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sabato 6 settembre 2014

8 Settembre 1943. L'armistizio

In seguito a una tragica serie di disfatte militari, Vittorio Emanuele III fa arrestare Mussolini, determinando così la fine del regime fascista e dell'asse Roma-Berlino.

L'illusione in cui si culla Benito Mussolini, di poter condurre una guerra all'altezza di quella dell'alleato tedesco, dura molto poco. Troppo poco.
All'inizio del 1941, i greci sul suolo albanese passano al contrattacco e mettono in serie difficoltà l'Esercito Italiano e gli inglesi sbaragliano lo stesso esercito in Nord Africa. 
Il rovesciamento delle posizioni risulta tanto più bruciante in quanto rende più evidente il disarmante contrasto tra le continue ed ininterrottew sconfitte italiane e l'impressionante facilità  con cui i tedeschi, chiamati precipitosamente in soccorso, riequilibrano le sorti.
L'attacco tedesco all'Unione Sovietica del 22 giugno determina una nuova umiliazione per l'Italia: Mussolini, senza alcuna richiesta da parte di Adolf Hitler, decide di inviare sul fronte russo due contingenti, uno dei quali, l'Armir, pochi mesi dopo si vede costretto a una ritirata drammatica e rovinosa.
A fine anno, le notizie delle disfatte, che provengono tanto da El 'Alamein quanto da Stalingrado, unite ai primi bombardamenti delle città italiane del Nrd, rendono fin troppo evidente la difficoltà della situazione, che precipita definitivamente quando gli Alleati il 10 luglio 1943 sbarcano con estrema facilità in Sicilia, annunciano che la condizione principale per l'accettazione della resa militare  è la caduta del regime.
A marzo e ad Aprile, grandi scioperi operai bloccano il lavoro in molte fabbriche dell'Italia settentrionale, a testimonianza della diffusa insofferenza verso la guerra e del distacco crescente tra governo e società.
Gli ambienti della Corte dei Savoia, i vertici della Chiesa cattolica, il mondo industriale  e la stessa ala moderata del movimento fascista  si attivano alla ricerca di una possibile via di uscita.

Alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo, gtenutasi durante la notte fra il 24 e il 25 luglio, la discussione si incentra sulla conduzione della guerra. L'ordine del giorno, presentato da Dino Grandi e approvato dalla maggioranza dei presenti, chiede la restituzione del comando delle operazioni al Re.
Il giorno dopo, il sovrano fa arrestare Mussolini. Gli subentra il Maresciallo Badoglio, peraltro assolutamente perentorio nel comunicato alla radio: "La guerra continua". In realtà, le manifestazioni di giubilo e la rinascita delle opposizioni politiche si accompagnano alle trattative segrete avviate immediatamente da Badoglio per una pace separata. Tutto si conclude il 3 settembre, con la firma dell'armistizio di Casibile, in Sicilia.
L'annuncio che ne danno gli alleati, l'8 settembre, coglie di sorpresa il governo e spinge il Re e la sua famiglia a lasciare precipitosamente Roma.
La fuga di Vittorio Emanuele III e di Badoglio, prima a Pescara e poi a Brindisi, lascia le truppe italiane completamente disorientate, prive di ordini e alla mercè degli invasori tedeschi.
Alcuni reparti, sotto la guida di comandanti decisi e animati da fiero spirito patrio, tentano la resistenza, ma la maggior parte dell'Esercito Italiano, ufficiali compresi, si toglie la divisa e fugge (si, proprio come nelle settimane scorse -abbiamo visto in tv-  il grosso dell'esercito Iracheno ha fatto, lasciando armi leggere, pesanti e aviazione in mano ai miliziani dell'Isis).
La Monarchia pagherà la codardia mostrata quando si svolgerà il referendum istituzionale.

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