e operata dalla Grecia. Non sottovalutiamo, mentre diciamo della rilevanza e dell'importanza dell'Africa, ciò che sta avvenendo in queste ore in Siria e in Iraq. C’è un aumento degli sbarchi che arrivano anche da quell'area del mondo e la vicenda di Rodi, la vicenda che abbiamo visto in modo plastico con le immagini delle persone sbarcate in mare nell'ultimo tratto della costa, va esattamente in questa direzione. 
  Ma, accanto a questo, noi pensiamo che sia arrivato il momento di dire, con ancora più determinazione di quanto l'Unione europea abbia fatto sino ad oggi, che combattere i trafficanti di uomini significa combattere gli schiavisti del XXI secolo.


 Non significa, questo, sottovalutare che la forza, la pressione che si esercita e arriva fino ai confini libici non è fermabile semplicemente bloccando gli scafisti, ma significa dire che, in presenza di un traffico di uomini, questa non è innanzitutto una questione di sicurezza o di antiterrorismo, è una questione di giustizia e di dignità della persona umana. Infatti, la storia ha già conosciuto momenti in cui si prendevano le vite umane, si vendevano o compravano e si infilavano in delle stive e in dei barconi. Era l'epoca dello schiavismo. E io ritengo che non sia un'esagerazione o un azzardo sostenere che ciò che sta avvenendo nell'area del Mediterraneo con la compravendita di uomini è esattamente una forma di moderno schiavismo. E il fatto che 1.002 persone siano state in questo momento assicurate dalla forza del nostro Paese alle patrie galere per traffico di uomini non può significare che l'Europa può lasciare soltanto a noi questa battaglia, che è una battaglia di assoluta civiltà. 
  Il terzo punto che noi vogliamo sottolineare nel dibattito di giovedì è tentare di scoraggiare alla radice la partenza di queste donne e di questi uomini dalla loro terra. Su questo permettetemi un sorriso amaro quando sento dire, nei dibattiti televisivi: dobbiamo scoraggiarli. Non è che li scoraggiamo perché loro guardano Ballarò o Agorà e vedono qualche autorevole parlamentare europeo o italiano che minaccia fuoco e fiamme (Commenti del deputato Fedriga). Il punto centrale è che quando una persona è in grado di rischiare la propria vita; quando una persona mette la propria vita a rischio perché deve uscire da una situazione in cui tagliano le teste a quelli che gli stanno accanto, scoraggiare la partenza non si fa con una generica dichiarazione, si fa mettendo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Niger, in Sudan (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC)Scelta Civica per l'Italia e Per l'Italia - Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto – Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini); si fa intervenendo nelle terre e si fa una volta di più mantenendosi umani, evitando di inseguire la demagogia, anche a fronte di un dibattito parlamentare, come sta facendo larga parte delle opposizioni. C’è un limite al tentativo di sciacallaggio di queste ore. C’è un limite a questo tentativo 

(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC)Scelta Civica per l'ItaliaPer l'Italia - Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto – Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini) ! 

E credo che sia arrivato il momento di dire con grande forza che ci sono secoli di civiltà giuridica e di valori umani a cui non rinuncia questo Paese in nome di un principio demagogico ! Noi non ci rinunciamo
(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC)Scelta Civica per l'ItaliaPer l'Italia - Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto – Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini) ! 
  Infine, scoraggiare la partenza da questi Paesi significa avere forte una presenza delle organizzazioni internazionali nell'area del sud della Libia. In questo senso, il lavoro che noi abbiamo svolto con il Niger è un primo passo, importante, ma credo che sia fondamentale che sia l'Unione europea, nel suo complesso, a tentare di andare in quelle zone grazie in particolar modo al coinvolgimento delle Nazioni Unite. E sono grato al Segretario generale Ban Ki-moon per il pieno sostegno e la profonda condivisione che ha espresso, così come sono grato davvero a tutti i leader dei Paesi con cui ho parlato in questo momento, dagli Stati Uniti a Malta. Vorrei veramente inserire un ampio spettro di collaborazioni, offerte e richieste. Ma credo sia anche importante contemporaneamente cercare di far sì che le procedure per l'asilo siano procedure gestite con un teameuropeo e, naturalmente, come prevede il punto 6 del lavoro svolto dai Ministri degli esteri e dal Commissario Avramopoulos, che esso possa essere patrimonio, non soltanto di un Paese, ma di tutti i ventotto Stati membri.


Infine, quarto e ultimo punto che noi proponiamo, è quello di far sì che nella discussione di queste ore vi sia un atteggiamento di particolare urgenza verso le vicende più emergenziali perché la retorica del «mai più» funziona per uno spottelevisivo, ma non è così, sta continuando anche adesso, sta continuando in queste ore, continuerà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane e chi vi dice il contrario pensa di svuotare il mare con un cucchiaino. La retorica del «mai più» lascia il tempo che trova. Abbiamo bisogno di far sì che non accada di nuovo mettendoci del nostro anche in sede emergenziale, ma questo tipo di priorità è quella che noi chiediamo ad un'Unione europea che voglia essere qualcosa di diverso da un'assemblea di Paesi membri di un club economico, che voglia essere qualcosa di diverso da un dotto club di specialisti tecnici che conoscono tutte le principali dinamiche geopolitiche, ma che si dimenticano di dare una risposta di fronte al dolore del nostro tempo. Io sono molto ottimista sul fatto che l'Unione europea possa finalmente cambiare passo, perché ho visto la reazione di queste ore, perché credo che la convocazione di un Consiglio europeo straordinario sia un passo straordinario nelle procedure dell'Unione, ma anche perché penso che, di fronte a ciò che sta avvenendo in queste ore e in questi giorni, noi dobbiamo passare dal tentativo di salvare le persone in mare – che continueremo a fare naturalmente, ma il mare è il posto più difficile dover salvare le persone – al desiderio profondo di affermare il principio che, intervenendo in Africa con una strategia a lungo periodo e con una strategia più significativa di quello che è stato fatto sino ad oggi, l'Unione europea di fatto restituisca a se stessa il bisogno di richiamare la propria vocazione. 
  Termino su questo: negli ultimi giorni noi abbiamo assistito ad un progressivo spostamento della discussione. Fino ad una settimana fa era soltanto una discussione sull'antiterrorismo, sulla sicurezza interna, vorrei dire una discussione sacrosanta, una discussione importante ed è una discussione alla quale noi dobbiamo partecipare inserendo non soltanto gli strumenti di difesa, non soltanto gli strumenti di sicurezza nazionale tradizionalmente intesi, ma anche raccontando qual è l'idea dell'Italia nel mondo che cambia. Quando i terroristi attaccano l'università di Garissa in Kenya, quando i terroristi attaccare il museo a Tunisi, quando i terroristi attaccano la redazione di un giornale a Parigi, i terroristi dimostrano di capire quali sono gli obiettivi in modo molto più attento di tanti commentatori. È l'idea stessa della cultura che viene messa discussione. Quando tu vai ad uccidere un bambino a Peshawar in Pakistan perché va a scuola, mentre va a scuola, tu stai dicendo che è lì che vuoi vincere la battaglia non soltanto uccidendo quella persona ma rovinando un'idea di mondo basata sul capitale umano, sulla cultura. Ecco perché c’è tanto bisogno dell'Italia nel dibattito politico europeo e mondiale. Ecco perché c’è tanto bisogno della forza culturale, valoriale, educativa del nostro Paese. Ecco perché c’è bisogno per noi di non limitarsi a vivere questa fase come la necessità di dare una risposta tecnica: quali barconi andiamo a prendere, quali interventi facciamo con la guardia costiera, come interveniamo nei campi profughi, se riusciamo a dare qualche altro profugo ad altri Paesi, tutte cose comprensibili e doverose su cui stiamo lavorando. Ma questo è il Parlamento della Repubblica e il Parlamento della Repubblica ha il dovere di affermare un'idea dell'Italia per i prossimi vent'anni in cui il nostro ruolo come ponte tra Europa ed Africa abbia una strategia meno angusta di quella che la nostra riduzione della politica a dibattito da talk show sta portando. È su questo che vorrei chiedervi un aiuto per andare giovedì al Consiglio europeo. Lo chiedo a tutte le forze politiche perché di fronte a queste tematiche non c’è divisione di parte, c’è l'Italia che è molto più grande delle nostre divisioni. Lo chiedo nella consapevolezza che, con il poeta spagnolo, potremmo immaginare gli ultimi attimi di vita di quelle persone che hanno perduto ogni speranza e anche la loro esistenza dentro una stiva, chiusi a chiave. 
  È un canto di amore quello che dice: «l'aria ormai è quasi irrespirabile, perché non mi rispondi: tu sai bene che quello che respiro sono le tue risposte e ora io soffoco». È uno scambio di amore tra due persone che si amano, eppure, se ci pensate, la mancanza di risposte da parte della comunità internazionale fa letteralmente soffocare un'intera generazione che non sta scappando perché vuole andare a vedere posti nuovi, sta scappando perché sta rischiando quotidianamente la vita. 
  Noi siamo l'Italia, come tale abbiamo il dovere di reagire e stiamo reagendo da mesi, vorrei dire da anni, ma la reazione da sola, nobile e generosa, non basta. Il passaggio successivo della reazione è la strategia politica e la strategia politica significa chiedere all'Europa di fare l'Europa, non soltanto quando c’è da fare il budget, ma mettere quindi l'Europa in condizione di avere una strategia complessiva. Mi pare che stiamo andando in quella direzione. Chiedere alle forze politiche di dividere tra semplicità e semplicismo, tra demagogia e visione e orizzonte ed essere in condizione noi di dire grazie a chi salvando la vita salva il mondo intero, ma anche di dire a noi stessi che il nostro compito non è di fare i commentatori, è di provare a immaginare quello che accadrà da qui ai prossimi venti anni: io sono certo che saremo all'altezza di questa sfida

(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Per l'Italia - Centro Democratico, Scelta Civica per l'Italia, Area Popolare (NCD-UDC) e di deputati del gruppo Misto).

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